giovedì 27 aprile 2017

Tradotto il Bourdieu di Passeron

Immagine di Pierre Bourdieu
Jean-Claude Passeron: Pierre BourdieuMorte di un amico scomparsa di un pensatore, Armando

Risvolto
Il testo, che qui viene presentato nella traduzione italiana, pur traendo spunto da una dimensione biografico-evenemenziale, quale la scomparsa di un grande sociologo contemporaneo come è stato Pierre Bourdieu, ci consente di riflettere su alcuni elementi fondamentali del suo pensiero attraverso la mediazione di Jean-Claude Passeron. Quest’ultimo si fa voce narrante di un viaggio della memoria che ripercorre la sua relazione accademica e di ricerca con Bourdieu, durata circa dodici anni (1961-1972), e che ha prodotto opere e analisi, consentendo loro di ritagliarsi un ruolo di primo piano nel campo della sociologia mondiale.
Jean-Claude Passeron, noto epistemologo e sociologo francese. Dopo essersi dedicato agli studi di filosofia, dirigerà a Marsiglia il Centre d’études et de recherches sur la culture, la communication, les modes de vie et la socialisation. È attualmente membro del Centre Norbert Elias di Marsiglia.
La realpolitik emotiva di un lungo addio 
Saggi . In un libro di Jean-Claude Passeron la rottura teorica e dell’amicizia con Pierre Bourdieu 
Andrea Girometti Manifesto 25.4.2017, 18:51 
A quindici anni dalla scomparsa di Pierre Bourdieu, esce la traduzione di un’importante testimonianza (datata 2003) di Jean-Claude Passeron – Pierre Bourdieu. Morte di un amico. Scomparsa di un pensatore (Armando, pp. 112, euro 12) – che con il sociologo francese condivise, alternando entusiasmo e difficoltà, più di un decennio di ricerche e co-scrittura. La preziosa introduzione di Giovanna Gianturco e Rossella Viola consente di riflettere sul percorso comune e sulla successiva biforcazione/separazione che ha contraddistinto gli itinerari dei due sociologi. Quest’ultima, se non incrinò l’amicizia e il dialogo sottotraccia, più o meno conflittuale, fu principalmente incentrata sulla diversa risposta data, come scrive Passeron, alla «questione epistemologica di ciò che il “vero dire” può “voler dire” nelle frasi del sociologo e, più generalmente, nelle asserzioni di tutte le scienze sociali». 
A BEN VEDERE si tratta di una questione ancora attuale, che riflette la debole autonomia dei campi in cui si articolano le scienze sociali, senza interrogarsi riflessivamente sulla teoria più o meno spontanea che presiede alla sua pratica (e dunque subendo la pressione del discorso dominante, la seduzione del giornalismo e il mancato distacco dal «senso comune»). Paradossalmente, si tratta di uno dei principali avversari, insieme ad un metodologismo «poco interessato al senso di ciò che misura», contro cui già muoveva un testo come Il mestiere di sociologo (fuori catalogo da troppo tempo) pubblicato da Bourdieu e Passeron insieme a Jean-Claude Chamboredon nel 1968. Ed è proprio lo scarto che si è consumato rispetto a quell’impresa collettiva, in particolare nel percorso di Passeron che permette di leggere più attentamente le differenze tra i due sociologi. 
PASSERON, nei suoi ricordi dell’«amico Bourdieu» e del «pensatore Pierre Bourdieu» – i due giovani «militanti della ricerca» erano accomunati da «affetti d’intelligenza scientifica», seppure partendo da una diversità di habitus –, non esita ad evidenziare la torsione in senso marcatamente weberiano del suo tragitto teorico, dovuto a una rilettura delle opere comuni nonché delle migliori opere di Bourdieu, intento a distinguere le scienze sociali come scienze storiche non misurabili con i parametri utilizzati dalle scienze naturali. Ne rivendica, ad un tempo, il carattere costitutivamente «plurale» – il «pensare per casi» come sottolineano Gianturco e Viola – segnato dalla temporalità, dalla necessità d’interrogarsi continuamente su fondamenti e dispostivi di veridicità, e l’inscindibile legame con l’orizzonte dei valori che ridimensiona la portata del sapere sociologico rispetto alle altre scienze e che guarda con sospetto la formazione di un paradigma «forte», apertamente in lotta per l’egemonia nel campo sociologico; o, meglio, per la sua trasformazione, come proponeva Bourdieu attraverso la costruzione di una scienza generale dell’economia delle pratiche. 
LA SCHEMATICA contrapposizione tra una postura weberiana, come quella di cui s’intende portatore Passeron, e una tout court durkeimiana, come si vorrebbe troppo riduttivamente attribuire a Bourdieu, non vede la complessità della difficile posizione che rigetta ad un tempo scientismo e relativismo nichilista. Si sottovaluta, cioè, la lezione epistemologica ispirata alla filosofia di Gaston Bachelard, che ha segnato il percorso iniziale dei due sociologi (ancora richiamata e ampliata, all’inizio degli anni duemila, da Bourdieu nel corso Science de la science et réflexivité), secondo la quale la conoscenza promossa da ogni scienza è sempre approssimata e collocata storicamente, elementi che ne segnano il suo continuo divenire. Forte è quindi il richiamo al Saggio sulla conoscenza approssimata (Mimesis) di Bachelard (tradotto e curato da Enrico Caselli Gattinara per Mimesis). 
Vi è un altro punto di sensibile frizione evidenziato da Passeron quando pone in risalto – giustamente – il difficile e irrisolto rapporto tra politica e sociologia. Il radicalismo politico dell’ultimo Bourdieu, agito in nome di una verità sociologica (la «realpolitik della ragione»), non convince sociologicamente, prima ancora che politicamente, Passeron, i cui trascorsi politici sono più marcatamente schierati a sinistra (dalla momentanea adesione al Pcf all’attenzione riservata al pensiero di Althusser e Foucault), ma scontano la cocente delusione dell’esperienza universitaria di Vincennes dove «gli opposti sinistrismi di trasformare l’azione pedagogica in cinghia di trasmissione della rivoluzione sociale» o di usare, sovente, la lotta politica per finalità carieristiche. 
CIÒ CHE NON CONVINCE Passeron è l’idea che l’interesse che può motivare un impegno politico non possa che essere subordinato all’interesse per una conoscenza chiara dei meccanismi di dominio fornita dalla sociologia, e dunque dalla necessità di non cedere ad una qualche retorica della persuasione di carattere profetico-propagandistico. Si stabilisce, pertanto, un dialogo disturbato tra chi come Bourdieu vede nel riconoscimento/disvelamento del dominio incorporato dai dominati la prerogativa di un impegno non più rinviabile e chi come Passeron vede nella teoria «rigida» del dominio elaborata dall’amico l’assenza di un elemento di entusiasmo politico (come era rinvenibile negli scritti più politici di Marx ed Engels) capace di coinvolgere i subalterni. Niente di più tragicamente attuale.

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