lunedì 25 giugno 2018

Le Storie babilonesi di Giamblico

Storie babilonesiGiamblico: Storie babilonesi, La Vita Felice 
Risvolto

Sinonide, a quest’ultima cosa, avvampò e non attese il resto del discorso, ma disse: «Soreco, ti ho concesso questa tua infelice tirata, e ho fatto male: magari fossi morta, prima di aver sentito che Rodane è bello anche per un’altra! Non tentare di fermarmi, se non vuoi assistere a un delitto in questo luogo deserto. Tu lo sai che non mento: ho te come testimone della mia audacia. Vedi che ho una spada, e ho una ferita; Rodane è stato solo appeso alla croce, io invece ho sfiorato la morte e ho avuto la prova che gli uomini non provano dolore mentre muoiono, la morte non è sgradevole: per gli innamorati, anzi, è addirittura dolce. Perché mi trattieni, Soreco? Lo attesto, tu vuoi salvare a Rodane la sua amata; non minacciarmi processi, arresti, punizioni: io non ho paura di nessuno, io che non ho avuto paura né della notte né della croce...».
Due bellissimi sposi, Rodane e Sinonide, la sorte capricciosa, che ama scatenare i turbinosi eventi caratteristici della narrativa romanzesca di età tardo-ellenistica e imperiale, un’ambientazione esotica e remota, un perfido antagonista, numerose vicende secondarie ricche di dettagli sanguinosi e macabri, qualche particolare scabroso, una serie infinita di rocamboleschi colpi di scena e scambi di persona, morti apparenti e miracolose risurrezioni... Tutto questo e molto altro si trova nelle Storie babilonesi di Giamblico, o per meglio dire si trovava, perché il romanzo è andato perduto, a parte un discreto numero di brevi frammenti, più tre di maggiore estensione, ma risulta ricostruibile grazie all’epitome contenuta nella Biblioteca del patriarca bizantino Fozio.

Giamblico, sventure esotiche di una giovane coppia 
Letterature classiche. Vissuto nel II secolo, di origini siriache, retore di successo, Giamblico ci è giunto a frammenti e per tradizione indiretta (Fozio, antologisti bizantini): le «Storie babilonesi» per La Vita Felice 
Nunzio Bianchi Alias Domenica 24.6.2018, 0:36 
In pieno nono secolo, il patriarca bizantino Fozio, uomo di vaste letture, riesce a mettere le mani su una copia del romanzo di Giamblico, scritto circa sette secoli prima: si tratta dei Babyloniaká, le Storie babilonesi, di cui oggi non restano che frammenti (da ritagli di poche parole a più larghi estratti). A beneficio suo e della sua cerchia erudita, Fozio offre un puntuale e per noi prezioso compte rendu dei Babyloniaká nel capitolo 94 della Biblioteca: a tratti licenzioso e spericolato, questo romanzo si segnala per le qualità dello stile e della composizione narrativa, sicché l’autore avrebbe potuto dar prova della sua abilità «anche negli argomenti più impegnativi e non solo in opere frivole e di fantasia». Pur senza indicarne il titolo – preservato, insieme a numerose citazioni, da una delle maggiori ‘enciclopedie’ bizantine, il lessico Suda (decimo secolo) – Fozio fornisce un lungo riassunto dei Babyloniaká, che ci consegna una storia su soggetto e scenario mediorientali altrimenti sconosciuta.
Qualche decennio dopo, un altro bizantino illustre, il basileus dei romei Costantino VII Porfirogenito (912-959), si farà promotore della compilazione di grandi antologie tematiche di brani scelti da autori antichi (taluni fatalmente perduti), i cui manoscritti furono fatti cercare per tutto l’impero: sono i cosiddetti Excerpta Constantiniana, nei quali è confluito pure un ampio stralcio dei Babyloniaká che consente di saggiare le capacità scrittorie del nostro romanziere.
Dopo di che, il silenzio dei secoli scenderà su Giamblico e la sua opera. I Babyloniaká si sono dunque salvati (per lacerti e spezzoni di tradizione indiretta) e al tempo stesso sono andati perduti nel cuore del Medioevo greco. Il momento cruciale di questa vicenda di conservazione e perdita si colloca all’altezza dei secoli IX-X: secoli, non a caso, di antologie, di collezioni enciclopediche, di raccolte e sistemazioni del sapere.
A questi autorevoli testimoni bizantini (insieme a un informatissimo scolio appuntato nei margini del più importante manoscritto della Biblioteca foziana) si deve tutto quel che sappiamo sul conto di Giamblico, che è poi quanto lui stesso doveva riferire, a metà tra realtà e finzione in uno schizzo autobiografico nel bel mezzo del romanzo, non tanto per senso di protagonismo quanto, è da credere, per conferire attendibilità alla narrazione. A voler dare credito a queste notizie (non del tutto congruenti fra di loro), Giamblico sarebbe vissuto sotto l’imperatore romano Antonino Pio (138-161 d.C.) e il suo successore Marco Aurelio (161-180): di origini siriache, avrebbe appreso la lingua e cultura babilonese e sarebbe stato istruito anche nel greco fino a diventare un retore (e romanziere) affermato. Fiorì dunque in un ambiente culturalmente vario e di forte osmosi tra mondo greco-romano e orientale (siriaco, mesopotamico), lo stesso che fa da sfondo al romanzo e su cui si innestano e rampollano elementi fantasiosi, casi mirabolanti, racconti esotici, episodi di magia, ossessioni erotiche e fatti truculenti.
Ambientato in terra siro-babilonese, il romanzo narra le storie irte di pericoli e sventure di una giovane coppia di sposi, Rodane e Sinonide, che tenta di sfuggire alle insidie di Garmo, re di Babilonia, invaghitosi della bella Sinonide: inseguimenti e fughe rocambolesche, inganni e colpi di scena, morti apparenti e miracolose risurrezioni, equivoci e scambi di persona, sangue che scorre copioso (e che verrà addirittura impiegato per inscrivere pietre tombali).
Chi voglia farsi un’idea di questo straordinario congegno narrativo – che chiamiamo romanzo servendoci di un felice anacronismo con cui si designano altre opere analoghe a tema erotico-avventuroso prodotte in età imperiale – potrà profittare della traduzione pubblicata nella collana «Saturnalia» delle edizioni de La Vita Felice per le cure di Roberta Sevieri (Storie babilonesi, pp. 124, € 9,50): vi troverà (quasi) tutto quel che rimane dei Babyloniaká, con note di commento – che chiariscono, anche alla luce dei frammenti trasmessi dalla Suda, alcuni passaggi troppo sbrigativamente sunteggiati da Fozio – e una bibliografia essenzialissima. Sembra dunque arridere buona fortuna a Giamblico in questi anni: nel 2015 era apparsa una nuova edizione critica di tutti gli esigui resti, tradotta e annotata da Marco Barbero (Edizioni dell’Orso), da cui la Sevieri riproduce il testo greco; nel 2016 è la volta della nuova edizione, con traduzione e note, di tutta la Biblioteca di Fozio (Edizioni della Normale di Pisa), di cui si dovrà tener conto. È merito della nuova traduttrice aver offerto al pubblico di non specialisti (rinunciando a complessi apparati e sinossi testuali che dessero conto del diseguale stato della conservazione filologica) le eterogenee reliquie di questo proteiforme long seller.

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