lunedì 1 maggio 2017

"Un’alleanza tra le diverse specie": Donna Haraway da cyborg postmoderno a Michela Brambilla dei manifestini


Donna Haraway: Staying with the Trouble. Making Kin in the Chthulucene, Duke

Risvolto
In the midst of spiraling ecological devastation, multispecies feminist theorist Donna J. Haraway offers provocative new ways to reconfigure our relations to the earth and all its inhabitants. She eschews referring to our current epoch as the Anthropocene, preferring to conceptualize it as what she calls the Chthulucene, as it more aptly and fully describes our epoch as one in which the human and nonhuman are inextricably linked in tentacular practices. The Chthulucene, Haraway explains, requires sym-poiesis, or making-with, rather than auto-poiesis, or self-making. Learning to stay with the trouble of living and dying together on a damaged earth will prove more conducive to the kind of thinking that would provide the means to building more livable futures. Theoretically and methodologically driven by the signifier SF—string figures, science fact, science fiction, speculative feminism, speculative fabulation, so far—Staying with the Trouble further cements Haraway's reputation as one of the most daring and original thinkers of our time.
Una convivenza molto tentacolare 

Bestiari del futuro. Nell’ultimo libro di Donna Haraway, l’autrice parla della simbiosi obbligata con l’altro da sé: in un pianeta danneggiato, l'unica soluzione è costruire trame e relazioni con esseri umani e non umani 

Lidia Curti Manifesto 30.4.2017, 19:33 
«Guardare viene prima delle parole» è una frase che può descrivere Perché guardiamo gli animali? di John Berger, usando l’epigrafe del suo libro più noto Questione di sguardi. Il saggio pone l’accento sullo scambio puro e assoluto dello sguardo tra uomo e animale, al di là del linguaggio, attraverso un abisso di non-comprensione. Non appena l’uomo guarda un animale viene richiamato alla sua solitudine come specie e il segreto della loro somiglianza/diversità si rivela come tale. Il loro è un rapporto metaforico, i primi disegni, la prima metafora umana è stata animale. Berger con rammarico descrive il declino di quello sguardo che ha avuto un ruolo cruciale nello sviluppo della nostra società fino a meno di un secolo fa; l’addomesticamento dipendente dal senso di superiorità dell’umano ha cancellato il parallelismo e ha ridotto gli animali a una maggioranza silenziosa, marionette umanizzate nella banale rappresentazione alla Disney. 
LO ZOO, RISULTATO E FRUTTO di esplorazioni e conquiste coloniali e in ultima analisi dell’imperialismo, ancor prima di essere dominio su altre terre e altri esseri, è stato quello mentale del cogito ergo sum. Nello zoo lo sguardo è unilaterale su un soggetto reso marginale e divenuto oggetto, resto di un mondo che va sparendo. Gli zoo sono monumenti di questa perdita storica, con gli animali ormai lontani dal ricordarci le origini o dall’essere metafore morali; nonostante la crescente marginalizzazione fisica continuano a esser presenti in forme culturali, giochi, proverbi, modi di dire, sogni, superstizioni, e nei racconti: fiabe, romanzi, fantascienza e fantasy storica o pseudo tale.
«Ritengo gli Animali Piccole Persone, fratelli ’diversi’ dell’uomo, creature con una faccia», dice Anna Maria Ortese in Le piccole persone, saggio contenuto nella raccolta omonima pubblicata postuma; e più avanti: «Sento nella natura una tristezza di fondo… Come gravasse su tutti noi, l’albero, la bestia, l’uomo, una stessa confusa memoria della separazione, e apprendimento rassegnato del lutto». Senza questo lutto, dirà in seguito, non si può scrivere. E infatti i suoi grandi romanzi sono fondati nella compassione come cognizione profonda del dolore.
La protagonista di L’Iguana, un romanzo fantastico, che si potrebbe definire fantasy d’epoca, ha al suo centro Estrellita, un’iguana: «bestiola verdissima e alta quanto un bambino, dall’apparente aspetto di una lucertola gigante, ma vestita da donna, con una sottanina scura, un corsetto bianco, palesemente lacero e antico, e un ghembrialetto fatto di vari colori». Tra umano e animale, paradiso e inferno, è soggetta alle mutazioni dello sguardo altrui, considerata alternativamente principessa o servetta, sposa romantica o figlia adottiva, serpente malefico o fanciullina smarrita; lei non sa se «essere lei stessa, la Iguanuccia, il Male, ciò che dicesi ’spirito delle tenebre’, perseguito da Dio», oppure il simbolo di un’alleanza tra le diverse specie, «un affiatamento e uno sforzo di superare insieme la terrestrità…». 
DALLA VISIONE CUPA e triste di Ortese si passa al femminismo specuIativo di oggi che cerca una strada partendo dal femminile. Un modo di vivere insieme, in una catena simbiotica tra esseri di ogni specie e natura, è lo scopo del libro recente di Donna Haraway, Staying with the Trouble. Making Kin in the Chthulucene. Il titolo complesso si riferisce all’arte di vivere in un tempo profondamente disturbato, di sopravvivere nel disagio, coesistere con la devastazione. Dagli organismi cellulari endosimbiotici all’origine della vita, abbiamo bisogno gli uni degli altri in una simbiosi obbligata.
Vari decenni prima, l’autrice si era concentrata sul rapporto dell’umano con scienza e tecnologia nel suo Cyborg Manifesto, evocando nell’immagine del cyborg un organismo cibernetico, un ibrido tra macchina e umano, tra realtà sociale e romanzo, tra mito delle origini ed epoche future, tra scimmia e donna, come il titolo della raccolta Simians, cyborgs and women indicava programmaticamente – una guerra di frontiera giocata sui territori della produzione, della riproduzione e dell’immaginazione. 
NEL LIBRO RECENTE, la macchina c’è ma in secondo piano rispetto alla simbiosi organica che l’autrice vede come urgente su un pianeta danneggiato come quello in cui ormai viviamo. Il presente è quello dell’antropocene e del capitalocene, mentre il tempo del chthulucene – nome di un altro luogo e di un tempo che era, ancora è, e ancora potrebbe essere – produce poteri e processi terreni inclusi quelli umani ma molto di più. Si può resistere producendo relazioni e collettività che travalichino la singolarità della riproduzione umana. «Creare relazioni e comunità, non bambini», titolo di uno dei capitoli, guarda al creare legami e parentele non solo genealogiche, ma veramente a favore dei bambini che nel mondo attuale non sono protetti. 
IL RIFERIMENTO A COLORO che cercano rifugio, i migranti di oggi, è un elemento importante di questo passaggio: «L’antropocene distrugge luoghi e tempi di rifugio quando, proprio ora, la terra è piena di rifugiati, umani e non».
Il libro tratta della resistenza dei critters mortali sulla terra al tempo dell’antropos e del capitale. La parola inglese, alla lettera animali che strisciano, è usata promiscuamente per indicare esseri di ogni specie, microbi, piante, animali, umani e non umani («muniti di tentacoli, antenne, dita, cordoni, code di lucertola, gambe di ragno, peli scomposti») e talvolta macchine. Questi esseri sono alla base del pensiero tentacolare – il tentacolo può sentire e cercare – fatto di fili che disegnano figure concatenate, come quelle del ripiglino in cui lo spago passa da una forma all’altra, tessendo ragnatele di sentieri e causalità mai deterministiche: «Nodi che si sciolgono per crearne altri, come nella fantascienza, che narra trame di mondi e tempi possibili, mondi material-semiotici, passati, qui, o ancora a venire». Come non pensare agli esseri tentacolari, nuova e futura specie al centro della trilogia di Octavia Butler, Xenogenesis? 
LA CREAZIONE DI TRAME relazionali si ritrova in «fabulazioni filosofiche» ma anche nel rapporto tra scienza e immaginario («scientifico è il modo in cui scrivo», dice). Il rapporto con il pensiero antropologico fa capo a Anna Tsing, quello con la biologia a Lynn Margulis, con l’immaginario fantascientifico a Octavia Butler e Ursula Le Guin – tutte queste e altre sono le sue sorelle. È nella mitologia che il pensiero di Haraway trova le sue icone: «Medusa/Gorgoni/Erinni (Furie), Arpie, potenti entità alate dalla presa laterale e tentacolare, senza una genealogia o un genere definito, anche se sono sempre raccontate come femminili». 
La copertina di Geraldine Javier mostra una figura composita che ha la radice in un’ossatura pelvica umana in forma di farfalla e s’innalza in una colonna vertebrale fatta da filamenti vegetali, finendo nell’immagine di una farfalla composta di due foglie secche. È umanoide e insettoide, fibrosa e ossea, pianta e animale, tra evocazione e metamorfosi. C’è il riferimento ai tanti temi del libro: le arti fibrose, la barriera corallina, le figure di fili o spago, le tessiture navajo, la medusa merlettata, e il richiamo alle molte metafore visuali, corporee e cerebrali, etimologiche, mitologiche e scientifiche.

Nessun commento: