Chávez è un punto di riferimento del libro di Vattimo-Zabala "Hermeneutic Communism". Ci sono a mio avviso numerose forzature nel discorso di Vattimo. L'essenziale è tuttavia il riconoscimento del significato politico progressivo dell''esperienza bolivarista e più in generale del sommovimento che sta scuotendo l'America Latina.
Quella venezuelana in particolare è un'esperienza che invece, in Italia, viene per lo più stigmatizzata come autoritaria, illiberale e pericolosa soprattutto da parte di quelle forze politiche che si vorrebbero di sinistra, ma che da Chávez avrebbero avuto molto da imparare a proposito del significato delle parole "dignità" e "democrazia" [SGA].
Hugo Chávez
Ecco perché il Caudillo mi ha affascinato
di Gianni Vattimo La Stampa 7.3.13
Il
n’est pas tombé, il est mort»: questa frase, riferita tradizionalmente –
credo – a Jean Antoine Carrel, uno dei primi scalatori del Cervino, mi
viene in mente ora mentre, con una commozione che riesce nuova anche a
me penso alla scomparsa di Hugo Chavez. Anche lui non è caduto, ha
tenuto duro fino alla morte, facendo della sua resistenza alla malattia
un emblema della sua lotta politica per l’ideale di una America Latina
«bolivariana». Per me come per tanti occidentali della mia formazione,
Chavez aveva tutte le qualità per essere guardato con sospetto:
militare, «golpista» almeno agli inizi della sua avventura politica,
populista, «caudillo», e via dicendo.
Pregiudizi che continuano a
ispirare molta dell’opinione «democratica» prevalente. Che non solo si
fanno gioco dei sospetti (non provati, ma del tutto verosimili
conoscendo la Cia e le imprese petrolifere) sul suo preteso
avvelenamento da parte dei suoi nemici di sempre, ma che dimenticano la
sostanza della sua immensa azione di riscatto del suo Paese e di tutto
il Sud America.

Chavez ha ripreso, facendone una corposa realtà,
quella che ormai era diventata una sorta di mito, l’eredità di Castro e
del Che. Incontrando direttamente, nel corso di ripetuti soggiorni, fino
all’ultimo in occasione della sua ennesima rielezione nel novembre
passato, la realtà del Venezuela, era difficile non rendersi conto della
verità che troppo spesso i media occidentali ci nascondevano: e cioè
che, avendo ricuperato i proventi dell’industria petrolifera, Chavez ha
avviato e in gran parte realizzato una epocale trasformazione
emancipativa del suo Paese: scuole che anche nelle zone amazzoniche più
remote hanno ridotto drasticamente l’analfabetismo, assistenza sanitaria
gratuita e di qualità, programmi sociali che hanno debellato la povertà
estrema in cui il Paese, tra i più ricchi di risorse naturali, versava
sotto i regimi «democratici» di impronta neocoloniale.
Impressionante
è stato tutto il piano delle «misiones»: una sorta di sistema di gruppi
di intervento volontari dei cittadini, che affiancano l’amministrazione
pubblica in settori particolarmente importanti. Essendo gruppi
volontari, è ovvio che chi vi si impegna siano i «chavisti», prestando
così il fianco all’obiezione che si tratti di roba di regime. Non sono
però chiusi a nessuno, basta decidere di partecipavi. Si è così diffusa
una vitalità democratica «di base» che nelle nostre democrazie «mature»
non si riesce nemmeno a immaginare. Le misiones e la politica sociale
sono ciò che ha colpito tanti intellettuali occidentali, primo fra tutti
Noam Chomsky, o cineasti come Michael Moore e Oliver Stone. I quali,
come gli altri visitatori, quando arrivano a Caracas domandano quali
quotidiani leggere, e si accorgono che i media sono tutti, salvo la
televisione di stato, anti-Chavez. Sarebbe questo un Paese dove non c’è
libertà di pensiero, di informazione, di stampa?
Ma la forza
dell’esempio di Chavez si vede anche e soprattutto da quello che è
accaduto in tanti Paesi latino-americani negli anni recenti. Come Chavez
sarebbe impensabile senza Castro, così Evo Morales, Correa, Mujica e
gli stessi Lula e Cristina Kirchner sono impensabile senza Chavez. Tutti
insieme costituiscono forse la sola grande novità della politica
mondiale di questi decenni, molto più che lo sviluppo neocapitalistico
di Cina e India. Un modello di democrazia di base a cui l’Europa
dovrebbe guardare con più attenzione.
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