lunedì 4 marzo 2013
Tra Spengler e Heidegger
Obama segue Spengler. Heidegger ha un'altra verità
Tramonto o missione: come l'Occidente compie il suo destino Il passato può essere vissuto come un mandato per il futuro Mentre l’apparente declino consente di realizzare la propria vocazione
di Umberto Curi Corriere La Lettura 3.3.13
Uno
scatto in extremis, un colpo di reni, un guizzo imprevisto. Così è
stato da più parti commentato il discorso di Barack Obama, in occasione
dell'avvio del suo secondo mandato presidenziale. Ora che non si tratta
più di convincere l'elettorato a confermargli la fiducia, il primo
presidente afroamericano degli Stati Uniti delinea una prospettiva
ambiziosa: quella di invertire la tendenza al declino dell'Occidente,
reagendo a un destino che ai più appare già segnato, caratterizzato da
una irrimediabile decadenza.
«Noi non abbiamo la possibilità di
realizzare questo o quello; abbiamo solo la libertà di fare ciò che è
necessario o nulla... Ducunt volentem fata nolentem trahunt». Con questa
frase, alla cui solennità concorre indubbiamente il motto latino, si
conclude l'opera con la quale, nell'ormai lontano 1922, Oswald Spengler
decretava Il tramonto dell'Occidente. Il significato di questa clausola,
almeno nella parte scritta originariamente in lingua tedesca, non
presenta particolari problemi di interpretazione.
In essa si dice
infatti che la libertà consiste nel fare ciò che è necessario (tesi
ricorrente nella cosiddetta storia della filosofia, dagli Stoici a
Spinoza, e poi a Hegel e Marx), e inoltre che la necessità della Storia
si impone con o contro il volere del singolo individuo. Più complesso, e
insieme anche più interessante, il ragionamento condensato nella
citazione latina. Desunta da un passaggio delle Lettere a Lucilio di
Seneca, il quale a sua volta cita il filosofo stoico Cleante, la massima
colpisce anzitutto per la simmetria della sua architettura sintattica.
All'inizio
e alla fine troviamo due verbi — ducunt... trahunt — in qualche modo
opposti, così come di significato opposto sono i due sostantivi
volentem... nolentem. Al centro della frase, suo vero e proprio
baricentro concettuale, oltre che linguistico, il termine fata, col
quale nella Roma antica si designava il destino. Nel suo insieme,
dunque, il motto sottolinea l'inesorabilità del destino, che è in grado
di condurre colui che ad esso si piega o di trascinare colui che ad esso
si opponga. Se ne deduce che, suggellando il denso percorso descritto
nella sua opera con la citazione senechiana, Spengler intendesse
affermare che il destino dell'Occidente (che in tedesco si dice col
termine Abendlandes, «le terre della sera») coincidesse con il suo
Untergang, con il suo «tramonto».
È ormai assodato che il termine
latino fatum — derivando dal verbo fari = parlare, dire — sta a indicare
originariamente la «parola pronunciata». Di conseguenza, il «destino»
si identifica con un participio passato, con ciò che è «scritto», o più
propriamente con ciò che, essendo stato pronunciato, è già stato
«detto». Le tre dimensioni del tempo vengono con ciò a convergere nella
definizione del destino. Esso è ciò che io riconosco nel presente come
parola pronunciata nel passato riguardante quello che accadrà nel
futuro.
Ma vi è un'altra importante implicazione connessa
all'etimologia del termine fatum, della quale Spengler non sembra tenere
conto, nel momento in cui indica quale inesorabile destino
dell'Occidente il suo tramonto. Poiché quella «parola» è proferita da un
vate (che ha appunto la stessa radice greca — che troviamo nel verbo
phemí — di fatum), come ogni altra enunciazione oracolare è anch'essa
intrinsecamente ambigua, dice e insieme disdice, afferma e nega. La
parola che mi parla del futuro è insomma una parola che non ha un
significato univoco, ma che esprime una ineliminabile duplicità. Di qui
il carattere irrimediabilmente ambivalente di qualunque pro-fezia, di
qualsiasi discorso che pretenda di prevedere il destino che ci attende.
Quasi negli stessi anni in cui Oswald Spengler elaborava la sua
concezione del tramonto dell'Occidente, Martin Heidegger poneva
radicalmente in discussione la concezione della temporalità soggiacente
alla visione tradizionale del destino. In particolare, secondo l'autore
di Essere e tempo (1927), il passato può essere concepito in due maniere
nettamente differenti.
Da un lato, può essere considerato come un
dato di fatto, senza significati reconditi, letteralmente come ciò che,
essendo «passato», non è più. Ma, dall'altro lato, esso può essere
concepito come un «mandato», come un incarico che abbiamo ricevuto, in
base al quale possiamo dunque progettare il nostro futuro.
Si
manifesta qui, nelle posizioni contrastanti di Spengler e di Heidegger,
una netta alternativa fra due maniere divergenti di concepire il
destino, e dunque fra due significati molto diversi di intendere la
prognosi del tramonto dell'Occidente. Se ci si riferisce alla concezione
tradizionale del tempo, inteso come realtà tripartita nelle scansioni
di passato, presente e futuro, è inevitabile che il destino venga
concepito come punto di arrivo e momento terminale di un processo che
prevede l'avvicendarsi di alcune fasi, l'ultima delle quali è appunto
quella del tramonto.
In questa prospettiva, il titolo dell'opera
spengleriana starebbe a indicare il verificarsi del declino
irrimediabile dell'Occidente, la sua irreparabile decadenza.
Ma
tutt'altra prospettiva è quella che emerge ove il destino venga
ricondotto a una differente concezione del tempo, e più specificamente a
un modo di intendere il passato come assegnazione di un mandato. In
questo caso, infatti, il destino non si identificherebbe col declino, ma
all'opposto con la fase di pieno compimento, di totale realizzazione.
Per questa via, si potrebbe così scoprire che l'incarico ricevuto dalle
«terre della sera» è per l'appunto quello di tramontare. Non come segno
di decadenza, ma all'opposto come espressione di una matura adeguazione a
ciò che era «scritto» nel mandato.
È specificamente nel tramonto che
l'Occidente — la terra dell'occasus, il tramonto — può portare a
termine la propria missione storica.
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