domenica 9 febbraio 2020

Garfield e il collezionismo in miniatura

Simon Garfield: In miniatura, Johan & Levi pagg. 215 euro 22

Minuscoli universi 

Simon Garfield è un giornalista britannico che ha scritto uno studio sulle miniature. In cui spiega perché, dai trenini ai parchi a tema, ciò che è ridotto ci rassicura

di Marco Belpoliti Robinson 8 2 2020
Piccolo è bello? Probabilmente sì. Poiché viviamo in mondo gigantesco e minaccioso, scrive Simon Garfield all’inizio di In miniatura ( traduzione italiana di Nicoletta Poo, Johan & Levi editore, pagg. 215), controllarne anche solo una piccola parte di dimensioni minuscole può aiutare a ristabilire un ordine e darci insieme il senso del nostro supposto valore.
Il giornalista e saggista inglese ha condotto una inchiesta sulle piccole cose che l’ha portato ad analizzare una serie di riduzioni, dai trenini ai modellini architettonici, dal circo delle pulci ai libri quasi invisibili, tutte cose fatte rigorosamente a mano da uomini e donne. Quando è iniziata questa passione per il minuscolo? Senza dubbio qualche traccia c’è nel mondo egizio, nelle inumazioni, dove le mummie sono dotate di ushabti, le figurine alte tra i 17 e i 22 centimetri che assumono un ruolo rituale nel passaggio nell’aldilà: sono coloro che aiuteranno l’anima del defunto nelle mansioni manuali necessarie nella vita ultraterrena.
Tuttavia la miniaturizzazione, fatti salvi i giocattoli, che sono sempre stati un mondo in piccolo, nasce in un preciso momento della modernità. Nella primavera del 1889 viene inaugurata la Torre Eiffel, la più alta costruzione allora esistente della Terra. Di colpo il mondo intorno diventa piccolo, subendo una straordinaria contrazione. Viste dall’alto della costruzione dell’ingegnere francese le persone diventano delle formiche, e Parigi non è più una città, bensì la sua mappa. Secondo Robert Hughes le migliaia di persone, che salirono pagando il biglietto, ebbero quell’anno il medesimo impatto che ottanta anni dopo provocò la vista della Terra dalla Luna. Tutto si ridusse.
« Il panorama è una miniatura e la città è nelle nostre mani » , scrive Garfield. Quello spazio minuscolo e minuzioso descritto dagli amanuensi medievali s’era esteso al mondo nel suo insieme. Con questa nuova visione delle cose nasce anche il souvenir, parola d’origine francese coniata nel Seicento, che acquisisce solo nel 1889 il suo significato definitivo: un ricordo. La Torre Eiffel è essa stessa un giocattolo e i visitatori appena scesi comprano i souvenir che Eiffel commercializza ai grandi magazzini Printemps. Però ben presto i negozianti intorno alla costruzione di ferro richiedono di poter produrre e vendere anche loro.
Come ha detto il filosofo Gaston Bachelard, il possesso del mondo è direttamente proporzionale alla abilità di miniaturizzarlo. Nel suo viaggio nel mondo del piccolo, Garfield non può fare a meno di visitare i villaggi e le città in miniatura che, almeno da bambini, hanno attratto tutti, facendo di noi tanti Gulliver a Lilliput. Dov’è cominciato tutto questo? Nel maggio del 1925 dentro il Grant Beach Park a Springfield in Missouri viene inaugurato un villaggio in miniatura chiamato Tony Town composto di milleduecento edifici costruito in legno, mattoni e cemento, scala 1:12.
Una folla oceanica lo visita il giorno della inaugurazione e in quelli seguenti. Costruito dagli alunni delle scuole della città, doveva servire per le lezione di educazione civica; l’idea è di un agente immobiliare, che pensa in questo modo di dare nuovo slancio al mercato edilizio in crisi: « Se riesco a convincere i ragazzi a costruire delle case in miniatura, il virus del mattone contagerà i genitori » . Ad attirare gente nella cittadina contribuisce davvero questo spettacolo inatteso, nel decennio successivo. La città fu smontata e i modellini finirono nelle vetrine dei negozi. Nel 1929 apre invece Bekonscot, non lontano da Londra, che c’è ancora e ha compiuto novant’anni da poco. La gente vi accorre: stregata dall’ovvio, scrive Garfield. Sono oltre 15 milioni di visitatori da quando ha aperto nel 1929.
Perché attira questa città minuscola, così come attirano altri oggetti in miniatura come i plastici ferroviari e le case per le bambole? Perché ci s’immagina di diventare piccoli ed infilarci lì dentro, perché la miniatura aiuta a capire le cose attraverso un’osservazione più attenta.
Il modello architettonico, o plastico, è uno strumento usuale nell’ambito delle costruzioni e dei progetti: vedere il mondo da fuori comporta avere un’idea dell’insieme prima della sua realizzazione. Guardare tutto dall’alto dà poi un senso d’onnipotenza, come mostra il successo attuale dei video realizzati utilizzando i droni. Guardare è già un potere, e dall’alto è la forma che assume il potere stesso dello spazio, come mostra il mito di Babele. E se Babele sta in tasca?
Garfield racconta di grandi appassionati di questa riduzione. H. G. Wells, l’autore de La guerra dei mondi, La macchina del tempo, L’isola del dottor Moreau, è un fanatico dei giochi da pavimento, dove combatte minuscole guerre coi soldatini. E ci sono cantanti come Rod Stewart, grande appassionato di trenini, e Neil Young, vero fanatico del genere. L’autore di un bellissimo libro sulla storia dei trenini, Ron Hollander, ha sostenuto che questi oggetti sono il perfetto antidoto all’instabilità della vita adulta.
Garfield conclude che la miniatura ci trasporta in un mondo più preciso e brillante di quello che frequentiamo ogni giorno, si tratti del modello di una nave o di un aereo, di una Torre Eiffel fatta di fiammiferi o di ritratti tascabili, di libri piccolissimi o di souvenir. Lì c’è il perfetto rifugio dai nostri fallimenti quotidiani. Lì il nostro sguardo diventa di colpo più concentrato e più ricco, e la realtà priva delle ombre consuete. Insomma, è più facile viverci. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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