Oscar Niemeyer Rio de Janeiro, 15 dicembre 1907 – Rio de Janeiro, 5 dicembre 2012
Nella foto, con Domenico Losurdo.
«Non è l’angolo retto che mi attrae, né la linea diritta, dura, inflessibile, creata dall’uomo. Quello che mi affascina è la curva libera e sensuale: la curva che trovo sulle montagne del mio paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nelle onde dell’oceano, nelle nuvole del cielo e nel corpo della donna preferita» [O.N.]
OSCAR NIEMEYER
Lessico moderno, potenza baroccaCon il suo impegno e il suo carisma artistico di superstar ante litteram, il grande architetto brasiliano scomparso mercoledì a 104 anni ha saputo imporre nel suo paese una versione politicamente accreditata del modernismo
Eroiche scommesse / UNA CAPITALE NEL DESERTO
Una città-parco, profondamente radicata nella storia culturale del paese sudamericano
È morto a 104 anni il maestro brasiliano discepolo di Le Corbusier. Con linee avvolgenti ha ridisegnato il volto di molte città
Il paese verde-oro partecipa commosso alla morte del
celebre architetto. Decretati tre giorni di lutto nazionale nella città
carioca
Maria Zuppello Europa 6 dicembre 2012
RIO DE JANEIRO
Morto a Rio De Janeiro a 104 anni il grande architetto brasiliano,
«Padre di Brasilia», tra i pionieri dell'uso del cemento armato
6 dicembre 2012
E' morto a 104 anni l’architetto brasiliano a cui più si deve in termini
di immaginario e di città utopiche Suo il Palazzo di Vetro dell'Onu,
sue le linee sinuose con le quali ha ridisegnato gli edifici in giro
per il mondo
il manifesto
Il più famoso architetto brasiliano, tra i più illustri e prolifici del XX secolo, avrebbe compiuto 105 anni il prossimo 15 dicembre
Sergio Rame - il Giornale Gio, 06/12/2012
Il Brazil’s National Congress progettato da Niemeyer e inaugurato a Brasilia nel 1960
L’addio commosso del Brasile a Oscar Niemeyer. Il primario che lo ha curato: «Ogni giorno incontrava il suo staff per discutere di nuovi progetti, non voleva mai parlare del suo stato di salute»
emiliano guanella La Stampa 06/12/2012
Aveva 104 anni, progettò Brasilia e altre opere in tutto il mondo. Nel’1996 vinse il Leone d’Oro alla Biennale di Venezia
La Stampa 06/12/2012
Il maestro dell’architettura è morto ieri notte a 104 anni
di Franco La Cecla Repubblica 6.12.12
Renzo Piano: “Niemeyer un architetto con lo stile di Saramago”
di Francesco Erbani Repubblica 7.12.12
«A 85 anni continuava ad apprendere. Me lo scrisse in una lettera che risale a due decenni fa. E credo che fino all’ultimo respiro Oscar Niemeyer abbia pensato a come proseguire il suo lungo apprendistato». Da Parigi Renzo Piano ricorda l’architetto brasiliano che si è spento nella notte - italiana - fra mercoledì e giovedì. Niemeyer aveva 104 anni e se la sua fibra rude e tenace avesse resistito ancora un po’, appena la metà di dicembre, avrebbe raggiunto i 105. Dai primi di novembre era in ospedale e molte cose facevano pensare che non ne sarebbe più uscito. «Ai miei occhi è sempre sembrato un giovane vecchio», insiste Piano, «un maestro che ha innestato la propria maturità su una specie di adolescenza prolungata nel tempo».
Ultimo esponente del movimento moderno, si è detto di Niemeyer. Dentro il quale linguaggio, però, artista geniale e fantasioso, avrebbe riversato un amore per le forme curvilinee, spiccatamente sensuali e tanto brasiliane che di quel movimento rappresentano un rovesciamento.
Autore prima di abitazioni, fra le quali spicca casa Canoas (1953), realizzata per sé e che poi avrebbe ospitato la Fondazione Niemeyer, quindi degli imponenti edifici, le costruzioni più significative di Brasilia (fra queste la strabiliante cattedrale), città di fondazione, voluta nel 1956 dal presidente brasiliano Juscelino Kubitschek e disegnata dal suo maestro Lucio Costa, con il quale aveva disegnato il padiglione del proprio paese alla Fiera internazionale di New York ancora nel 1939. Fu collaboratore poi di Le Corbusier nel 1947 per il Palazzo di vetro dell’Onu. E quindi progettista di opere in tutto il mondo, dalla Bolivia alla Francia, compresa l’Italia dove ha realizzato la sede della Mondadori, a Segrate.
Intellettuale impegnato, amico di Chico Buarque e di Jorge Amado, e anche di Fidel Castro, iscritto al partito comunista (e per questo esule in Francia durante la dittatura militare in Brasile), ha scritto in un libro raccolto da Alberto Riva (Il mondo è ingiusto,
Mondadori): «L’architettura dovrebbe poter essere goduta da tutti, ma spesso
soltanto i ricchi hanno l’opportunità di farlo. L’architetto lavora per i ricchi, per i governi, per le imprese, un tempo lavorava al servizio di principi e re, e i poveri sono segregati nelle favelas in condizioni di vita assurde». Lui ha lavorato per i ricchi, per i governi e per le imprese, ma l’occhio vigile, sensibile, sul riscontro che produceva quel che usciva dal suo studio l’ha conservato sempre.
Racconta Piano: «Con Niemeyer ci siamo incrociati solo una volta, ma quella volta è stata per me fondamentale».
Quando è accaduto?
«Niemeyer era membro della giuria che doveva decidere del Beaubourg, a Parigi. In quel gruppo c’erano anche gli architetti Philip Johnson e Jean Prouvé, che era anche il presidente. Furono esaminati quasi settecento progetti e dopo seppi che Niemeyer fu un sostenitore acceso del lavoro di Richard Rogers e mio».
E fu decisivo per la vostra vittoria?
«Credo proprio di sì. Sia Johnson che Niemeyer avevano più di sessant’anni quando si svolse il concorso. Ma so per certo che Niemeyer si batté per le innovazioni che proponevamo, scontentando la parte più accademica dell’architettura di quel tempo, soprattutto quella francese e vicina al prestigioso Grand Prix de Rome».
Dopo di allora vi frequentaste?
«Non abbiamo mai avuto stretti rapporti. Niemeyer venne un anno dopo l’avvio dei lavori sul cantiere del Beaubourg. Era un impegno preso dalla giuria. Ma la vicenda del concorso gli procurò noie anche in seguito».
Che tipo di noie?
«Se non ricordo male si svolsero sette diverse cause giudiziarie. E in una, in particolare, vennero coinvolti i membri della giuria. In seguito tutto si risolse per il meglio».
Poi solo contatti a distanza?
«Nella seconda metà degli anni Ottanta lavoravamo a pochi passi l’uno dall’altro, nel XIX
arrondissement di Parigi. Lui realizzava la sede del Partito comunista francese, uno degli edifici più importanti del suo vastissimo catalogo. Io mi occupavo degli appartamenti di Rue de Meaux. E ogni tanto ci scambiavamo qualche visita».
Che cosa apprezza di lui?
«L’assoluta coerenza del suo linguaggio, che potrei definire anche come una forma di integrità. Per certi aspetti mi fa pensare ai romanzi di José Saramago. Un atteggiamento molto lontano dall’idea che la propria architettura debba fare ogni sforzo per essere riconosciuta».
Eppure le forme di Niemeyer mirano ad essere strabilianti la cattedrale di Brasilia, il Museo d’arte contemporanea di Niteroi, il Palacio da Alvorada sempre a Brasilia. O no?
«È vero. Ma i suoi progetti non puntano mai a diventare un brand,
come si dice oggi. E non c’è nulla di più noioso di un brand. Niemeyer ha esplorato diverse strade, ha manifestato un costante desiderio di movimento. Ma, appunto, non è difficile rintracciare in lui una coerenza di fondo».
La vostre architetture sono comunque molto diverse.
«Non potrebbero essere più distanti. Ma, come dicevo, considero il più grande pregio di Niemeyer l’incessante attitudine ad apprendere. La sua è una lezione che vale per tutti noi che facciamo questo lavoro. L’architettura non è un mestiere che possa dare frutti precocemente».
In Italia ha suscitato dure polemiche l’Auditorium di Ravello, sulla costiera amalfitana.
«Io trovo quel progetto molto bello».
Molto bello, però, è anche il paesaggio in cui quell’edificio cala.
«Ho seguito a distanza le discussioni. So soltanto che in quell’area ci si voleva fare un parcheggio...».
... o anche nulla, come molti sostenevano fosse la soluzione migliore.
«A prescindere da quel dibattito, che conosco poco, vorrei si sottolineasse la generosità e la misura di un personaggio che a quasi cent’anni si è cimentato con un’impresa così delicata. Anche in quel progetto c’è un elemento della sua grandezza».
Architetto da Oscar
Se n’è andato a 104 anni Niemeyer ideatore della città di Brasilia
Era il 1957 quando il presidente Kubitschek gli disse: «Sto per costruire una nuova capitale del Paese e voglio che mi aiuti». Un’idea socialista con tutte le case del governo affittate ai lavoratoridi Renato Pallavicini l’Unità 7.12.12
ROMA CORRE, CADE, SI RIALZA, S’ARRAMPICA L’ATLETICO JEAN-PAUL BELMONDO in una lunga sequenza di L’uomo di Rio, un film di grande successo del 1963. Ma il vero «uomo di Rio», l’autentico protagonista non è l’attore francese ma colui che ha costruito lo sfondo su cui si muove Belmondo: un susseguirsi vertiginoso di edifici, archi, pilastri che un tempo si definivano «avveniristici» piantati su un terreno rosso, desertico. È la città di Brasilia, nuova capitale politica del Brasile, inaugurata soltanto tre anni prima. Quella città «utopica» che fa da scena alla sequenza cinematografica è opera di Oscar Niemeyer, ingegnere, architetto e uno dei maestri del Novecento, morto ieri nell’ospedale samaritano di Rio de Janeiro a pochi giorni dal suo 105° compleanno (era nato a Rio, il 15 dicembre del 1907).
Nel 1957, quando il nuovo presidente del Brasile, Juscelino Kubitschek, chiama Niemeyer e gli dice: «Sto per fare costruire una nuova capitale del paese e voglio che lei mi aiuti», l’architetto è già l’affermato protagonista del Modernismo brasiliano ma, soprattutto, è forte di un’esperienza di formazione invidiabile. Dalla metà degli anni Trenta, infatti, lavora nello studio di Lucio Costa (che firmerà il piano urbanistico di Brasilia) e lavora fianco a fianco con un team di architetti che ha, tra i suoi consulenti, Le Corbusier. Ha già progettato, lavorato e costruito molto: il Ministero dell’Educazione e della Sanità a Rio; il padiglione brasiliano alla New York World’s Fair; il complesso di Pampulha, vicino Belo Horizonte, in cui spicca la chiesa di San Francesco d’Assisi (un’onda di cemento bianco che le gerarchie ecclesiastiche si rifiutarono a lungo di consacrare a causa della sua forma poco ortodossa); la sede dell’Onu a New York (in collaborazione con Le Corbusier); il palazzo Copan a San Paolo. E poi il Parco Ibirapuera, sempre a San Paolo (assieme al grande paesaggista Roberto Burle Marx), e la sua stupenda Casa das Canoas a Rio: un sinuoso padiglione immerso nel verde, un’altra applicazione concreta della sua idea di forma: «una curva libera e sensuale amava ripetere la curva che trovo sulle montagne del mio paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nelle onde dell'oceano, nelle nuvole del cielo e nel corpo della donna preferita». Infine ma siamo solo a metà della sua straordinaria vita e carriera Brasilia, città nuova, nuovissima, lontanissima dalle altre maggiori città del Paese, venuta su in una landa deserta. Un’idea «socialista» con tutte le case di proprietà del governo e affittate ai lavoratori, con zone omogenee e «uguali», senza distinzioni tra il ceto politico e i cittadini comuni che la abiteranno (ma negli anni le cose non andranno proprio così). Un’idea e un piano urbanistico disegnato da Lucio Costa che ha la forma di un grande uccello, con un asse centrale lungo il quale si allineano gli edifici pubblici e, ai lati, le grandi ali per le abitazioni. In fondo alla promenade architectural che è la spina dorsale della città, spicca il complesso del Congresso Nazionale (il doppio grattacielo lamellare con alla base le coppe che fanno da cupola alle aule parlamentari). Disseminate nell’area della città le altre perle di questa fantastica collana niemeyeriana: dall’ardito paraboloide della Cattedrale alle eleganti membrature del Palazzo dell’Alvorada e ai sottili pilastri del Palazzo Itimaray (che saranno poi «replicati» nella sede della Mondadori a Segrate).
Comunista dal 1945 fino ai suoi ultimi giorni (Fidel Castro dirà di lui: «Niemeyer ed io siamo gli ultimi comunisti rimasti a questo mondo»), Niemeyer sarà costretto, di lì a pochi anni, a subire minacce e persecuzioni dal regime militare che aveva preso il potere con il golpe del 1964: il suo studio verrà saccheggiato più volte e la rivista Modulo, che aveva fondato nel 1955, sarà chiusa. Oscar emigra in Europa e si ferma a Parigi, dove apre un nuovo studio. Qui progetta la splendida sede del Pcf e subito dopo, a Milano Segrate, lavora al nuovo edificio della casa editrice Mondadori, realizzando quell'altro gioiello di forza e leggerezza, di modernismo temperato da una sensibilità per i materiali e per l'ambiente che era sconosciuta alla deriva dell’International Style che aveva preso il sopravvento e consegnato le aspirazioni migliori del razionalismo al mercatismo immobiliare.
Insignito di onorificenze e premi (tra questi il Pritzker Prize nel 1988) e tornato in Brasile alla fine della dittatura (1985), l’ottantenne Niemeyer non smette di stupire e sfodera una serie di opere strepitose per forma e arditezza strutturale: dal Museo di Arte contemporanea a Niterói (1996), un disco volante bianco appoggiato su uno sperone di roccia nella baia della città, al Mon Museo a Curitiba (2002), un’occhio di cemento adagiato su un parallelepipedo; dall'Auditorium di Ibirapuera a San Paolo (2005), ancora una «provocazione» formale con quella lingua rossa che guizza fuori da una parete bianca, fino all’Auditorium di Ravello (2009), coraggioso e poetico, sciaguratamente in abbandono a pochi anni dalla sua inaugurazione.
Accusato di tradimento e di formalismo dai rigidi custodi del purismo geometrico razionalista, Niemeyer andò dritto per la sua strada: nella vita (a 98 anni, contro la volontà dell'unica figlia, si risposa con la sua segretaria, più giovane di lui di 38 anni) e nel lavoro. Libero, dal suo studio che si affaccia su Copacabana, guardava il mare e le colline di Rio, mentre con la mano tracciava sulla carta le curve angeliche che lo hanno fatto volare in cielo.
Il cinismo dei ricchi
Parlava sempre dei poveri. E per ultimare in tempi rapidi il progetto di Ravello dormì spesso nel suo studiodi Domenico De Masi l’Unità 7.12.12
OSCAR NIEMEYER È STATO UNO DEI MASSIMI ARCHITETTI DEL SECOLO. EPPURE IL SUO MERITO MAGGIORE FORSE NON CONSISTE NELLA SUA GENIALITÀ ARCHITETTONICA, per quanto straordinaria, ma nella sua generosa saggezza e nel suo coraggio politico.
Parlando di se stesso, ha scritto: «Il mio vero nome è Oscar Ribeiro de Almeida de Niemeyer Soares ma sono conosciuto come Oscar Niemeryer. Le mie origini sono multiple, cosa che mi aggrada particolarmente: Ribeiro e Soares, portoghesi; Almeida, arabo; Niemeyer tedesco. Sono dunque meticcio come sono meticci tutti i miei fratelli brasiliani». Da questo meticciato, Niemeyer ha ricavato un senso di solidarietà che lo ha accompagnato per tutta la vita: «Io mi vergognerei se fossi un uomo ricco», usava ripetere. In tutti questi anni di amicizia, ogni volta che ci incontravamo per le nostre lunghe chiacchierate, il suo discorso sempre finiva sui poveri, sul cinismo dei ric-
chi, sulla necessità di intervenire con intransigenza in questo mondo ingiusto che dobbiamo migliorare. Quando seppe che avrei desiderato un suo progetto per l’Auditorium Oscar Niemeyer di Ravello, ma che il Comune non poteva permettersi un progettista così prezioso, mi telefonò per assicurarmi che in settanta giorni avrebbe approntato il progetto iniziale e in altri quattro mesi di lavoro avrebbe consegnato il progetto definitivo. E così fece, con un impegno ininterrotto, che lo costrinse a dormire più volte nel suo studio, senza tornare a casa. In Italia vi sono solo tre capolavori di questo grande architetto: la sede della Mondadori a Milano, la sede della società Burgo a Torino e l’Auditorium di Ravello ma più volte Niemeyer mi ha detto che aveva per il capolavoro ravellese una forte predilezione. Gli piaceva l’idea che quest’opera potesse contribuire a destagionalizzare il turismo e dare lavoro ai giovani in un settore come la musica e l’arte. Inoltre gli piaceva l’idea che l’Auditorium sarebbe stato gestito dalla stessa collettività, tramite il Comune. Il poeta Keats diceva che «l’opera d’arte è una gioia creata per sempre». Ora che l’Auditorium è realizzato, Niemeyer sarà certo felice per la gioia donata alla Campania e per la soave dolcezza che, sotto la sua cupola felice, la musica donerà per secoli agli ascoltatori, sorpresi dalle linee curve del capolavoro nell’azzurro del cielo e del mare.
Ora il modo migliore per essere grati a un genio grande e disinteressato come Niemeyer è di coltivare i suoi valori anche nella nostra regione: la generosità, la creatività, la contemplazione della bellezza, l’umiltà e l’intransigenza.
il Fatto 7.12.12
L’Oscar dell’architettura
Niemeyer, ideatore di Brasilia, si è spento a 104 anni
Da 50 era una leggenda vivente
di Giuseppe Bizzarri
Rio de Janeiro Il 15 dicembre avrebbe compiuto 105 anni, ma Oscar Niemeyer, questa volta, non è riuscito a vincere la partita che aveva in sospeso da tempo con la morte. Ricoverato per la terza volta quest’anno, il maestro dell’architettura moderna è morto alle ventidue di mercoledì all’ospedale Samaritana di Rio de Janeiro, dove era internato dal 2 novembre. Nel momento della morte, c’erano al suo fianco la sua seconda moglie Vera Lucia, 67 anni e i suoi nipoti. Oscar, come amava farsi chiamare, è stato lucido per tutto il giorno, ma durante la serata il suo stato si era aggravato.
LA MORTE del leggendario progettista ha lasciato un vuoto non solo nell’architettura mondiale, ma anche nella vita di molti brasiliani, inclusi quelli della Rocinha che hanno sempre rammentato i suoi compleanni con striscioni d’auguri appesi al ponte progettato dall’architetto di fronte alla sterminata favela carioca. L’instancabile Oscar amava la vita, gli amici e non smetteva mai di lavorare. Immancabilmente alle dieci del mattino si recava nel suo affascinante studio di Copacabana in cui ha progettato i suoi inconfondibili edifici nel mondo, ma dove accoglieva anche una volta a settimana amici e conoscenti per parlare a lungo di astronomia, filosofia e politica. “La mia vita non ha avuto nulla di particolare, è stata uguale a quella di qualsiasi altro essere umano; oltretutto non so neanche io come ho potuto vivere così a lungo”. È quello che disse Niemeyer a decine di giornalisti del mondo intero presenti all’affollata festa di compleanno in cui Oscar celebrò il suo centesimo anno di vita nella Casa das Canoas, la villa progettata da giovane e in cui visse nella lussureggiante foresta tropicale della Tijuca a Rio de Janeiro.
OGNI GIORNO, in quattro continenti, centinaia di migliaia di persone entrano ed escono nei sinuosi e sensuali edifici progettati dall’architetto. Niemeyer ha utilizzato la linea curva in maniera inconfondibile, anche per questo, alcuni esperti, hanno considerato il brasiliano come uno scultore monumentale più che un architetto. Oscar amava la linea curva perché gli rammentava quelle presenti nella natura e nelle donne che ha sempre amato nella sua vita di bon vivant. Fino alla fine ha bevuto vino e ha fumato i suoi cigarrilhos cubanos. Adorava cenare al Terzetto nel bairro di Ipanema, dove abitava in un appartamento di tre stanze. Ci viveva con Vera, la sua ex segretaria che sposò a 99 anni. Religiosamente ateo, Oscar non credeva che ci fosse qualcosa dopo la morte.
Il genio brasiliano è stato un precursore nell’utilizzazione del cemento armato come elemento espressivo architettonico. Con Lucio Costa, amico e professore di facoltà, Niemeyer ha coronato il sogno di molti architetti, quello di progettare una città, Brasilia. Ma per Oscar il lavoro non è stato la cosa più importante della sua lunga esistenza. “Bisogna pensare a un’architettura per la vita. La vita è al disopra di tutto. Bisogna prepararci per organizzarla correttamente, rispettando tutti, poiché siamo tutti uguali. La vita è l’obiettivo principale, ma sfortunatamente non è così. Un giovane architetto esce dall’università, ma non ha mai letto un libro che lo faccia pensare alla vita, ai problemi sociali. Tutti pensano a una bell’architettura, ma questo non cambia nulla. È la vita che cambia l’architettura”, ha detto Niemeyer. Affiliatosi al Partito Comunista nel 1945, esiliato in Francia durante la dittatura militare in Brasile, l’architetto ha sempre difeso i diritti della classe lavoratrice. “Niemeyer ed io siamo gli ultimi comunisti di questo pianeta” disse Fidel Castro, quando andò a trovarlo nella sua casa di Rio.
Niemeyer. L'utopista che creò la sua città dal nulla
di Stefano Bucci Corriere 7.2.12
Il 15 dicembre avrebbe compiuto 105 anni. Dal 2 novembre era ricoverato all'Ospedale Samaritano di Rio de Janeiro per disidratazione e i bollettini alternavano speranze e cattivi presagi. Così se n'è andato Oscar Niemeyer, ultimo grande dell'architettura moderna.
Da poco era uscito per Mondadori Il mondo è ingiusto, libro-testamento curato da Alberto Riva. Vanitoso (amava le camicie bianche e i profumi francesi), Oscar Niemeyer fino alla fine ha voluto guardare oltre (non aveva nemmeno esitato a sottoporsi a un intervento di chirurgia plastica per farsi togliere una brutta macchia dal viso). A cominciare dai progetti ai quali continuava a lavorare: un «sambodromo» di Rio (simbolo delle Olimpiadi del 2016); il museo del calcio «Pelè», a Santos; una chiesa a Petropolis; un altro «salsodromo» a Calì, in Colombia; una piazza nel Kazakhistan, ad Astana. E poi c'era l'impegno per la rivista «Novo Caminho» («Partecipo sempre alle riunioni della redazione perché amo stare e parlare con i giovani»). «Avere cent'anni è una merda»: si era lasciato scappare durante uno degli ultimi incontri pubblici (ma diceva vezzosamente di sentirsi «al massimo sessant'anni»). E aveva aggiunto: «Tutto sta divenendo più difficile. Ogni giorno è come se mi trovassi a dire addio alle persone. D'altra parte il nostro destino è quello di vivere, di morire e di vedere gli altri morire».
L'uomo che creò Brasilia, «l'unico moderno a cui è stato concesso di costruire una capitale», è stato il prototipo di tutte le archistar. Eppure poco prima di morire aveva detto: «Mi fanno inorridire; la nuova architettura è noiosa e priva di bellezza. Tutti quegli edifici di vetro puntano a stupire, ma non sanno che la bellezza sta nella semplicità e che la tecnologia deve essere sempre al servizio della bellezza». Progettista militante, tra i sostenitori dell'attuale presidente Dilma Rousseff (nonché grande amico dell'ex leader Lula) ha realizzato più di 600 opere in tutto il mondo, in oltre 70 anni di carriera. Secondo Oscar Ribeiro de Almeida de Niemeyer Soares, per tutti Oscar Niemeyer, l'architettura era d'altra parte solo «uno dei tanti tasselli che compongono l'esistenza dell'uomo» al pari di arte, letteratura, musica, scienza e donne: non è stato solo un «tecnico» appassionato di Palladio e Alvar Aalto ma anche «buon intenditore» di Matisse e Calvino, di Einstein e Visconti. E ha sempre cercato di conoscere il mondo. Compresa la politica: amico di Fidel, amava parlare di sé come dell'«ultimo dei comunisti rimasti», ma era stato anche uno dei 60 artisti prescelti dal cardinale Ravasi per rendere omaggio, in una mostra in Vaticano nella scorsa estate, ai 60 anni di sacerdozio di papa Ratzinger (aveva accettato inviando il modello per il campanile della nuova Cattedrale di Belo Horizonte, perché «voleva che il Papa la vedesse»).
Sperimentatore di nuovi concetti architettonici, è riuscito a elaborare uno stile «scultoreo fluido», servendosi del cemento armato «per creare strutture emozionanti e sensazionali». Strutture che finivano sempre (o quasi) per ricordare le sinuose curve naturali delle sue montagne e spiagge, e della baia di Rio de Janeiro. Al pari dei maestri, Lúcio Costa e Le Corbusier, Niemeyer è stato un modernista, «ma la sua ricerca di architettura grandiosa lo ha portato a elaborare nuove forme di un inedito lirismo architettonico». Dalla Residencia Oswald de Andrade a San Paolo (1938) alla sede della Mondadori a Segrate (1976), dal Museo d'arte contemporanea di Niterói (1996) all'installazione per la Serpentine Gallery a Londra (2003).
Niemeyer nasce a Rio de Janeiro nel 1907, da una famiglia di origini tedesche. Dopo una gioventù da «ricco bohémien carioca» e dopo essersi sposato a 21 anni con Annita Baldo (figlia di immigrati veneti), si laurea alla Scuola nazionale di Belle Arti di Rio nel 1934, e nel '37 si unisce a un gruppo di architetti brasiliani (tra cui Lúcio Costa e Carlos Leão) che collabora con Le Corbusier («un maestro anche se umanamente non ho mai condiviso certe sue scelte») alla costruzione del nuovo ministero dell'Educazione e della Sanità di Rio (il cosiddetto Capanema Palace), esperienza che lui giudicherà «estremamente formativa». La collaborazione con Le Corbusier, che l'avrebbe definito «ragazzo prodigio», sarebbe proseguita con il Palazzo delle Nazioni Unite di New York (1947).
Le forme «fluide» di Niemeyer sembrarono, da subito, «offrire un'alternativa poetica alle linee dritte e agli angoli retti dello stile internazionale», che rappresentava la tendenza dominante dell'architettura europea anni 30 («non sono attratto dalla rigidità dell'angolo retto e della linea retta, ma dalla sensualità della curva»). Nel 1956, la svolta: Juscelino Kubitschek, presidente del Brasile, nomina Niemeyer consulente architettonico della NovaCap, l'organizzazione incaricata di realizzare i progetti di Lúcio Costa per la nuova capitale del Brasile, in un'area disabitata al centro del paese. L'anno successivo diventa capo architetto della NovaCap, progettando la maggior parte degli importanti edifici della città (a lui e alla costruzione di Brasilia si sarebbe ispirato il film L'uomo di Rio con Jean-Paul Belmondo). Edifici destinati a diventare «pietre miliari del simbolismo moderno» dove la natura avrebbe dovuto integrarsi con l'architettura, senza divisione tra zone per ricchi e per poveri.
Niemeyer parlava di Brasilia come di «un sogno realizzato»: aver dimostrato che anche «il Brasile poteva essere capace di fare grandi progetti, di creare addirittura una città». Minimizzando le accuse che venivano mosse a quel progetto (sogno mancato, città invivibile): «Brasilia ha gli stessi problemi di tutte le altre città, dal degrado degli edifici alla difficile manutenzione. Ma nonostante tutto può andare bene così». La sua permanenza in Brasile si conclude nel 1964, quando la sua appartenenza politica al Partito comunista (si era iscritto nel 1945) lo costringe a emigrare in Francia. All'inizio degli anni 80, con la fine della dittatura, il ritorno in Brasile, l'insegnamento all'Università di Rio de Janeiro e i progetti per i «privati».
Fino all'ultimo ha lavorato — a 98 anni si è risposato con la segretaria Vera Lucia. Nel suo ufficio, all'ultimo piano di Casa Ypiranga, in un appartamento studio bianco e pieno di luce, fatto di pochi arredi (qualche poltrona di cuoio nero, una chaise longue, una sedia a dondolo di metallo, un tavolo), sulla parete a lungo è rimasto inciso un motto: «Quando la miseria si moltiplica e la speranza fugge dall'uomo, è tempo di rivoluzione». E fino all'ultimo ha avuto nel cuore il Brasile: «Il mio è il paese di Ipanema e delle favelas — diceva — per il quale bisogna combattere sempre».
Renzo Piano: “Niemeyer un architetto con lo stile di Saramago”
di Francesco Erbani Repubblica 7.12.12
«A 85 anni continuava ad apprendere. Me lo scrisse in una lettera che risale a due decenni fa. E credo che fino all’ultimo respiro Oscar Niemeyer abbia pensato a come proseguire il suo lungo apprendistato». Da Parigi Renzo Piano ricorda l’architetto brasiliano che si è spento nella notte - italiana - fra mercoledì e giovedì. Niemeyer aveva 104 anni e se la sua fibra rude e tenace avesse resistito ancora un po’, appena la metà di dicembre, avrebbe raggiunto i 105. Dai primi di novembre era in ospedale e molte cose facevano pensare che non ne sarebbe più uscito. «Ai miei occhi è sempre sembrato un giovane vecchio», insiste Piano, «un maestro che ha innestato la propria maturità su una specie di adolescenza prolungata nel tempo».
Ultimo esponente del movimento moderno, si è detto di Niemeyer. Dentro il quale linguaggio, però, artista geniale e fantasioso, avrebbe riversato un amore per le forme curvilinee, spiccatamente sensuali e tanto brasiliane che di quel movimento rappresentano un rovesciamento.
Autore prima di abitazioni, fra le quali spicca casa Canoas (1953), realizzata per sé e che poi avrebbe ospitato la Fondazione Niemeyer, quindi degli imponenti edifici, le costruzioni più significative di Brasilia (fra queste la strabiliante cattedrale), città di fondazione, voluta nel 1956 dal presidente brasiliano Juscelino Kubitschek e disegnata dal suo maestro Lucio Costa, con il quale aveva disegnato il padiglione del proprio paese alla Fiera internazionale di New York ancora nel 1939. Fu collaboratore poi di Le Corbusier nel 1947 per il Palazzo di vetro dell’Onu. E quindi progettista di opere in tutto il mondo, dalla Bolivia alla Francia, compresa l’Italia dove ha realizzato la sede della Mondadori, a Segrate.
Intellettuale impegnato, amico di Chico Buarque e di Jorge Amado, e anche di Fidel Castro, iscritto al partito comunista (e per questo esule in Francia durante la dittatura militare in Brasile), ha scritto in un libro raccolto da Alberto Riva (Il mondo è ingiusto,
Mondadori): «L’architettura dovrebbe poter essere goduta da tutti, ma spesso
soltanto i ricchi hanno l’opportunità di farlo. L’architetto lavora per i ricchi, per i governi, per le imprese, un tempo lavorava al servizio di principi e re, e i poveri sono segregati nelle favelas in condizioni di vita assurde». Lui ha lavorato per i ricchi, per i governi e per le imprese, ma l’occhio vigile, sensibile, sul riscontro che produceva quel che usciva dal suo studio l’ha conservato sempre.
Racconta Piano: «Con Niemeyer ci siamo incrociati solo una volta, ma quella volta è stata per me fondamentale».
Quando è accaduto?
«Niemeyer era membro della giuria che doveva decidere del Beaubourg, a Parigi. In quel gruppo c’erano anche gli architetti Philip Johnson e Jean Prouvé, che era anche il presidente. Furono esaminati quasi settecento progetti e dopo seppi che Niemeyer fu un sostenitore acceso del lavoro di Richard Rogers e mio».
E fu decisivo per la vostra vittoria?
«Credo proprio di sì. Sia Johnson che Niemeyer avevano più di sessant’anni quando si svolse il concorso. Ma so per certo che Niemeyer si batté per le innovazioni che proponevamo, scontentando la parte più accademica dell’architettura di quel tempo, soprattutto quella francese e vicina al prestigioso Grand Prix de Rome».
Dopo di allora vi frequentaste?
«Non abbiamo mai avuto stretti rapporti. Niemeyer venne un anno dopo l’avvio dei lavori sul cantiere del Beaubourg. Era un impegno preso dalla giuria. Ma la vicenda del concorso gli procurò noie anche in seguito».
Che tipo di noie?
«Se non ricordo male si svolsero sette diverse cause giudiziarie. E in una, in particolare, vennero coinvolti i membri della giuria. In seguito tutto si risolse per il meglio».
Poi solo contatti a distanza?
«Nella seconda metà degli anni Ottanta lavoravamo a pochi passi l’uno dall’altro, nel XIX
arrondissement di Parigi. Lui realizzava la sede del Partito comunista francese, uno degli edifici più importanti del suo vastissimo catalogo. Io mi occupavo degli appartamenti di Rue de Meaux. E ogni tanto ci scambiavamo qualche visita».
Che cosa apprezza di lui?
«L’assoluta coerenza del suo linguaggio, che potrei definire anche come una forma di integrità. Per certi aspetti mi fa pensare ai romanzi di José Saramago. Un atteggiamento molto lontano dall’idea che la propria architettura debba fare ogni sforzo per essere riconosciuta».
Eppure le forme di Niemeyer mirano ad essere strabilianti la cattedrale di Brasilia, il Museo d’arte contemporanea di Niteroi, il Palacio da Alvorada sempre a Brasilia. O no?
«È vero. Ma i suoi progetti non puntano mai a diventare un brand,
come si dice oggi. E non c’è nulla di più noioso di un brand. Niemeyer ha esplorato diverse strade, ha manifestato un costante desiderio di movimento. Ma, appunto, non è difficile rintracciare in lui una coerenza di fondo».
La vostre architetture sono comunque molto diverse.
«Non potrebbero essere più distanti. Ma, come dicevo, considero il più grande pregio di Niemeyer l’incessante attitudine ad apprendere. La sua è una lezione che vale per tutti noi che facciamo questo lavoro. L’architettura non è un mestiere che possa dare frutti precocemente».
In Italia ha suscitato dure polemiche l’Auditorium di Ravello, sulla costiera amalfitana.
«Io trovo quel progetto molto bello».
Molto bello, però, è anche il paesaggio in cui quell’edificio cala.
«Ho seguito a distanza le discussioni. So soltanto che in quell’area ci si voleva fare un parcheggio...».
... o anche nulla, come molti sostenevano fosse la soluzione migliore.
«A prescindere da quel dibattito, che conosco poco, vorrei si sottolineasse la generosità e la misura di un personaggio che a quasi cent’anni si è cimentato con un’impresa così delicata. Anche in quel progetto c’è un elemento della sua grandezza».
Architetto da Oscar
Se n’è andato a 104 anni Niemeyer ideatore della città di Brasilia
Era il 1957 quando il presidente Kubitschek gli disse: «Sto per costruire una nuova capitale del Paese e voglio che mi aiuti». Un’idea socialista con tutte le case del governo affittate ai lavoratoridi Renato Pallavicini l’Unità 7.12.12
ROMA CORRE, CADE, SI RIALZA, S’ARRAMPICA L’ATLETICO JEAN-PAUL BELMONDO in una lunga sequenza di L’uomo di Rio, un film di grande successo del 1963. Ma il vero «uomo di Rio», l’autentico protagonista non è l’attore francese ma colui che ha costruito lo sfondo su cui si muove Belmondo: un susseguirsi vertiginoso di edifici, archi, pilastri che un tempo si definivano «avveniristici» piantati su un terreno rosso, desertico. È la città di Brasilia, nuova capitale politica del Brasile, inaugurata soltanto tre anni prima. Quella città «utopica» che fa da scena alla sequenza cinematografica è opera di Oscar Niemeyer, ingegnere, architetto e uno dei maestri del Novecento, morto ieri nell’ospedale samaritano di Rio de Janeiro a pochi giorni dal suo 105° compleanno (era nato a Rio, il 15 dicembre del 1907).
Nel 1957, quando il nuovo presidente del Brasile, Juscelino Kubitschek, chiama Niemeyer e gli dice: «Sto per fare costruire una nuova capitale del paese e voglio che lei mi aiuti», l’architetto è già l’affermato protagonista del Modernismo brasiliano ma, soprattutto, è forte di un’esperienza di formazione invidiabile. Dalla metà degli anni Trenta, infatti, lavora nello studio di Lucio Costa (che firmerà il piano urbanistico di Brasilia) e lavora fianco a fianco con un team di architetti che ha, tra i suoi consulenti, Le Corbusier. Ha già progettato, lavorato e costruito molto: il Ministero dell’Educazione e della Sanità a Rio; il padiglione brasiliano alla New York World’s Fair; il complesso di Pampulha, vicino Belo Horizonte, in cui spicca la chiesa di San Francesco d’Assisi (un’onda di cemento bianco che le gerarchie ecclesiastiche si rifiutarono a lungo di consacrare a causa della sua forma poco ortodossa); la sede dell’Onu a New York (in collaborazione con Le Corbusier); il palazzo Copan a San Paolo. E poi il Parco Ibirapuera, sempre a San Paolo (assieme al grande paesaggista Roberto Burle Marx), e la sua stupenda Casa das Canoas a Rio: un sinuoso padiglione immerso nel verde, un’altra applicazione concreta della sua idea di forma: «una curva libera e sensuale amava ripetere la curva che trovo sulle montagne del mio paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nelle onde dell'oceano, nelle nuvole del cielo e nel corpo della donna preferita». Infine ma siamo solo a metà della sua straordinaria vita e carriera Brasilia, città nuova, nuovissima, lontanissima dalle altre maggiori città del Paese, venuta su in una landa deserta. Un’idea «socialista» con tutte le case di proprietà del governo e affittate ai lavoratori, con zone omogenee e «uguali», senza distinzioni tra il ceto politico e i cittadini comuni che la abiteranno (ma negli anni le cose non andranno proprio così). Un’idea e un piano urbanistico disegnato da Lucio Costa che ha la forma di un grande uccello, con un asse centrale lungo il quale si allineano gli edifici pubblici e, ai lati, le grandi ali per le abitazioni. In fondo alla promenade architectural che è la spina dorsale della città, spicca il complesso del Congresso Nazionale (il doppio grattacielo lamellare con alla base le coppe che fanno da cupola alle aule parlamentari). Disseminate nell’area della città le altre perle di questa fantastica collana niemeyeriana: dall’ardito paraboloide della Cattedrale alle eleganti membrature del Palazzo dell’Alvorada e ai sottili pilastri del Palazzo Itimaray (che saranno poi «replicati» nella sede della Mondadori a Segrate).
Comunista dal 1945 fino ai suoi ultimi giorni (Fidel Castro dirà di lui: «Niemeyer ed io siamo gli ultimi comunisti rimasti a questo mondo»), Niemeyer sarà costretto, di lì a pochi anni, a subire minacce e persecuzioni dal regime militare che aveva preso il potere con il golpe del 1964: il suo studio verrà saccheggiato più volte e la rivista Modulo, che aveva fondato nel 1955, sarà chiusa. Oscar emigra in Europa e si ferma a Parigi, dove apre un nuovo studio. Qui progetta la splendida sede del Pcf e subito dopo, a Milano Segrate, lavora al nuovo edificio della casa editrice Mondadori, realizzando quell'altro gioiello di forza e leggerezza, di modernismo temperato da una sensibilità per i materiali e per l'ambiente che era sconosciuta alla deriva dell’International Style che aveva preso il sopravvento e consegnato le aspirazioni migliori del razionalismo al mercatismo immobiliare.
Insignito di onorificenze e premi (tra questi il Pritzker Prize nel 1988) e tornato in Brasile alla fine della dittatura (1985), l’ottantenne Niemeyer non smette di stupire e sfodera una serie di opere strepitose per forma e arditezza strutturale: dal Museo di Arte contemporanea a Niterói (1996), un disco volante bianco appoggiato su uno sperone di roccia nella baia della città, al Mon Museo a Curitiba (2002), un’occhio di cemento adagiato su un parallelepipedo; dall'Auditorium di Ibirapuera a San Paolo (2005), ancora una «provocazione» formale con quella lingua rossa che guizza fuori da una parete bianca, fino all’Auditorium di Ravello (2009), coraggioso e poetico, sciaguratamente in abbandono a pochi anni dalla sua inaugurazione.
Accusato di tradimento e di formalismo dai rigidi custodi del purismo geometrico razionalista, Niemeyer andò dritto per la sua strada: nella vita (a 98 anni, contro la volontà dell'unica figlia, si risposa con la sua segretaria, più giovane di lui di 38 anni) e nel lavoro. Libero, dal suo studio che si affaccia su Copacabana, guardava il mare e le colline di Rio, mentre con la mano tracciava sulla carta le curve angeliche che lo hanno fatto volare in cielo.
Il cinismo dei ricchi
Parlava sempre dei poveri. E per ultimare in tempi rapidi il progetto di Ravello dormì spesso nel suo studiodi Domenico De Masi l’Unità 7.12.12
OSCAR NIEMEYER È STATO UNO DEI MASSIMI ARCHITETTI DEL SECOLO. EPPURE IL SUO MERITO MAGGIORE FORSE NON CONSISTE NELLA SUA GENIALITÀ ARCHITETTONICA, per quanto straordinaria, ma nella sua generosa saggezza e nel suo coraggio politico.
Parlando di se stesso, ha scritto: «Il mio vero nome è Oscar Ribeiro de Almeida de Niemeyer Soares ma sono conosciuto come Oscar Niemeryer. Le mie origini sono multiple, cosa che mi aggrada particolarmente: Ribeiro e Soares, portoghesi; Almeida, arabo; Niemeyer tedesco. Sono dunque meticcio come sono meticci tutti i miei fratelli brasiliani». Da questo meticciato, Niemeyer ha ricavato un senso di solidarietà che lo ha accompagnato per tutta la vita: «Io mi vergognerei se fossi un uomo ricco», usava ripetere. In tutti questi anni di amicizia, ogni volta che ci incontravamo per le nostre lunghe chiacchierate, il suo discorso sempre finiva sui poveri, sul cinismo dei ric-
chi, sulla necessità di intervenire con intransigenza in questo mondo ingiusto che dobbiamo migliorare. Quando seppe che avrei desiderato un suo progetto per l’Auditorium Oscar Niemeyer di Ravello, ma che il Comune non poteva permettersi un progettista così prezioso, mi telefonò per assicurarmi che in settanta giorni avrebbe approntato il progetto iniziale e in altri quattro mesi di lavoro avrebbe consegnato il progetto definitivo. E così fece, con un impegno ininterrotto, che lo costrinse a dormire più volte nel suo studio, senza tornare a casa. In Italia vi sono solo tre capolavori di questo grande architetto: la sede della Mondadori a Milano, la sede della società Burgo a Torino e l’Auditorium di Ravello ma più volte Niemeyer mi ha detto che aveva per il capolavoro ravellese una forte predilezione. Gli piaceva l’idea che quest’opera potesse contribuire a destagionalizzare il turismo e dare lavoro ai giovani in un settore come la musica e l’arte. Inoltre gli piaceva l’idea che l’Auditorium sarebbe stato gestito dalla stessa collettività, tramite il Comune. Il poeta Keats diceva che «l’opera d’arte è una gioia creata per sempre». Ora che l’Auditorium è realizzato, Niemeyer sarà certo felice per la gioia donata alla Campania e per la soave dolcezza che, sotto la sua cupola felice, la musica donerà per secoli agli ascoltatori, sorpresi dalle linee curve del capolavoro nell’azzurro del cielo e del mare.
Ora il modo migliore per essere grati a un genio grande e disinteressato come Niemeyer è di coltivare i suoi valori anche nella nostra regione: la generosità, la creatività, la contemplazione della bellezza, l’umiltà e l’intransigenza.
il Fatto 7.12.12
L’Oscar dell’architettura
Niemeyer, ideatore di Brasilia, si è spento a 104 anni
Da 50 era una leggenda vivente
di Giuseppe Bizzarri
Rio de Janeiro Il 15 dicembre avrebbe compiuto 105 anni, ma Oscar Niemeyer, questa volta, non è riuscito a vincere la partita che aveva in sospeso da tempo con la morte. Ricoverato per la terza volta quest’anno, il maestro dell’architettura moderna è morto alle ventidue di mercoledì all’ospedale Samaritana di Rio de Janeiro, dove era internato dal 2 novembre. Nel momento della morte, c’erano al suo fianco la sua seconda moglie Vera Lucia, 67 anni e i suoi nipoti. Oscar, come amava farsi chiamare, è stato lucido per tutto il giorno, ma durante la serata il suo stato si era aggravato.
LA MORTE del leggendario progettista ha lasciato un vuoto non solo nell’architettura mondiale, ma anche nella vita di molti brasiliani, inclusi quelli della Rocinha che hanno sempre rammentato i suoi compleanni con striscioni d’auguri appesi al ponte progettato dall’architetto di fronte alla sterminata favela carioca. L’instancabile Oscar amava la vita, gli amici e non smetteva mai di lavorare. Immancabilmente alle dieci del mattino si recava nel suo affascinante studio di Copacabana in cui ha progettato i suoi inconfondibili edifici nel mondo, ma dove accoglieva anche una volta a settimana amici e conoscenti per parlare a lungo di astronomia, filosofia e politica. “La mia vita non ha avuto nulla di particolare, è stata uguale a quella di qualsiasi altro essere umano; oltretutto non so neanche io come ho potuto vivere così a lungo”. È quello che disse Niemeyer a decine di giornalisti del mondo intero presenti all’affollata festa di compleanno in cui Oscar celebrò il suo centesimo anno di vita nella Casa das Canoas, la villa progettata da giovane e in cui visse nella lussureggiante foresta tropicale della Tijuca a Rio de Janeiro.
OGNI GIORNO, in quattro continenti, centinaia di migliaia di persone entrano ed escono nei sinuosi e sensuali edifici progettati dall’architetto. Niemeyer ha utilizzato la linea curva in maniera inconfondibile, anche per questo, alcuni esperti, hanno considerato il brasiliano come uno scultore monumentale più che un architetto. Oscar amava la linea curva perché gli rammentava quelle presenti nella natura e nelle donne che ha sempre amato nella sua vita di bon vivant. Fino alla fine ha bevuto vino e ha fumato i suoi cigarrilhos cubanos. Adorava cenare al Terzetto nel bairro di Ipanema, dove abitava in un appartamento di tre stanze. Ci viveva con Vera, la sua ex segretaria che sposò a 99 anni. Religiosamente ateo, Oscar non credeva che ci fosse qualcosa dopo la morte.
Il genio brasiliano è stato un precursore nell’utilizzazione del cemento armato come elemento espressivo architettonico. Con Lucio Costa, amico e professore di facoltà, Niemeyer ha coronato il sogno di molti architetti, quello di progettare una città, Brasilia. Ma per Oscar il lavoro non è stato la cosa più importante della sua lunga esistenza. “Bisogna pensare a un’architettura per la vita. La vita è al disopra di tutto. Bisogna prepararci per organizzarla correttamente, rispettando tutti, poiché siamo tutti uguali. La vita è l’obiettivo principale, ma sfortunatamente non è così. Un giovane architetto esce dall’università, ma non ha mai letto un libro che lo faccia pensare alla vita, ai problemi sociali. Tutti pensano a una bell’architettura, ma questo non cambia nulla. È la vita che cambia l’architettura”, ha detto Niemeyer. Affiliatosi al Partito Comunista nel 1945, esiliato in Francia durante la dittatura militare in Brasile, l’architetto ha sempre difeso i diritti della classe lavoratrice. “Niemeyer ed io siamo gli ultimi comunisti di questo pianeta” disse Fidel Castro, quando andò a trovarlo nella sua casa di Rio.
Niemeyer. L'utopista che creò la sua città dal nulla
di Stefano Bucci Corriere 7.2.12
Il 15 dicembre avrebbe compiuto 105 anni. Dal 2 novembre era ricoverato all'Ospedale Samaritano di Rio de Janeiro per disidratazione e i bollettini alternavano speranze e cattivi presagi. Così se n'è andato Oscar Niemeyer, ultimo grande dell'architettura moderna.
Da poco era uscito per Mondadori Il mondo è ingiusto, libro-testamento curato da Alberto Riva. Vanitoso (amava le camicie bianche e i profumi francesi), Oscar Niemeyer fino alla fine ha voluto guardare oltre (non aveva nemmeno esitato a sottoporsi a un intervento di chirurgia plastica per farsi togliere una brutta macchia dal viso). A cominciare dai progetti ai quali continuava a lavorare: un «sambodromo» di Rio (simbolo delle Olimpiadi del 2016); il museo del calcio «Pelè», a Santos; una chiesa a Petropolis; un altro «salsodromo» a Calì, in Colombia; una piazza nel Kazakhistan, ad Astana. E poi c'era l'impegno per la rivista «Novo Caminho» («Partecipo sempre alle riunioni della redazione perché amo stare e parlare con i giovani»). «Avere cent'anni è una merda»: si era lasciato scappare durante uno degli ultimi incontri pubblici (ma diceva vezzosamente di sentirsi «al massimo sessant'anni»). E aveva aggiunto: «Tutto sta divenendo più difficile. Ogni giorno è come se mi trovassi a dire addio alle persone. D'altra parte il nostro destino è quello di vivere, di morire e di vedere gli altri morire».
L'uomo che creò Brasilia, «l'unico moderno a cui è stato concesso di costruire una capitale», è stato il prototipo di tutte le archistar. Eppure poco prima di morire aveva detto: «Mi fanno inorridire; la nuova architettura è noiosa e priva di bellezza. Tutti quegli edifici di vetro puntano a stupire, ma non sanno che la bellezza sta nella semplicità e che la tecnologia deve essere sempre al servizio della bellezza». Progettista militante, tra i sostenitori dell'attuale presidente Dilma Rousseff (nonché grande amico dell'ex leader Lula) ha realizzato più di 600 opere in tutto il mondo, in oltre 70 anni di carriera. Secondo Oscar Ribeiro de Almeida de Niemeyer Soares, per tutti Oscar Niemeyer, l'architettura era d'altra parte solo «uno dei tanti tasselli che compongono l'esistenza dell'uomo» al pari di arte, letteratura, musica, scienza e donne: non è stato solo un «tecnico» appassionato di Palladio e Alvar Aalto ma anche «buon intenditore» di Matisse e Calvino, di Einstein e Visconti. E ha sempre cercato di conoscere il mondo. Compresa la politica: amico di Fidel, amava parlare di sé come dell'«ultimo dei comunisti rimasti», ma era stato anche uno dei 60 artisti prescelti dal cardinale Ravasi per rendere omaggio, in una mostra in Vaticano nella scorsa estate, ai 60 anni di sacerdozio di papa Ratzinger (aveva accettato inviando il modello per il campanile della nuova Cattedrale di Belo Horizonte, perché «voleva che il Papa la vedesse»).
Sperimentatore di nuovi concetti architettonici, è riuscito a elaborare uno stile «scultoreo fluido», servendosi del cemento armato «per creare strutture emozionanti e sensazionali». Strutture che finivano sempre (o quasi) per ricordare le sinuose curve naturali delle sue montagne e spiagge, e della baia di Rio de Janeiro. Al pari dei maestri, Lúcio Costa e Le Corbusier, Niemeyer è stato un modernista, «ma la sua ricerca di architettura grandiosa lo ha portato a elaborare nuove forme di un inedito lirismo architettonico». Dalla Residencia Oswald de Andrade a San Paolo (1938) alla sede della Mondadori a Segrate (1976), dal Museo d'arte contemporanea di Niterói (1996) all'installazione per la Serpentine Gallery a Londra (2003).
Niemeyer nasce a Rio de Janeiro nel 1907, da una famiglia di origini tedesche. Dopo una gioventù da «ricco bohémien carioca» e dopo essersi sposato a 21 anni con Annita Baldo (figlia di immigrati veneti), si laurea alla Scuola nazionale di Belle Arti di Rio nel 1934, e nel '37 si unisce a un gruppo di architetti brasiliani (tra cui Lúcio Costa e Carlos Leão) che collabora con Le Corbusier («un maestro anche se umanamente non ho mai condiviso certe sue scelte») alla costruzione del nuovo ministero dell'Educazione e della Sanità di Rio (il cosiddetto Capanema Palace), esperienza che lui giudicherà «estremamente formativa». La collaborazione con Le Corbusier, che l'avrebbe definito «ragazzo prodigio», sarebbe proseguita con il Palazzo delle Nazioni Unite di New York (1947).
Le forme «fluide» di Niemeyer sembrarono, da subito, «offrire un'alternativa poetica alle linee dritte e agli angoli retti dello stile internazionale», che rappresentava la tendenza dominante dell'architettura europea anni 30 («non sono attratto dalla rigidità dell'angolo retto e della linea retta, ma dalla sensualità della curva»). Nel 1956, la svolta: Juscelino Kubitschek, presidente del Brasile, nomina Niemeyer consulente architettonico della NovaCap, l'organizzazione incaricata di realizzare i progetti di Lúcio Costa per la nuova capitale del Brasile, in un'area disabitata al centro del paese. L'anno successivo diventa capo architetto della NovaCap, progettando la maggior parte degli importanti edifici della città (a lui e alla costruzione di Brasilia si sarebbe ispirato il film L'uomo di Rio con Jean-Paul Belmondo). Edifici destinati a diventare «pietre miliari del simbolismo moderno» dove la natura avrebbe dovuto integrarsi con l'architettura, senza divisione tra zone per ricchi e per poveri.
Niemeyer parlava di Brasilia come di «un sogno realizzato»: aver dimostrato che anche «il Brasile poteva essere capace di fare grandi progetti, di creare addirittura una città». Minimizzando le accuse che venivano mosse a quel progetto (sogno mancato, città invivibile): «Brasilia ha gli stessi problemi di tutte le altre città, dal degrado degli edifici alla difficile manutenzione. Ma nonostante tutto può andare bene così». La sua permanenza in Brasile si conclude nel 1964, quando la sua appartenenza politica al Partito comunista (si era iscritto nel 1945) lo costringe a emigrare in Francia. All'inizio degli anni 80, con la fine della dittatura, il ritorno in Brasile, l'insegnamento all'Università di Rio de Janeiro e i progetti per i «privati».
Fino all'ultimo ha lavorato — a 98 anni si è risposato con la segretaria Vera Lucia. Nel suo ufficio, all'ultimo piano di Casa Ypiranga, in un appartamento studio bianco e pieno di luce, fatto di pochi arredi (qualche poltrona di cuoio nero, una chaise longue, una sedia a dondolo di metallo, un tavolo), sulla parete a lungo è rimasto inciso un motto: «Quando la miseria si moltiplica e la speranza fugge dall'uomo, è tempo di rivoluzione». E fino all'ultimo ha avuto nel cuore il Brasile: «Il mio è il paese di Ipanema e delle favelas — diceva — per il quale bisogna combattere sempre».
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