venerdì 15 settembre 2017

Una riflessione sull'arte del Novecento a partire da Picasso

Gabriele Guercio: Il demone di Picasso. Creatività generica e assoluto della creazione, Quodlibet, pp. 252, euro 18

Risvolto
 Intrapreso agli inizi del Novecento, l’abbandono di un’idea di creatività rarefatta e aristocratica – che in Occidente pur sostenne la visione dell’originalità dell’opera d’arte, da Dante fino a Heidegger – trova negli ultimi decenni un inquietante parallelo nell’organizzazione del lavoro: proprio come il lavoro esonda nel non lavoro, così l’arte sconfina nella non-arte, ed entrambi sfociano in una piatta e deresponsabilizzata dimensione di creatività generica, totalitariamente e indiscriminatamente fungibile dal mercato e dal marketing.
È giusto ribellarsi a questo omologante laissez-faire, al contempo sregolato e dispotico? Per rispondere consapevolmente in maniera affermativa, Gabriele Guercio traccia una genealogia e una storia degli aspetti dirimenti dell’arte novecentesca, facendosi in ciò guidare da Picasso. Se infatti l’inquilino di Boulevard Raspail 242 è indubbiamente il pioniere della sregolata disseminazione del fare creativo che ancor oggi connota la pratica artistica, la sua storia non è certo riducibile a questo pluralismo panico. Picasso ha attraversato l’anarchia e ha toccato l’altra riva della libertà, riconoscendo e problematizzando il volto nefasto e opprimente dell’indifferenza della produzione (ormai abitata da sostituibili e nomadi creativi). Fu cioè posseduto da un demone bifronte, che se da un lato alimentava il faustiano relativismo creativo, dall’altro lo spingeva a riconquistarsi un creazionismo artistico potenzialmente in grado di riscattare e il lavoro e l’arte.

Il demone di Picasso non è la pittura 

Arte e filosofia. Gabriele Guercio racconta, in un libro per Quodlibet, come il creatore delle «Demoiselles d'Avignon» non sia il campione di un ritorno alla manualità della pittura contro il concettualismo 

Nicolas Martino Manifesto 13.9.2017, 0:06 
La tesi del nuovo libro di Gabriele Guercio – Il demone di Picasso. Creatività generica e assoluto della creazione (Quodlibet, pp. 252, euro 18) – è tanto semplice quanto affascinante e al tempo stesso radicale: non è vero che il Novecento dell’arte può essere diviso in due, da una parte Duchamp, la smaterializzazione e il concettuale e dall’altra Picasso, la materia e la pittura, e soprattutto non è vero che la problematicità della questione artistica sarebbe un tratto caratteristico del primo, mentre al secondo apparterrebbero solo esuberanza, opportunismo e imprenditorialità. 
Al contrario, Picasso avrebbe vissuto la sua esperienza artistica catturato da un vero e proprio demone e avrebbe aperto una linea di riflessione concettuale intorno alla crisi dell’arte che si trascinerebbe fino a oggi, tanto da conoscere degli sviluppi significativi nei lavori di alcuni artisti contemporanei. Il demone di cui qui si parla è quello scatenato dalla scoperta della Creatività generica che determina la fine di ogni differenza tra arte e non-arte e apre un baratro sul quale si sporgono la riflessione estetica e artistica. 
LA SCOPERTA DI PICASSO risalirebbe al 1913, anno in cui realizza la Composition photographique à la ’Construction au joueur de guitare’, una messa in scena che rompe i confini tradizionali della tela dichiarando che tutto può, da quel momento, essere arte. Rimane affascinato dalla potenza della Creatività generica, ovvero dalla percezione che condivide con Duchamp della creatività come facoltà genericamente umana, ma rimane anche turbato dall’«indifferenza» che si apre a partire dalla produzione artistica come lavoro e inizia una lotta contro il demone del generico che lo porterà non tanto – lo sottolinea molto bene Guercio – a ristabilire un canone tradizionale dell’arte e a ricucire il confine tra arte e non-arte, quanto a esplorare – attraverso il tema più volte riproposto del pittore e della modella – la potenza chiusa nel principio della creazione ex nihilo ribaltandolo su un piano di pura immanenza, ovvero nell’eccedenza di essere di cui si fa portatrice l’opera d’arte come accadimento. 
Se è senz’altro salutare la decostruzione di un luogo comune come quello della falsa dicotomia Duchamp-Picasso, e necessaria la sottrazione di Picasso alla cattura di un sistema culturale che negli anni ’80 ne ha fatto il campione di un ritorno alla manualità della pittura contro il concettualismo, ci sembra però che il tema della creazione ex nihilo finisca per riproporre proprio quella funzione autoriale che lo stesso Picasso insieme ad altri aveva già messo in questione, e quindi una dimensione aurorale e quasi orfica dell’artista. 
UNA STRADA che alcuni autori alla fine del secolo scorso hanno tentato come fuoriuscita dalla crisi dell’arte modernista (e tra questi Gino De Dominicis, al quale non a caso Guercio ha dedicato un altro suo importante lavoro), ma che non è altro che un cul de sac da sfondare portando ancora più a fondo il colpo.
Se insomma Picasso agli inizi del ’900 indica la grande questione del cosa viene dopo l’arte moderna, e soprattutto Francesco Matarrese, dagli anni ’70, lavora ostinatamente sulla terribile tensione prodotta da questa domanda, la fuoriscita dall’impasse, come indicato proprio da quel pensiero post-operaista più volte citato da Guercio, non è nel genio di un singolo artista, ma in quelle pratiche collettive che nella ricerca di un grande stile si sottraggono alla cattura della creazione da parte del capitale e lottano per la liberazione del tempo. 
Artista e opera, fossero anche quelli dell’immanenza e della creazione ex nihilo, sono ormai concetti-zombie, contenitori vuoti che chiedono di essere radicalmente ripensati a partire da quelle pratiche estetiche e politiche che, figlie sempre illegittime e minori di Picasso come di Duchamp, non hanno lo sguardo rivolto a un passato da restaurare, ma a un futuro più libero e ricco ancora tutto da costruire, giorno per giorno.

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