Ricetta per un capitalismo migliore
di Emanuele Severino Corriere 19.1.13
Tale concetto non ha un carattere scientifico.
L'azione politica non è la scienza politica. Si dice, appunto, che la
«politica» (l'azione politica) è un'«arte», avvolta quindi da
quell'alone di arbitrarietà che compete a ogni arte. Accade quindi, al
governo tecnico così inteso, che la scienza serva per realizzare una
forma di non-scienza, tanto più lontana dalla coerenza scientifica
quanto più accentuato è il contrasto delle forze politiche che
sostengono tale governo. È vero che per Max Weber la scienza ha un
carattere puramente strumentale, il cui scopo non ha un valore
scientificamente appurabile; ma è anche vero che in questo modo la
ragione vien posta al servizio della non-ragione, alla quale viene
affidata la sorte del mondo. (Certo, si dovrà poi capire che cosa sta
dietro la ragione scientifica).
Ma nei governi tecnici che agiscono
nelle economie di mercato, il benessere del popolo, perseguito
attraverso il condizionamento politico, è il benessere quale è inteso
all'interno delle categorie della produzione capitalistica della
ricchezza. In questa situazione, il capitalismo è la condizione ultima
della politica e del governo tecnico: la politica è un mezzo di cui il
capitalismo si serve. Chi si propone ancora, nel mondo democratico, una
economia non capitalistica? Tolta qualche eccezione, anche le sinistre
vogliono essere ormai lontanissime da ogni forma di marxismo o di
economia pianificata. La contrapposizione tra destra, sinistra, centro
ha un consistente denominatore comune, è una lotta all'interno del
sistema capitalistico. Parlare dunque di un condizionamento
capitalistico dei governi tecnici e della politica sembra soltanto
un'ovvietà. E lasciarsi alle spalle la distinzione tradizionale di
centro, destra, sinistra significa, innanzitutto, adottare correttamente
e seriamente le regole dell'economia di mercato. Non è nulla di strano
che il «riformismo» di Monti si rivolga a (quasi) tutte le formazioni
politiche, facendo prender loro coscienza che (quasi) tutte, ormai, si
muovono all'interno della logica capitalistica. Tecnica e politica sono
un mezzo di cui il capitalismo si serve per realizzare i propri scopi.
Senonché
nemmeno il capitalismo è scienza. La scienza economica può sostenere
che esso è la forma più efficace di produzione della ricchezza, ma
all'essenza del capitalismo appartiene il rischio, l'azzardo, mentre la
scienza è essenzialmente la volontà di evitare che le proprie leggi
siano leggi a rischio, azzardate, e dunque arbitrarie. Joseph
Schumpeter, amico del capitalismo, ha sostenuto che la sua crisi è
dovuta alla progressiva sostituzione del rischio con la routine delle
procedure tecno-scientifiche. D'altra parte, anche per il carattere
rischioso del proprio agire, il capitalismo si sente autorizzato a porre
come scopo primario non già il benessere del popolo ma il continuo
aumento del capitale. Anche per il capitalismo si deve dunque affermare
che esso, assumendo come mezzo la tecno-scienza, fa sì che la scienza
serva a realizzare la non-scienza, che la ragione (ossia ciò che oggi è
considerato come «la ragione» per eccellenza) serva a realizzare la
non-ragione.
Tuttavia, la situazione si complica ulteriormente quando
accade che la dimensione tecnica del potere sia condizionata non
soltanto dall'economia capitalistica, ma anche, e magari fortemente,
dalla dimensione religiosa, per esempio dalla Chiesa cattolica. In
questo caso, l'intento è di tenere insieme capitalismo, politica e
cattolicesimo (evitando le degenerazioni dell'agire economico e
politico), servendosi della tecno-scienza. La situazione si complica
ulteriormente perché, mentre per il capitalismo lo scopo primario
dell'agire economico e quindi del governo è l'incremento del profitto
privato, per la Chiesa lo scopo primario di tale agire e di un governo
giusto non deve essere il profitto, ma il «bene comune» quale è appunto
concepito dalla dottrina sociale della Chiesa. Il capitalismo deve
essere cioè un mezzo per realizzare questa forma del «bene comune».
Mezzo, e non scopo.
La pretesa della Chiesa (vado ripetendo da tempo)
che il capitalismo abbia come scopo il «bene comune» e non il profitto è
volerne (inconsapevolmente?) la distruzione. A sua volta il
capitalismo, assumendo come scopo primario il profitto, vuole, a volte
non rendendosene conto, la distruzione della società cristiana. È un
problema, questo, che non riguarda soltanto l'«agenda» Monti, ma tutte
le presumibili coalizioni che governeranno l'Italia. (Quasi vent'anni
fa, in un articolo sul Corriere poi incluso in Declino del capitalismo,
Rizzoli, 1993, avevo preso in considerazione la proposta di Monti al
Convegno di Cernobbio di quell'anno, di tenere insieme efficienza —
capitalistica — e solidarietà — cristiana — e avevo mostrato le
difficoltà a cui va incontro non solo tale proposta, ma ogni progetto
politico che intenda conciliare democrazia, capitalismo, cristianesimo).
Dico
questo, per rilevare come anche, ma non solo, in Italia si renda
percepibile quella gigantesca trasformazione del mondo che è costituita
dalla crisi del capitalismo (e del cristianesimo — e della politica). Un
governo che assuma come scopo primario sia l'efficienza sia la
solidarietà assume infatti uno scopo che non può essere né quello del
capitalismo né quello della Chiesa, i quali non intendono avere al loro
fianco, in posizione paritaria, alcun altro scopo (ma dove l'efficienza
subordina a sé la solidarietà, servendosene, e la solidarietà, a sua
volta, subordina a sé l'efficienza, servendosene). Se tale governo crede
di poter mantenere in posizione paritaria sia l'efficienza
capitalistica sia la solidarietà cristiana si illude, cioè si propone di
realizzare una contraddizione. Ciò non significa che tale proposito non
abbia a realizzarsi, e magari con risultati soddisfacenti: significa
che tali risultati saranno inevitabilmente provvisori, instabili, ossia
che quel proposito non potrà mai ottenere ciò che crede di poter
ottenere. Come di regola accade lungo il corso storico.
Comunque, sia
illudendosi di unire efficienza capitalistica e solidarietà cristiana
(e politica) sia evitando questa contraddizione, dando quindi vita a un
nuovo senso dell'efficienza e della solidarietà e dunque della loro
unione, proporsi come scopo tale unione servendosi delle competenze
tecno-scientifiche è pur sempre un agire in cui la forma oggi ritenuta
la più rigorosa della razionalità umana (la tecno-scienza, appunto) è
posta al servizio di forme meno rigorose di tale razionalità. Cioè la
potenza di quell'agire è posta al sevizio della non potenza. E la
potenza, la capacità di realizzare scopi, è insieme la ricchezza di un
popolo.
Proporsi, come accade nell'«agenda Monti», di eliminare le
degenerazioni della politica e dell'economia è però un passo avanti
nella direzione lungo la quale si finisce col capire che le società
diventano potenti e ricche non eliminando la «cattiva» politica e la
«cattiva» economia, ma mettendo la buona politica e la buona economia
(che anche risanate sono pur sempre forme meno rigorose dell'agire
razionale) al servizio della tecnica guidata dalla scienza — della
tecnica il cui scopo è precisamente l'aumento indefinito della potenza.
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