lunedì 18 dicembre 2017

Tutti gli scritti di Unamuno sul Chisciotte

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Unamuno in barba ai masoreti cervantisti 
Letteratura spagnola. Miguel de Unamuno affrontò il «Chisciotte» con libera genialità, senza alcuna reverenza verso i filologi. Tutti gli scritti da Bompiani 

Pasquale Di Palmo Alias Domenica 17.12.2017, 0:12 
Nel celebre racconto Pierre Menard, autore del «Chisciotte», Borges descriveva le peripezie del protagonista impegnato a riscrivere, parola per parola, attraverso un procedimento estemporaneo, il capolavoro di Cervantes. Sembra che lo scrittore argentino si fosse ispirato a Miguel de Unamuno (1864-1936), filosofo, saggista, narratore, poeta, guida carismatica di quella generación del ’98 che così tanto peso ebbe nelle scelte ideologiche e culturali spagnole nei primi decenni del ventesimo secolo. Unamuno fu ossessionato dalla figura di Don Chisciotte cui dedicò svariati testi. Bompiani ora pubblica, con testo originale a fronte, una nuova, pregnante traduzione di Vita di Don Chisciotte e Sancio e altri scritti sul Chisciotte («Il pensiero occidentale», pp. 896, € 40,00), a cura di Armando Savignano. Il testo che dà il titolo al volume, proposto a più riprese in italiano, conobbe una prima traduzione già nel 1913, qualche anno dopo la pubblicazione dell’editio princeps. Questa nuova raccolta accoglie alcuni tra gli scritti più significativi sull’hidalgo che costituiscono un’esauriente summa di quell’impareggiabile corpo a corpo sostenuto da Unamuno, durante tutta la sua esistenza, con il personaggio creato da Cervantes e che ispirarono varie opere, tra cui le Meditazioni del Chisciotte di un pensatore d’eccezione come Ortega y Gasset. 
Un saggio iconologico 
Il primo brano presentato è Il cavaliere dalla triste figura (1896) che, come dice il sottotitolo, è un «saggio iconologico» in cui Unamuno ripercorre, da par suo, la storia degli illustratori del Don Chisciotte. Vengono esposte le ragioni per cui nessuno di essi riuscì a calarsi adeguatamente nei panni del protagonista del romanzo (men che meno il tanto celebrato Gustave Doré), ritraendolo in maniera poco verosimile, anche se viene riconosciuto agli artisti spagnoli di aver composto, con la loro opera, «un archetipo empirico, per forza nebuloso e graficamente astratto, da cui il pittore potrebbe trarre la figura di Don Chisciotte». Unamuno argomenta sui tratti fisiognomici di Don Chisciotte scomodando Lavater e contrapponendosi alle teorie lombrosiane. Rimprovera agli illustratori di averlo immortalato in maniera approssimativa, disquisendo con leggerezza sopra «baffi tesi e arrotolati» o spioventi.
Nel 1905 uscì il saggio Sulla lettura ed interpretazione del Chisciotte che si può considerare una sorta di prologo alla più celebre Vita di Don Chisciotte e Sancio. «Unamuno critica con vigore l’erudizione fine a sé stessa e la pedanteria accademica che impedisce di intendere appieno il senso e l’attualità di Don Chisciotte, che egli affranca paradossalmente dallo stesso autore Cervantes ritenendolo una figura autonoma con un’entità indipendente e reale», osserva Savignano nella sua introduzione. Aggiungendo che Cervantes è «il ventriloquo di una storia fantastica che sarebbe, in un modo o nell’altro, venuta alla luce». Unamuno stesso suddivide in due distinte fazioni esegeti e ammiratori: da una parte i cervantisti, dall’altra «la sacra legione dei chisciottisti». E rincara la dose: «Non c’è dubbio che se mai Cervantes ritornasse al mondo si schiererebbe con i cervantisti e non con i chisciottisti». 
Il lato comico della vicenda 
Cervantes viene additato come uno scrittore che riesce a manifestare il suo genio solo a diretto contatto con il Chisciotte (duro il giudizio espresso sulle Novelle esemplari), senza peraltro capire la psicologia del personaggio, spesso travisandolo, inaridendone la sorgiva fierezza di intenti, quella che María Zambrano ha definito «passione tragica dell’essere». Aggiunge Unamuno: «Cervantes ha realizzato nel suo Chisciotte l’opera più impersonale che si possa fare e, pertanto, quella che in un certo senso è la più personale. Cervantes, come autore del Chisciotte, non è altro che il ministro e il rappresentante del suo popolo». In tal senso Unamuno ridimensiona il lato comico della vicenda, attribuendole un forte ascendente drammatico e spirituale. Non delinea in fondo l’inesausta lotta del «cavaliere errante» la metafora di una condizione umana pervasa da quello che è il «sentimento tragico della vita»? Non è un caso che nel suo trattato filosofico del 1913 il capitolo conclusivo sia dedicato a «Don Chisciotte nella tragicommedia europea contemporanea». 
Se le imprese del Chisciotte sono da annoverarsi alla stregua di un’opera autonoma, svincolata dal suo stesso creatore, la Vita di Don Chisciotte e Sancio (1905), valutata uno dei capisaldi dell’opera di Unamuno, ne rappresenta il testo paradigmatico. Concepito come un commento al romanzo, è in realtà una riscrittura del capolavoro di Cervantes; in quest’ambito non si può non considerare l’estensore di un simile progetto contagiato dalla stessa follia di cui viene tacciato il «cavaliere errante». Eppure, nonostante le premesse giocassero a suo sfavore, Unamuno è riuscito a regalarci un libro altamente poetico, che contiene un sistema filosofico basato su un ideale etico teso a ricercare l’immortalità attraverso la gloria e la fama agognate da Don Chisciotte, in virtù dei suoi precetti cavallereschi. Abbagnano aveva parlato di «fede nell’immortalità come strumento di emancipazione dell’uomo dalla miseria della vita quotidiana e come impulso a costruire un mondo migliore». 
La figura di Don Chisciotte è vista come quella scarnificata di un «Cristo spagnolo», un Cristo di Velázquez crocifisso a uno di quei mulini a vento contro cui si scagliava eroicamente, scambiandoli per giganti, in groppa al suo Ronzinante. Al superuomo nietzschiano subentra il superuomo cristiano incarnato nel profilo allampanato ed eccentrico di un cavaliere che «avanzava nel mondo per raddrizzare i torti che gli si presentavano». Il grottesco si configura come il veicolo attraverso il quale si manifesta la dicotomia esistente tra spleen e idéal, secondo la definizione baudelairiana. 
L’Ignazio di Pietro di Rivadeneira 
Numerosi sono i passaggi in cui Unamuno enumera le analogie con la Vita del beato Padre Ignazio di Loyola di Pietro di Rivadeneira, opera pubblicata in volgare castigliano nel 1583 e appartenuta, secondo la versione unamuniana, alla biblioteca di Don Chisciotte – anche se Cervantes omette volontariamente di citarla. Unamuno rielabora e commenta, capitolo dopo capitolo, le vicissitudini del Chisciotte, con una libertà di movimento disarmante e ammirevole al tempo stesso, contraddicendo spesso le asserzioni di Cervantes, di cui rimarca a più riprese la «limitatezza dell’ingegno». Unamuno salta capitoli interi e, quando un argomento è funzionale alla sua esposizione, si sofferma a dissertare sopra altri in maniera dotta e articolata. Osservava Carlo Bo: «Unamuno (…) è come l’eroe della sua vita, parte subito lancia in resta e non teme di vedere nel libro cose che sono soltanto nella sua fantasia, nella teoria dei suoi umori intellettuali e spirituali». E proprio in questo limite sta la grandezza del libro di Unamuno, nell’aver affrontato, in barba a filologi e «masoreti cervantisti», il capolavoro di Cervantes senza alcun timore reverenziale, libero di paragonare i mulini a vento agli infernali «apparati meccanici» moderni o di assecondare l’hidalgo quando crede d’alto lignaggio una contadina la cui identità diventa quella idealizzata di Dulcinea del Toboso. 
Sancio Panza è considerato un «doppio» del suo padrone, visto che «l’ombra di cupidigia che lo spinse a partire (…) fece sì che la sete d’oro si trasformasse alla fine in sete di fama». Tuttavia, commentando certi episodi, Unamuno rileva il contrasto esistente tra il cavaliere e il suo scudiero: «Così avviene appunto col sanciopanzismo che la gente chiama alcune volte positivismo, altre naturalismo e altre ancora empirismo, e la faccenda consiste nel fatto che, passata la paura, ci si può benissimo fare beffe dell’idealismo chisciottesco». Ma esiste una contrapposizione così netta tra questo Sancio «chisciottizzato» e un Chisciotte «sancizzato»?



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