martedì 27 giugno 2017

Sempre lo stesso errore: prosperi gramsciani e palindromi antigramsciani uniti per riconquistare il PD e per un nuovo Centrosinistra














C’è spazio per la sinistra 
Ballottaggi. Dissolti i tre poli in parlamento, perché sono cadute le linee ideali e le fratture sociali che segnavano la distanza tra gli attori, si apre la strada alla necessaria politica di alternativa al Pd 

Michele Prospero Manifesto 25.6.2017, 23:59 
Anche il silenzio dei leader, caduto sui semiclandestini ballottaggi di oggi, conferma che gli equilibri politici che poggiavano su tre poli incomunicanti sono già diventati precari. I protagonisti della stagione parlamentare avviata nel 2013 sono accomunati da una precoce tendenza all’usura. La fuga dei cadaveri viventi dalle battaglie simulate che si svolgono nelle città svela quanto illusoria sia stata la interpretazione del voto amministrativo come una resurrezione del bipolarismo del tempo che fu. 
Sul fronte destro la ripresa competitiva che si registra nel primo turno ha il volto principale della Lega securitaria, sovranista e anti islamista. La fretta un po’ grottesca con cui Berlusconi, tra cani e agnelli, si precipita a rivendicare la paternità di un successo annunciato non cancella le difficoltà della destra. Frantumata al suo interno, come tutte le aree politiche, naviga a vista e non riesce a tracciare una efficace strategia condivisa. 
Se il gioco nel 2018 si svolgerà con un meccanismo maggioritario, il Cavaliere dovrà mantenere in vita una armata coalizionale. Deve cominciare ad oliarla nei meccanismi arrugginiti con la consapevolezza di non poterla guidare. La premura, che più lo tormenta, è di impedire che a condurla alle trincee sia Salvini. 
Un leghista diverso, con la fama di pragmatico amministratore e il volto di politico moderato potrebbe risolvere le grane di un’intesa che rimane difficile ma è nella forza delle cose. 
Ma, se alle politiche si voterà con una formula proporzionale, le grandi manovre per rintuzzare le insane pretese alla leadership di un alleato scomodo, e per lanciare una coalizione competitiva, perdono ogni pregnanza. E Berlusconi, che proprio su questo scenario di frantumazione scommette, è pronto al pantano del trasformismo per incassare gli attestati di politico responsabile sul quale contare nelle emergenze parlamentari. In cambio del negoziato attende le solite cose che interessano un capo d’azienda. 
I tre poli si sono dissolti in parlamento perché sono cadute le linee ideali e le fratture sociali che segnavano la distanza tra gli attori. E le consuete confluenze in aula tra Pd e Fi non sono soltanto degli occasionali sostegni offerti per garantire la sopravvivenza dell’esecutivo traballante. Sembrano la conferma di un processo di radicale deideologizzazione che spegne le differenze programmatiche, annichilisce le ragioni costituzionali del contendere. La grande bonaccia trasformistica, nella quale le truppe del Pd e di Fi convergono a primavera, potrebbe però non bastare per garantire i numeri al governo dei responsabili. 
Il Pd infatti pare assai sovrastimato nei sondaggi. E la terra promessa di un incontro strategico con Berlusconi (le cui premesse furono gettate nell’incontro di Arcore del 2010) non assicura un forte recupero di consensi. Questo non significa che il Pd sia, come è stato osservato al Brancaccio, un partito della destra. Il Pd è un partito personale-populista fortemente deideologizzato con la sola mitologia del potere a fare da collante per un ceto politico incolore, senza cultura, identità, referenti sociali. 
Non più in grado di delineare una alternativa di sistema pare ormai il M5S, assente nei ballottaggi, con le grane di gestioni amministrative disastrose e senza più a disposizione la carta primitiva della totale estraneità alla casta del potere. I suoi parlamentari sono dentro i meccanismi, godono dei privilegi e dei costi della politica, rinviano ad oscure dinamiche micro aziendali, a centri occulti di eterodirezione. Con la verginità perduta, non possono ripetere la stessa sceneggiata dello tsunami tour perché il grido di rivolta: tutti a casa, li coinvolgerebbe, come gli altri politicanti. 
C’è spazio per una nuova sinistra. La necessaria politica di alternativa al Pd non si prospetta però con semplificazioni analitiche (mai alleanze, processo a condotte criminogene dei protagonisti di un ventennio) e con immagini di estraneità al ceto politico che paiono ormai batterie spente. Le simbologie della società civile sembrano carte impallidite in un sistema alla deriva in cui Renzi non si presenta come un politico ma come un “ragazzo di provincia”. Madia si vanta da sempre per aver portato in politica “la sua inesperienza” e i grillini predicano tutta la loro ostilità alle classi dirigenti di qualità in nome del principio che “uno vale uno”. Nella crisi strutturale del M5S e del Pd renziano occorrerebbe rilanciare i valori della grande politica. 
Per Gramsci (Quaderni, p. 1140) la politica nei regimi di massa non è altro che «l’efficacia e la capacità di espansione e di persuasione delle opinioni di pochi, delle minoranze attive, delle élites». 
Se queste élite con una cultura critica e di classe ci sono nelle residue organizzazioni della sinistra si mettano all’opera, in quel processo costituente che Asor Rosa ha invocato, per la ricostruzione di un grande soggetto, senza nascondersi dietro le effimere adunate dal basso, da cui nulla nasce di durevole oltre i tormenti di sopravvivenza per l’appuntamento elettorale imminente. 
Se intanto, tra il fuoco amico, oggi cadesse Genova, per l’immaginario della sinistra sarebbe una tragedia.

Pd in coma, ma la sinistra non rinasce nei teatri o in una piazza romana Sinistra. Renzi è solo un capo dalle smodate ambizioni con un’insana nostalgia di ritorno a Palazzo Chigi. Con la complicità di un non-partito che non ha dirigenti ma scudieri Michele Prospero Manifesto 27.6.2017, 23:59
A un leader che ha perso lo scettro a Rignano ci mancava solo il vagabondare di Prodi nelle vesti del buon confessore. Il capo di un partito personale, cui viene scucito il potere proprio nel natio paese-simbolo, quando si imbatte nell’astuto confessore avverte che quello è lì per somministrare la estrema unzione. Lo stato di salute del capo non più gagliardo è malfermo da un pezzo. E starsene in piscina, in attesa del destino avverso, è un segnale in più. Si tratta di un irrimediabile disfacimento di quello che fu il corpo del leader in camicia bianca.
Ormai quasi tutte le città della Toscana sono state espugnate dalle forze nemiche. Per un capo che ha condotto le ardite scalate ostili con il supporto del comitato d’affari della piccola borghesia toscana essere scacciato da una città dopo l’altra del Granducato non è certo l’indizio di una solida volontà di rivincita. Anche gli antichi protetti nel Consip si scagliano contro i suoi colonnelli, in gesti di ribellione che sono possibili solo contro gli agenti di un potere percepito come ormai in declino. E il fumo delle braciolate non basta a tenerlo al riparo dai guai procurati dalla brama di possesso della più ristretta cerchia dell’influenza.
Dopo aver rotto con la Cgil e divorziato con il mondo del lavoro c’è poco da ricamare per rinsaldare un legame con il voto popolare.
L’altro serbatoio dell’elettorato di sinistra, quello dei professori, il Pd se lo è giocato per sempre con gli algoritmi e le simbologie del comando della buona scuola. E il vero mito fondativo della cultura politica della sinistra repubblicana, ha funzionato come collante ideale nel corso di settant’anni, cioè la costituzione come grande valore programmatico da attuare, Renzi lo ha infranto nel plebiscito del 4 dicembre.
Con i figli di una democrazia cristiana minore (Lotti, Boschi, Rosato, Bonafé, Picierno, Fioroni, Franceschini, Guerini) Renzi non riesce a colmare lo strappo simbolico con Bersani, D’Alema, Rossi, Speranza. Senza l’amalgama con quel po’ di rosso che i fuggitivi comunque garantivano, il Pd esce a pezzi, non potrà superare che a stento il 20 per cento, altro che le cifre trionfali sfornate dai sondaggisti.
Le amministrative certificano che il Pd è in coma irreversibile. Non esiste come partito organizzato nei territori. L’accelerazione verso un partito personale, con la rete del notabilato locale, quello più spregiudicato e disincantato sul piano etico-politico, a fare da supporto alle ambizioni di restaurazione del capo ferito, non regge l’urto. È così sfilacciato e esangue come organismo collettivo che il Pd non ha neppure la residua forza di chiedere con voce flebile la rimozione del capo che in battaglia si è rivelato un perdente di professione.
Il mito renziano del soltanto con me si vince, alzato contro i campioni della non vittoria che avevano sciupato un rigore a porta vuota, si converte amaramente nella reiterata sconfitta dell’uomo solo al comando che preferisce la codarda fuga dai teatri di guerra delle città più calde. Ha perso tutte le battaglie: le regionali, le amministrative, i ballottaggi e il plebiscito sulla Costituzione. Ha prodotto il roboante vuoto della sconfitta che lo trafigge senza però farlo desistere dall’oscuro proposito di resistenza al comando.
Se fosse un vero leader, mosso da un briciolo di idealità politiche, avrebbe lasciato il timone per il bene del partito. Ma Renzi è solo un capo dalle smodate ambizioni di potere che, spinto da moventi non politico-ideali, ha distrutto con accanimento l’ordine collettivo. Tra le sterminate macerie accumulate proclama una insana nostalgia di ritorno a Palazzo Chigi e si arrocca alla guida folle della macchina con la complicità di un non-partito che non ha gruppi dirigenti ma scudieri che gli devono tutto e lo accompagnano verso il disastro.
Il ballottaggio dimostra che il male di vivere riguarda il Pd, e per sottrarlo agli spasmi dello stato terminale non è questione di collante, campo, alleanze più o meno larghe.
Se non si costruisce una alternativa di sinistra al Pd, visto che i ricambi interni sono assai problematici in partiti leaderistici senza cultura politica, l’oblio del Nazareno si riverbera sul sistema determinando una fuoriuscita di destra alla crisi della democrazia.
Non si affronta però la gran tempesta del decesso del Pd con i raduni nei teatri e nella piccola piazza romana. A quando la politica?

Nessun commento: