martedì 25 febbraio 2020

Gi Scritti 1910-1926, vol. 1, nell'edizione nazionale delle opere di Antonio Gramsci

Antonio Gramsci: Scritti (1910-1926 ), I, 1910-1916, a cura di Giuseppe Guida e Maria Luisa Righi , Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, pagg. XXXIII,pagg. 1015, sip 


L’officina di Antonio Gramsci
Scritti giovanili. Il volume, che raccoglie tutti gli articoli pubblicati dal 1910 al 1916, ha il merito di far comprendere l’importanza dell’approccio storico-filologico dell’autore

Michele Ciliberto Domenicale 23 02 2020
Se si guarda alla cultura filosofica italiana della prima metà del Novecento – ed oggi è possibile farlo da una diversa distanza – le figure che si stagliano su tutte le altre sono quelle di Benedetto Croce, Giovanni Gentile, Antonio Gramsci.
Naturalmente, occorre distinguere tra Croce, Gentile e Gramsci: i primi due sono filosofi di professione, Gramsci è un politico che è «costretto» ad affrontare in carcere problemi di carattere teorico, restando però sempre un politico. La riflessione dei Quaderni ha l’obiettivo di comprendere le ragioni della sconfitta subita dal movimento operaio italiano ad opera del fascismo, cercando di individuare, attraverso un’analisi complessiva della storia d’Italia, le condizioni ideali e materiali che consentano di riprendere, in forme nuove, la battaglia. Muovendo di qui, Gramsci affronta problemi filosofici essenziali per fondare l’iniziativa politica alla luce dalla filosofia della praxis, misurandosi con i punti più alti del pensiero «borghese», a cominciare da Croce soprattutto e anche da Giovanni Gentile. 
I Quaderni del carcere per quanto «non finiti» si presentano come un corpus organico, raccolto intorno ad alcuni temi fondamentali, che ritornano, come in un movimento a spirale, nelle diverse «rubriche». Nonostante la forma in cui sono scritti – e il movimento diacronico descritto dagli interpreti più recenti – costituiscono un «sistema» chiaro, altamente organizzato. In questo senso, lavorare a un’edizione critica dei Quaderni è più agevole che impegnarsi in un’edizione critica degli scritti prima del carcere, per molti motivi. Anzitutto, si tratta in genere di scritti non firmati o siglati in modi che vanno, volta per volta, sciolti; sono poi in buona parte interventi giornalistici: come si dice nell’Introduzione a questo volume, «per qualche anno il giornalismo fu la forma specifica della sua militanza politica».
Questo nuovo volume dell’edizione delle opere di Gramsci – promossa dalla Fondazione Gramsci, in collaborazione con l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana – ha avuto perciò bisogno, per essere condotto a termine, di tempo e di raffinate competenze.
Per limitarsi ai momenti più importanti della fortuna degli scritti precarcerari di Gramsci, ne vanno indicati almeno due: il volume degli Scritti giovanili, uscito nel 1958, che raccoglieva un primo, vasto gruppo di articoli, dal 1914 al 1918; la pubblicazione di due raccolte fondamentali anche per il metodo rigorosamente filologico seguito. La prima raccolta è quella curata nel 1968 da Sergio Caprioglio (A. Gramsci, Scritti 1915-1921); la seconda fu pubblicata nel 1974 da Renzo Martinelli (A. Gramsci, Per la verità). 
Proprio Caprioglio e Martinelli, presentando il loro lavoro, insistettero però sulla necessità di lavorare a una nuova edizione critica di tutti gli scritti precedenti i Quaderni, che si affiancasse a quella dei Quaderni del carcere, e fondasse «la sua completezza sull’applicazione di criteri scientifici»: un’opera che per la sua complessità non poteva non essere realizzata che da «un lavoro di équipe». Come ribadiva Martinelli sottolineando, sul piano del metodo, la necessità di ricorrere al «metodo della lettura comparata«: il quale permette «non solo di ravvisare i temi comuni – espressi a volte con le stesse parole e i medesimi giri di frase – ma di ricostruire contestualmente un insieme di relazioni, di spunti, di fatti precisamente richiamati, che fanno emergere gradualmente, circoscrivendo l’ambito dello scritto, le ragioni dell’attribuzione». 
È il metodo messo alla base di questo volume, che comprende gli scritti dal 1910 al 1916, corredato da preziosi apparati critici. Da questo punto di vista, il volume – curato da Giuseppe Guida e Maria Luisa Righi – è un vero e proprio modello di indagine filologica e storica seriamente fondata ed è un contributo decisivo, per i passi avanti che fa rispetto alle pionieristiche raccolte di Caprioglio e Martinelli. Basta dire che il volume raccoglie 401 articoli «di varia lunghezza, dal breve trafiletto a scritti che hanno il carattere del piccolo saggio». E per chi ha una qualche familiarità con gli scritti maturi di Gramsci è una lettura affascinante: consente di entrare nella sua “officina”, di vedere come lavorava, e di misurare la distanza fra questi scritti e i Quaderni, anche sul piano del lessico. Qui Gramsci non è ancora il notevole scrittore che diventerà successivamente, e che darà piena prova di sé nei Quaderni del carcere. 
Per capire i passi in avanti compiuti negli studi gramsciani, basta citare qualche fatto: nell’introduzione agli Scritti giovanili del 1958 si esclude, in sostanza, che ci fossero scritti anteriori all’articolo firmato del 31 ottobre 1914 – «Neutralità attiva ed operante» –; questo volume si apre con un articolo pubblicato da Gramsci su «L’Unione Sarda» il 16 luglio 1910, A proposito di una rivoluzione, ed è seguito da due articoli già individuati da Martinelli pubblicati sul «Corriere universitario», firmati alfa gamma, Per la verità, I futuristi. 
Un lungo lavoro, frutto di molte ricerche su «cinque anni che paiono secoli» come si intitola un bel libro Leonardo Rapone, utile per decifrare in modo adeguato gli anni giovanili di Gramsci, colti anche nei loro momenti di crisi, di cesure, al di fuori di prospettive teleologiche, che non fanno mai capire come le «cose sono effettivamente andate». Sono tipici i giudizi espressi sull’articolo di Gramsci, Neutralità attiva ed operante. «I problemi politici allora aperti – si legge nell’Introduzione agli Scritti giovanili pubblicati nel 1958 – non erano stati risolti in senso leninista da Gramsci», che avrebbe risentito, anche lui, «fortemente del marasma in cui la guerra aveva gettato il movimento socialista italiano e della ignoranza delle posizioni leniniste nei confronti della guerra imperialista». 
Battute che colpiscono per la loro durezza, in cui si rifrangono vecchi contrasti politici, personali, perfino esistenziali ancora non sedimentati, a quella data: come se aver avuto, nel 1914, considerazione per una posizione di Mussolini, oltre che un errore politico fosse una caduta nell’abisso, al quale Gramsci andava in qualsiasi modo sottratto. Un altro mondo rispetto a quello in cui è stato allestito questo volume, il quale, oltre al merito di mostrare – per contrasto – quanto cammino abbiano fatto gli studi gramsciani nell’ultimo mezzo secolo, fa comprendere l’importanza dell’approccio storico-filologico per decifrare i testi, anche i più complicati, riuscendo a liberarsi dalle incrostazioni dell’ideologia. Gramsci, in questo volume, è finalmente trattato – e rispettato – come un classico; ed è questo che bisogna continuare a fare. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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