lunedì 26 giugno 2017

"Russia 1917" di Guido Carpi e lo strabico Carioti che vede solo gli orrori altrui

La vita quotidiana ai tempi dei bolscevichi 
«Russia 1917. Un anno rivoluzionario» di Guido Carpi, pubblicato da Carocci. L'autore sarà oggi al Pisa Book festival per impersonare la difesa nella messa in scena di un «processo» a Lenin 
Michele Nani Manifesto 11.11.2017, 0:03 
«Il problema principale era costituito dalle cantine del Palazzo d’Inverno Come scendeva la sera si scatenava un baccanale selvaggio. Ci berremo i resti dei Romanov, questo slogan giocondo aveva conquistato la folla Provammo ad allagare le cantine d’acqua, e gli stessi pompieri si ubriacarono appena messisi all’opera»: così recita un passo delle memorie del comandante militare bolscevico Antonov-Ovseenko. Chissà se Walter Benjamin, che nei dettagli minori e rimossi sapeva leggere i contesti più ampi, avrebbe scelto questa immagine per dar conto del rovesciamento in atto dopo l’ottobre del 1917 in Russia. 
Eventi apparentemente insignificanti possono essere rivelatori di trasformazioni profonde: ricchissimo di questi scorci è il recente libro di Guido Carpi, Russia 1917. Un anno rivoluzionario (Carocci, pp.199, euro 17) che, anche per la piacevole scrittura, rappresenta una delle migliori letture per accompagnare il centenario. 
L’ASSUNTO che ispira la ricostruzione di Carpi, esplicitato senza clamori fra i suggerimenti bibliografici, è una liberazione dai luoghi comuni: se dopo l’apertura degli archivi russi le opere uscite prima del 1991 sono divenute «obsolete», i volumi successivi disponibili in italiano sono in larga parte riconducibili al genere «demonizzante», che riduce il comunismo a «fenomeno patologico». Che sia uno storico della letteratura a dover ricordare la «centralità della storia sociale per comprendere la rivoluzione» è emblematico di una congiuntura storiografica. 
Dopo una breve ma efficace introduzione nella quale viene tratteggiata la situazione della Russia zarista nel primo Novecento, il volume si distribuisce in tre densi capitoli, accomunati dalla medesima scelta di metodo. Carpi costruisce la narrazione degli eventi del 1917 attraverso un accorto montaggio delle molte voci dei testimoni diretti, fra memorie, carteggi e cronache quotidiane della stampa russa, riuscendo a mostrare «la rivoluzione come la vedeva chi vi era coinvolto», che fosse favorevole, contrario o semplicemente prendesse atto passivamente del processo in corso. Un piccolo spazio specifico è riservato di tanto in tanto alle vicende quotidiane di Lenin, che sarebbe passato nel giro di pochi mesi dall’esilio alla direzione del processo rivoluzionario. 
Il capitolo dedicato al «prima» della rivoluzione prende le mosse dall’ultimo anno di pace, seguendo l’ingresso in guerra, le sconfitte sul fronte tedesco e le occupazioni territoriali, la crisi delle retrovie, l’intensificazione della propaganda e del protagonismo dello Zar, ma anche il moltiplicarsi di voci antizariste. Lenin ripara da Cracovia in Svizzera, in condizioni malcerte. 
GRAN PARTE DEL LIBRO è tuttavia dedicata al «durante». A febbraio divampa la rivoluzione a Pietrogrado (così rinominata in spregio al tedesco burg), e rinascono i soviet, i «consigli» dei lavoratori e dei soldati già protagonisti della fallita rivoluzione del 1905. Finisce la dinastia dei Romanov e la Russia è ora una fragile democrazia, guidata dal governo provvisorio del partito borghese dei «cadetti», ma in preda a una generale ripresa di parola e rivendicazione, che tocca tutte le figure sociali, dalle minoranze etniche ai sordomuti, dai ladri ai piccoli orfani. Lenin si ricongiunge ai suoi compagni bolscevichi (l’ala «sinistra» della socialdemocrazia) grazie a un treno sigillato che attraversa la Germania, perfido dono del Reich per mettere in difficoltà i nemici russi. 
IL PROLETARIATO di Pietrogrado accoglie trionfalmente un dirigente che inneggia al potere sovietico e al rifiuto della guerra imperialistica. Mentre governo e soviet divergono sempre più, s’impone la centralità della questione contadina: ad esempio a Odessa migliaia di delegati rurali negano il diritto di «possedere la terra», che dev’essere invece goduta da «chiunque la lavori». Le contraddizioni si approfondiscono, nell’esercito, nelle fabbriche e nelle campagne: falliscono un’insurrezione rivoluzionaria e un colpo di Stato reazionario. Mentre Lenin dà alle stampe dalla clandestinità Stato e rivoluzione, i bolscevichi sono sempre più organizzati ed egemoni e insediano Lev Trockij a capo del soviet di Pietrogrado, ma il governo insiste per proseguire la guerra e frenare le conquiste sociali. 
«RUSSIA 1917» si chiude sull’Ottobre e il suo immediato «dopo». Il «capolavoro» militare dell’insurrezione di Pietrogrado culmina nel leggendario assalto al Palazzo d’Inverno, sede del governo. I bolscevichi al potere deliberano subito la pace fra i popoli e la terra ai contadini, guadagnandosi l’appoggio di ampi settori popolari. Nei mesi successivi sciolgono l’Assemblea costituente e sterminano la famiglia reale, ma devono accettare una pace punitiva con gli Imperi centrali, mentre si accendono i primi focolai della guerra civile che avrebbe dilaniato i territori dell’ex-Impero russo negli anni a venire. 
Le difficoltà della costruzione del socialismo sono ora palesi anche allo stesso Lenin, ma Carpi sceglie di terminare il suo avvincente racconto con un apologo del regista teatrale Evgenij Vachtangov: «le mani dell’operaio mi hanno svelato ogni cosa in ciò è il senso della rivoluzione non si limiterà a riparare, ma anche edificherà. Sarà per sé adesso che edificherà»

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