sabato 1 aprile 2017

Las Casas e le origini del colonialismo occidentale e della sua critica


Luca Baccelli: Bartolomé de Las Casas. La conquista senza fondamento, Feltrinelli

Risvolto

L'Europa del Cinquecento scopre l'America e stermina in pochi decenni i suoi abitanti. E intanto riflette se sia giusto o ingiusto quello sterminio. E qualcuno, addirittura, pensa a come rallentare il massacro, come fermarlo. È un gesuita spagnolo, Bartolomé de Las Casas.
La globalizzazione ha cinque secoli di vita. L'Europa inaugura la globalizzazione con la scoperta dell'America, e la conquista e distruzione degli "altri", degli "indigeni", degli "stranieri". Proprio per questo, da subito, l'Europa della globalizzazione e della colonizzazione diventa uno straordinario e combattutissimo laboratorio di pensiero. Idee, iniziative, resoconti più o meno fantasiosi dalle colonie, leggi più o meno efferate promulgate dai grandi paesi colonizzatori: un'intera galassia culturale fiorisce e si mette in movimento nel tentativo ora di giustificare ora di temperare la violenza della conquista. Chi sono "gli altri", animali da macello, utili schiavi, buoni selvaggi, nostri simili? Un gesuita spagnolo, Bartolomé de Las Casas, cappellano nelle colonie, responsabile della diffusione del verbo cristiano nei possedimenti d'oltreoceano, teologo raffinato e disincantato uomo di potere, inizia a interrogarsi con onestà e radicalità inedite sulla sua presunta missione civilizzatrice e sui suoi malcapitati destinatari. Mette al servizio di questa causa i tesori della sua formazione teologica e della sua astuzia di politico. Inizia ad aprire spazi di dubbio e di riflessione impensabili. Si adopera fattivamente per fermare il massacro. Non ci riesce, e viene accusato di tutto e del contrario di tutto. Chi siano gli altri, e chi siamo noi per gli altri, è la domanda di Bartolomé ed è, più che mai, la domanda che inquieta il nostro tempo.
Il frate domenicano alle prese con la natura politica dell’uomo Marco Pacioni Manifesto 31.3.2017, 19:14
Usare la tradizione contro se stessa. Disinnescarne l’ordine del discorso teologico e giuridico per mezzo dei suoi stessi elementi. A questo sembra portare la disamina che Luca Baccelli offre in Bartolomé de Las Casas. La conquista senza fondamento (Feltrinelli, pp. 279, euro 25). Un articolato commento attraverso le opere del domenicano che nel XVI secolo si pose come il difensore dei diritti degli indios
BACCELLI È PUNTUALE anche nell’individuare gli snodi, i mutamenti di pensiero. Al di là dei cambiamenti e persino delle «conversioni» di Las Casas, ciò che emerge di più è la continuità con la cultura occidentale i cui principi non vengono negati, ma estesi e radicalizzati, posti su direzioni impreviste e tuttavia conseguenti e legittime. La teologia di San Tommaso, il pensiero politico aristotelico del XVI secolo, l’universalismo cattolico, il diritto internazionale della Scuola di Salamanca, la questione della guerra giusta, quella della supposta schiavitù naturale, le questioni dell’autodeterminazione politica e dell’autodifesa dei popoli diventano nelle mani di Las Casas strumenti da rivolgere alla stessa cultura che li ha elaborati.
LA VISIONE CHE MATURA Las Casas non riguarda soltanto principi teorici, ma è anche un’analisi delle strutture sociali ed economiche costruite dai colonizzatori che si vorrebbero anche evangelizzatori. A tale scopo Las Casas critica l’organizzazione economica dell’encomienda che riducendo in schiavitù gli indios e distruggendo i loro legami sociali e familiari gli impedisce l’esercizio della loro umanità politica. Quest’ultima per Las Casas non è conseguenza della civilizzazione e del proselitismo, semmai è la condizione che permette anche la libera adesione al cristianesimo. Per il frate, la politicità degli esseri umani è la loro condizione naturale e non il risultato di un processo di soggezione a una cultura che si ritiene superiore. Ristringere o eliminare tale natura politica è altresì contrario anche alla possibilità di una vera evangelizzazione dei popoli che non hanno conosciuto il cristianesimo. Non solo non si diventa credenti forzando alla fede. Ma anche soltanto obbligando a una certa forma civile si ottiene solamente la «distruzione» della civiltà già espressa dai popoli che si vorrebbero assoggettare. Un punto fondamentale nell’evoluzione del pensiero di Las Casas è quello per cui le popolazioni e i territori con i quali gli europei entrano in contatto non sono privi di forme sociali.
NON È UN CASO che «distruzione» sia parola chiave che compare già nel titolo dell’opera forse più celebre di Las Casas: Brevissima relazione della distruzione delle Indie. Ed è anche sulla costatazione della distruttività di cui sono responsabili i colonizzatori che pretendono invece di costruire la civiltà cristiana sullo sfruttamento predatorio che Las Casas riconsidererà un suo iniziale favore all’idea di utilizzare schiavi dall’Africa al posto degli indios – argomento che Baccelli dimostra come strumentale contro quegli studiosi che vorrebbero con esso limitare l’opera del domenicano.

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