sabato 1 aprile 2017

Se vuoi fare la rivoluzione falla fino in fondo, tanto per loro sarai un dittatorre lo stesso

Venezuela, esautorato il Parlamento: pieni poteri a Maduro ... Rep

Venezuela nel caos Parlamento esautorato l’opposizione: “È golpe” 
Il Tribunale supremo contro la Camera anti-chavista: “Oltraggia il presidente”. Pieni poteri a Maduro
OMERO CIAI Rep 31 3 2017
JULIO Borges, presidente del Parlamento dominato dall’opposizione venezuelana, strapazza i fogli della sentenza del Tribunale supremo che esautora lui e tutti i deputati dalle loro funzioni. Li lancia in aria, qualcuno ne strappa. Poi grida: «Questo è un colpo di Stato». Ieri a Caracas l’Alta corte ha chiuso il Parlamento per “oltraggio”, avocando a sé le sue funzioni: è l’autogolpe di cui si speculava da mesi. Per il presidente Maduro, e gli altri eredi di Hugo Chávez, è anche l’ultima spiaggia per afferrarsi al potere dopo che, nelle elezioni parlamentari del 6 dicembre del 2015, l’opposizione ha ottenuto nelle urne la maggioranza assoluta dei seggi , 112 su 167. L’effetto immediato del provvedimento sono i pieni poteri a Maduro che adesso potrà legiferare senza alcun controllo parlamentare. L’Alta Corte del Venezuela è completamente in mano al partito di Maduro, il Psuv fondato da Chávez, e in questi mesi di violento scontro istituzionale fra presidente e Parlamento ha sempre dato ragione al primo.
Ma quello di ieri è, per ora, l’atto finale di una drammatica crisi, sociale e istituzionale, che ha come sfondo l’emergenza economica e la carestia che attraversano un Paese, in altri tempi molto ricco grazie al petrolio, ma ormai sull’orlo della bancarotta. Il Venezuela “saudita” degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, quello nel quale arrivarono anche migliaia di migranti italiani in cerca di fortuna, non è altro che un pallido ricordo. Oggi, in uno Stato alla fame, l’unico obiettivo di Nicolás Maduro, ex sindacalista ed ex tranviere, scelto da Hugo Chávez per succedergli poco prima di morire nel marzo del 2013, è quello di impedire che si possa tornare alle urne. Imporre una dittatura, con l’appoggio delle Forze armate che lo sostengono, e annullare qualsiasi appuntamento democratico - come le elezioni presidenziali previste per il prossimo anno - non è solo da tempo l’unica ossessione del presidente. È anche l’unica speranza per lui e per tutti i dirigenti del post-chavismo di non perdere il potere con il rischio - molto probabile - di finire anche sotto processo per le numerose violazioni dei diritti umani commesse. Per i prigionieri politici e la gestione fallimentare e fraudolenta delle risorse del Venezuela. Una partita di “vita o morte” che con la decisione di ieri diventa sempre più angosciosa.
In questi mesi, mentre l’inflazione esplodeva fino all’800%, la guerra fra presidente e Parlamento si è fatta ogni giorno più feroce. Pestaggi di deputati (sostenitori di Maduro hanno picchiato per strada anche il presidente Julio Borges), arresti, e una battaglia colpo su colpo fra decreti e contro decreti. Maduro accusa il Parlamento di “tradire la patria” e di essere al servizio di un complotto internazionale guidato “dall’imperialismo” per destituirlo. Ma prima è riuscito ad evitare che si tenesse un referendum che avrebbe potuto costringerlo alle dimissioni, poi ha superato la messa in Stato d’accusa votata a maggioranza dai deputati e ora, infine, attraverso una sentenza emessa da una Corte che è sotto il controllo del suo partito, cancella il Parlamento. Per fare cosa, non si sa. In teoria si dovrebbe tornare a votare. Ma non è possibile, Maduro perderebbe di nuovo come alla fine del 2015. Così il Tribunale supremo, con una scelta difficile da giustificare legalmente, avoca le funzioni, si fa Parlamento. «Questa non è solo l’ennesima discutibile sentenza del Tribunale supremo - afferma il vice presidente dell’Assemblea Freddy Guevara - , è l’inizio della dittatura. Un punto di non ritorno ». Mentre a Caracas scompare l’ultimo brandello di vita democratica, i membri dell’organizzazione degli Stati americani (Osa) sono riuniti a Washington per discutere sanzioni diplomatiche contro la deriva dittatoriale venezuelana. E il Perù, per primo, ha già ritirato l’ambasciatore. L’America Latina, d’altra parte, è storicamente terra di “autogolpe”. L’ultimo lo fece Alberto Fujimori a Lima nel 1992. Chiuse il Parlamento e si arroccò nei pieni poteri. Ma alla fine, tra esilio prima e carcere a vita poi, gli andò malissimo.
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“No al golpe” Migliaia in strada contro Maduro Stampa 1 4 2017
«Basta dittatura», «No all’autogolpe». Migliaia di manifestanti, moltissimi giovani, hanno risposto all’appello dell’opposizione e sono scesi ieri in strada a Caracas per manifestare contro il governo Maduro. La Guardia Nazionale ha utilizzato lacrimogeni e cariche per disperdere i manifestanti. 
Gli slogan sono stati urlati fuori dalla sede del Tribunale Supremo di Giustizia (Tsj) che giovedì ha esautorato il parlamento (in mano all’opposizione), assumendone i poteri. Una decisione senza precedenti condannata a sorpresa anche dalla procuratrice generale del Venezuela, Luisa Ortega Diaz, storicamente vicina al chavismo. «È una rottura dell’ordine costituzionale - ha denunciato - Bisogna imboccare percorsi democratici che, nel rispetto della Costituzione, rendano possibile un clima di rispetto e di riscatto del pluralismo».
Ma il presidente Maduro ha replicato con il solito refrain e la retorica anti imperialista, denunciando una congiura orchestrata da Washington e dai «governi regionali della destra intollerante che con menzogne attentano contro l’ordine costituzionale del Venezuela». 
Intanto la Colombia ha richiamato il suo ambasciatore a Caracas, denunciando che la decisione di ieri della Corte suprema «ha superato il limite entro cui si era mantenuta fino a ora». «La sola cosa possibile per il futuro del Paese è un accordo fra governo e opposizione. Non c’è altra possibilità», ha detto la ministra degli Esteri, Maria Angela Holguin. Il Brasile ha invece proposto l’espulsione del Venezuela dal Mercosur, il mercato comune dell’America meridionale. 
Il caos politico in Venezuela si iscrive in un contesto di emergenza economica (l’inflazione, di cui il governo non fornisce cifre ufficiali, sfiorerebbe il 900%) di mancanza di cibo il dilagare dei crimini violenti.

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