Jean-Jacques Rousseau: Le passeggiate del sognatore solitario, traduzione di Beppe Sebaste pagine 144 euro 10 Feltrinelli
Risvolto
"Voglio dire subito che considero questo scritto, piu ancora delle
Confessions, l'opera piu perturbante, piu innovativa, piu sperimentale
e, infine, piu gratuita (nel senso della grazia e del dono, se gia non
sono sinonimi) di Jean-Jacques Rousseau": cosi esordisce Beppe Sebaste
nell'introdurre Le passeggiate del sognatore solitario. Questo libro di
ricordi e meditazione, non di finzione, scritto dal filosofo ginevrino
negli ultimi anni di vita e pubblicato postumo, e intriso di una
sensibilita quasi patologica, estremamente moderna, ed e uno dei primi
testi letterari in cui si faccia uso dell'aggettivo "romantico" in
relazione al paesaggio, alla natura e al sentimento dell'esistenza. In
queste passeggiate l'autore, autoesiliatosi dal mondo nella quiete
agreste, si abbandona all'ebbrezza della confessione, della complazione,
del sogno a occhi aperti. In fondo a questo itinerario, trova il
sollievo dalla sofferenza psichica, l'apertura verso un altro orizzonte.
Lascia cosi un autentico romanzo di "ecologia della mente" che
trasforma il disagio del vivere in estasi e il tormentato groviglio
delle emozioni in musicalita della prosa.
Rousseau trasognato
Tornano «Le passeggiate di un sognatore solitario» Ristampato in occasione dei 300 anni dalla nascita del filosofo ginevrino il suo libro più sperimentale con un’innovativa traduzione
di Beppe Sebaste
l’Unità 19.6.12 da Segnalazioni
In
occasione del terzo centenario della nascita di Jean-Jacques Rousseau,
che si festeggia il 28 giugno, Feltrinelli riporta da domani in libreria
Le passeggiate di un sognatore solitario nella traduzione di Beppe
Sebaste, libro di ricordi e meditazioni scritto dal filosofo ginevrino
negli ultimi anni di vita e pubblicato postumo: l’opera più perturbante,
più innovativa, più sperimentale e, infine, più gratuita (nel senso
della grazia e del dono, se già non sono sinonimi) di Rousseau.
Anticipiamo qui un brano dell’introduzione.
«LE PASSEGGIATE DEL
SOGNATORE SOLITARIO», INIZIATE NELL’AUTUNNO 1776, SUBITO DOPO LA
REDAZIONE DEI «DIALOGHI» («DIALOGUES OU ROUSSEAU JUGE DE JEAN.JACQUES»)
LA SECONDA PASSEGGIATA È REDATTA ALLA FINE DELL’ANNO, DOPO L’INCIDENTE
DI MÉNILMONTANT DEL 24 OTTOBRE 1776 RIPRESE NEL 1777 (DALLA TERZA ALLA
SETTIMA), E POI NEL 1778 (DALLA FINE DELL’INVERNO AL 2 MAGGIO, «JOUR DE
PÂQUES FLEURIES»), È FORSE IL MANIFESTO DI CIÒ CHE
VIENECHIAMATOPRE-ROMANTICISMO.Che cosa vuol dire? Nel suo senso
profondo, come il romanticismo, si tratta della precoce scoperta di una
dimensione della sensibilità e dell’intelletto una nuova soggettività
inseparabile da una consapevolezza critica delle strutture sociali della
nostra civiltà, e del conseguente rimpicciolirsi del concetto di
realtà, che in compenso si veste di una solida armatura. In Rousseau la
fondazione della soggettività si accompagna, è noto, alla passione della
politica e all’invenzione della democrazia, quella «sovranità popolare»
spesso abusata e manipolata dai posteri.
DALLA «GINESTRA» A L’«ALBATROS»
In
questo senso appartengono al romanticismo gli scritti di Rousseau come
quelli di Marx (accomunati da una denuncia, pur se su piani diversi,
dell’alienazione), la Ginestra di Leopardi e l’Albatros di Baudelaire,
la veggenza di Rimbaud e i mondi possibili di Philip K. Dick (e la sua
interrogazione sulla realtà della realtà), il Disagio della civiltà di
Freud e Eros e civiltà di Marcuse, Allen Ginsberg, gli hippie e il
recente movimento di protesta Occupy WS. La dimensione inaugurata dal
romanticismo, a differenza di altri ismi, non ci abbandonerà più. Quello
di Rousseau, scaturito nel pieno del secolo dell’Illuminismo, è la
scoperta che, una volta lasciata la propria casa, è molto difficile
ritornarvi, e l’alternativa è tra la deriva nomade (come la Wanderung
dei romantici tedeschi) e la costruzione di una nuova, spesso utopica
dimora.
Le Passeggiate è un’opera in cui la natura è onnipresente, ma
il cui centro è quello che l’autore chiama «il sentimento
dell’esistenza», ciò che lo rende il primo testo consapevolmente
ecologico (nel senso anche di un’ecologia della mente) della letteratura
moderna in Europa. È l’opera in cui con più fascino si dispiega
l’incomparabile musicalità della lingua di Rousseau, e dove per la prima
volta si fa uso della parola «romantico» (e a volte dell’adiacente
«romanzesco») in riferimento a un paesaggio, o meglio, a un modo di
vedere il mondo esterno e dirsi consapevoli di essere nel mondo, e che
tutto è connesso con tutto. È anche un documento straordinario della
patologia psichica di un individuo che cerca e trova compensazione e
sollievo alla propria sofferenza nell’attività di sognare a occhi
aperti, nell’ozio e nella contemplazione (che significa: fare il proprio
tempio), nel libero divagare con la mente tutte azioni racchiuse nella
parola rêverie, «trasognamento»; che trova compensazione e sollievo nel
registrare, in una scrittura altrettanto libera, l’ebbrezza e l’incanto
di questo abbandono. È la testimonianza poetico-psichica di
un’operazione alchemica riuscita, una trasmutazione della sofferenza in
musica attraverso una serie di altre trasformazioni esemplari: della
passione in pazienza, del disagio in armonia, della lotta in resa,
dell’esilio in estasi, dell’odio in conciliazione, della solitudine in
grazia e autosufficienza. E dove immanente e trascendente, vita e sogno,
come in ogni vera esperienza estatica (ed estetica) coincidono.
È
infine il primo testo non di finzione in cui l’autore, esiliato e
auto-esiliatosi dal mondo, ormai fuori dal sistema di circolazione e
valorizzazione degli oggetti letterari (dall’establishement, si diceva
nel Novecento) e dall’orizzonte di un pubblico, è davvero convinto di
rivolgersi solo a se stesso (pur non scrivendo un diario), senz’altri
testimoni (tranne Dio e il vago fantasma dei posteri), ciò che accomuna
le Rêveries alla forma della preghiera.
Sono questi, detti con un
pizzico di enfasi sbrigativa, gli aspetti che mi avevano motivato a
rileggere e tradurre questo strano testo. Tradurre è immancabilmente
entrare nel ciclo di nascita o rinascita di un testo, in cui la vita
nuova, la sua sopravvivenza, non fa che confermarne la mortalità e
insieme la sua iridescente seminalità (ancora vita postuma come diceva
Walter Benjamin Nachleben e/o Fortleben). Racconterò più avanti
l’esperienza di tradurre negli anni ’90 Le passeggiate del sognatore
solitario (uscite nel 1996 in questa collana dei Classici Feltrinelli),
alternando momenti di grande piacere ad altri di enorme imbarazzo (le
Rêveries non sono il testo propriamente più gratificante per un
traduttore). Ma prima di spiegare meglio che cosa sia questo libro, e
dare alcune coordinate di lettura, vorrei dichiarare e assumere alcune
scelte di traduzione.
UN «ALTRO» TITOLO
La mia responsabilità si
segnala già dal titolo, che anagrammando l’ordine di quello originale,
Les rêveries du promeneur solitaire, evita di incorrere nella falsa,
oltre che fastidiosamente cacofonica, traduzione abituale («Le
fantasticherie del passeggiatore solitario»), di fronte alla quale provo
da sempre un moto di rigetto. Sono molto contento di non adoperare mai
né la parola «fantasticheria» né tantomeno «passeggiatore». Il titolo
adottato rispecchia d’altronde le scansioni del testo in capitoli, che
Rousseau chiama «Passeggiate», e come si vedrà tutto nella sua
concezione porta a un’identificazione tra il camminare e il sognare (e
un certo modo di scrivere) nella comune sintesi di vagare, divagare,
vagabondare con la mente e col corpo (coi piedi). Quanto alla bellissima
parola rêverie, sogno prolungato e spesso diurno, essa non designa in
nessun caso uno sforzo cosciente, non ha la frivolezza di una
«fantasticheria» che presuppone già un giudizio, e un’idea di «realtà»
da cui il fantasticare è supposto allontanarsi e precede in ogni caso
ogni eventuale codificazione letteraria in generi. Ho adottato la parola
italiana trasognamento, che dice e mantiene esattamente l’idea di un
sogno prolungato e in stato di veglia. Come ci ricorda Tommaseo nel suo
Dizionario, «trasognare» significa «andar vagando nella mente, come fa
colui che sogna» (ed è usato in questo senso ad esempio dal Boccaccio
nel Ninfale Fiesolano). Occorre poi ricordare che all’epoca di Rousseau
non c’era tanta distinzione tra la meditazione, la contemplazione e il
sogno a occhi aperti.

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