lunedì 10 dicembre 2018

"Porco maledetto", "Comunista di merda", "Zecca rossa": comunismo non è economia politica o redistribuzione ma in primo luogo il riconoscimento della comune umanità


"... Un facchino che mi è rimasto affezionato dal tempo dei miei due traslochi (tutte brave persone, mi sa tanto che siano vicini al partito comunista) mi compare davanti in Freiberger StraBe, mi afferra una mano con le sue zampone e "sussurra" (lo sentiranno anche dal marciapiede opposto): "Forza, professore, non si avvilisca! Quei maledetti sono quasi spacciati!". È una gran consolazione, qualcosa che riscalda il cuore, ma se dall'altro lato della strada lo sentisse la persona giusta, al mio consolatore costerebbe il carcere e a me la vita, via Auschwitz...

Nella strada deserta un'auto di passaggio frena, la testa di uno sconosciuto si sporge dal finestrino: "Sei ancora vivo, porco maledetto? Bisognerebbe schiacciarti, passarti sopra la pancia!"...".
Nel suo diario pubblicato al termine della Seconda guerra mondiale con il titolo "La lingua del Terzo Reich", il grande filologo Victor Klemperer - ebreo sposato a una donna "ariana" - ricostruisce i tragici anni della sua permanenza in Germania sotto il nazismo e ricorda come, nel disprezzo generale di chi, tutti bravi tedeschi del popolo, lo considerava un Untermensch, l'unica forma di solidarietà gli fosse venuta, a rischio della vita, da poche "brave persone" che erano "vicine al partito comunista".
Non per caso, ancora oggi, chi osa difendere il proprio prossimo - e il prossimo, anche per i cristiani, è anzitutto colui che ha sbagliato - viene insultato e marchiato come comunista: "comunista di merda, radical chic, perché non vai a guadagnarti i soldi buonista del cazzo".
Ecco, nonostante il viscido socialsciovinismo oggi dilagante, nonostante la paurosa regressione che ha investito il nostro stesso campo, i comunisti non sono tanto quelli che criticano la società borghese o l'economia politica e che vorrebbero una redistribuzione della ricchezza o addirittura instaurare la dittatura del proletariato, non sono quelli che stanno con Stalin o quelli che stanno con Trotzkij o mille altre di queste cose: sono in primo luogo quelli che, anche mettendo a repentaglio la propria incolumità, riconoscono e difendono la comune umanità.
Non sono niente le nazionalizzazioni, se manca la compassione. E questo non è un discorso moralistico ma, al contrario, di ontologia sociale [SGA].

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