mercoledì 31 maggio 2017

Il VII libro delle Storie di Erodoto nell'edizione Valla. L'autocoscienza coloniale dell'Occidente e tanti luoghi comuni

Le Storie - Libro VII. Serse e LeonidaErodoto: Le Storie, libro VII, «Serse e Leonida», Fondazione Lorenzo Valla-Mondadori, testo greco a fronte; pagg. CIV-610, euro 35

Risvolto
Tutta l'Asia si muove per partecipare alla spedizione che il re di Persia, Serse, organizza contro Atene e la Grecia al fine di vendicare la sconfitta patita dal padre Dario. Del viaggio e dei popoli che lo compiono Erodoto fornisce una descrizione precisa e affascinante: dei luoghi, degli usi, dei costumi, dell'abbigliamento e degli armamenti delle diverse etnie. Per noi moderni, però, il centro del libro è la battaglia delle Termopili nell'estate del 480 a.C., che per primo Erodoto descrisse e che da più di due millenni è impressa nella memoria collettiva: quando, come recita un'iscrizione riportata proprio dallo storico, in quel passo tra i monti, «un giorno, contro tre milioni combatterono quattromila uomini dal Peloponneso»; resistenza, tradimento, aggiramento, ferocia e valore, vittoria e sacrificio sino all'ultimo istante: «Alla maggior parte di loro» scrive Erodoto dei momenti finali, quando i quattromila sono ridotti a trecento spartani, «le lance si erano ormai spezzate, ed essi uccidevano i Persiani con le spade. E in questo scontro cade Leonida, dopo essersi rivelato uomo valorosissimo e, intorno a lui, altri illustri Spartiati». I Greci indietreggiano verso la parte stretta della strada e vanno ad attestarsi su una collina: «Questa collina si trova all'ingresso del passo, dove ora è collocato il leone di pietra in onore di Leonida. E qui, i barbari li seppellirono con i dardi, mentre si difendevano con le spade – quelli che ancora le avevano –, con le mani e con i denti, alcuni, inseguendoli di fronte e demolendo il muro di difesa, altri, circondandoli tutto intorno da tutte le parti». Lo scontro tra Greci e Persiani deflagra in tutta la sua portata: è uno scontro tra civiltà, tra ideali opposti gli uni agli altri. E là, in quell'angusto spazio tra le rupi, la storia diventa mito, quello cantato da Simonide: «Di coloro che morirono alle Termopili / la sorte è gloriosa, bello il destino, / e un altare è la tomba; al posto dei gemiti il ricordo, e il compianto è lode. / Una tale veste funebre la ruggine / non oscurerà, o il tempo che tutto doma. / Questo sacro recinto d'eroi scelse ad abitare con sé / la gloria della Grecia. Testimone è Leonida, / il re di Sparta, che un grande ornamento di valore ha lasciato, / e una fama perenne». 
L'attualità dei classici: la riedizione delle "Storie" di Erodoto offre una lezione politica sull'oggi 
Giuseppe Conte Giornale - Mar, 30/05/2017

Le Termopili tra storia e archetipo 
Storiografia antica. Il VII Libro delle «Storie», con l’episodio più celebre e abusato delle guerre persiane, completa l’edizione commentata della Valla, iniziata 40 anni or sono Carlo Franco Alias Domenica 4.6.2017, 0:16
uscì il film 300, disporre di un buon commento al Settimo Libro di Erodoto sarebbe stato prezioso. Forse si sarebbe capita meglio la logica (se la parola non è eccessiva) di quanto si era visto, e del graphic novel da cui il tutto derivava. Ma nel 2007 il commento alle Storie che la nostrana Fondazione Valla aveva iniziato a pubblicare nel 1977 non era completo: mancava proprio il solo Libro Settimo (preannunciato in uscita per il 2008). Oggi, le visionarie bizzarrie del film di Zack Snyder sono ormai lontane, ma c’è finalmente il volume allora mancante (Erodoto, Le storie Libro VII, Serse e Leonida, a cura di Aldo Corcella e Pietro Vannicelli, traduzione di Giuseppe Nenci, Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori, pp. 728, € 35,00).
Quarant’anni sono passati dall’inizio dell’edizione: e non è la sola particolarità di un’impresa che ha comportato anche radicali cambiamenti di equipaggio, e di rotta. Si era cominciato dalla fine, pubblicando nel 1977 e nel 1978 gli ultimi due libri delle Storie, a cura di Agostino Masaracchia (1926-2015): nel progetto, il rimanente era stato affidato all’orientalista ungherese János Harmatta (1917-2004) e allo storico Giuseppe Nenci (1924-’99). Dopo dieci anni, si reimpostò la serie su criteri differenti, che prevedevano la revisione critica del testo greco e una maggiore ampiezza e profondità del commento: il Primo Libro fu curato da David Asheri (1924-2000). Tra il 1988 e il ’98 si arrivò fino al Libro Sesto, con l’apporto di vari studiosi: un lavoro così apprezzabile, che ne fu realizzata una versione inglese (A Commentary on Herodotus I-IV, Oxford University Press, 2007). Tra il 2003 e il 2006, dopo un’ulteriore pausa, fu rifatto integralmente il commento ai libri finali, quelli con cui l’impresa era iniziata: una scelta inconsueta, richiesta forse dal taglio che l’opera aveva assunto nel corso del tempo, e anche dal «radicale rinnovamento» degli studi sull’Oriente persiano dagli anni settanta del secolo passato. Finalmente, ora che le si può leggere tutte, in edizione critica, tradotte da ‘mani’ diverse (Augusto Fraschetti e Giuseppe Nenci) e commentate da un gruppo di studiosi di grande rilievo, le Storie di Erodoto rivelano l’intera ricchezza del loro contenuto.
Il secondo proemio
Il racconto della battaglia delle Termopili costituisce forse la sezione più famosa del Settimo Libro, che apre una sezione a sé stante delle Storie, marcata da una sorta di «secondo proemio»; ma ben prima di arrivare a quelle pagine finali, il lettore è già stato avvinto da molti altri elementi. Al centro del racconto stanno il persiano Serse e il suo esercito. Del re, succeduto al padre Dario, non è descritto l’aspetto: viene detto solo che «nessuno era più degno di Serse, per bellezza e per statura, di possedere una così grande potenza». Se ne ode però spesso la voce, soprattutto nei decisivi dialoghi con i «consiglieri», buoni o cattivi: scene famose, che tratteggiano in modo esemplare le logiche del potere affidato a un uomo solo. Erodoto vi inserisce solenni massime, che valorizzano sia il carattere pensoso del racconto («l’uomo migliore è quello che nel momento in cui decide è preso da timore, pensando a tutto ciò che dovrà sopportare, ma nel momento di agire è audace»), sia un certo fatalismo, o pessimismo («sono gli eventi a dominare gli uomini, non gli uomini gli eventi»). Dell’esercito persiano vengono presentate al lettore, in successive occasioni, le enormi dimensioni e il carattere multietnico. Una grandezza incommensurabile, cui però non corrisponde altrettanta forza: nel momento della battaglia, Serse scoprirà di comandare su molti uomini (ànthropoi), ma di avere a disposizione pochi veri guerrieri (àndres). In effetti, sul numero incommensurabile, di fatto ignoto, degli invasori venuti dalla Persia fino in Grecia, lo storico Erodoto si concede calcoli arditi, impressionando con l’accumulo di numeri elevatissimi e (volutamente) improbabili. Però esamina invece con serietà e profondità le ragioni storiche e politiche dell’espansionismo persiano, «della sua natura oppressiva e strutturalmente “trasgressiva” di ogni limite»: anche l’oriente dunque ha il suo «imperialismo».
Un’interpretazione unitaria
Il commento, ampio, accuratissimo, ricco di indicazioni interne e di rinvii alla ricerca più recente, conferma l’interpretazione «unitaria» delle Storie di Erodoto, tracciata nei precedenti volumi da Asheri e Nenci: talune puntuali discordanze interne al testo non sminuiscono la profonda compattezza e coerenza dell’opera, che appare «complessa, raffinata e profondamente originale». Il racconto di Erodoto è epico nel tono generale, e bastano a mostrarlo alcune scene modellate su Omero. Primeggia su tutto forse la rassegna dell’esercito persiano, con i popoli e gli armamenti, seguita dalla descrizione del modo in cui fu varcato l’Ellesponto. Ma vi sono anche evidenti sfumature tragiche, che derivano dalla presenza di un piano «divino», che esplicitamente e in più luoghi è affiancato a quello umano. Non si tratta tanto della voce, sempre ambigua, degli oracoli, ma di qualcosa di più grande: la coscienza che il dio «è solito abbattere tutte le cose che si innalzano troppo». Notevole anche la varietà, anzitutto geografica: solo in questo Libro VII, lo scenario passa dalla Persia alla Grecia settentrionale alla Sicilia (area sulla quale Erodoto appare molto ben informato). Grande la complessità: oltre alle questioni topografiche, per ogni notizia o evento l’analisi deve confrontarsi con un’elaborazione varia e difficile da districare. Vi è il livello storico dei fatti, quello delle tradizioni già formatesi prima di Erodoto, e quindi la rielaborazione o interpretazione da parte dello storico. Questa stratificazione genera, come è chiaro, molti problemi storici e storiografici, che la critica ha ampiamente discusso ma per i quali non si è giunti a soluzione certa: e più volte, con piena correttezza, il commento si fa carico di queste aporie.
E le Termopili, infine? Il racconto di Erodoto, pur fondamentale nella costruzione di questo «luogo della memoria», non tace gli errori tattici e strategici che furono dietro all’episodio, e risulta in fondo piuttosto sobrio. Non si concede troppo spazio al mito della «sconfitta gloriosa», che dall’antichità in poi condiziona il nostro sguardo. La morte degli spartani alla difesa del passo non salvò la Grecia dall’invasione persiana. Consapevole di dire una verità sgradita, Erodoto è sicuro invece che il contributo decisivo alla vittoria su Serse venne piuttosto da Atene.
Tuttavia, resta vero che l’episodio si è prestato più di ogni altra fase delle Guerre persiane a essere (ab)usato archetipo degli «scontri tra civiltà», veri o presunti. Oggi è chiaro – e lo ribadisce anche il commento – che «tra greci e persiani non vi fu mai una sorta di cortina di ferro», giacché contatti e scambi furono complessi e significativi. Ma è altrettanto chiaro che la rinuncia alla rassicurante opposizione tra «noi » e «loro» non soddisfa chi cerca nette separazioni, o muri. A costoro si può sempre raccomandare la (ri)lettura degli scritti di alcuni intenditori. Se nel «tradimento» di Efialte, che mostrò ai persiani la via per aggirare le posizioni spartane, già Hitler aveva ‘visto’ il precedente del «Dolchstoss» del 1918, Leonida e i suoi fornirono un ottimo paradigma ad altri motti di propaganda del regime: anche a Stalingrado, si disse, i «pochi» avevano affrontato da eroi il terribile «assalto dall’Oriente asiatico». Ma von Paulus non era Leonida, e comunque Erodoto è proprio tutta un’altra cosa.

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