Casarrubea-Cereghino: Operazione Husky, Castelvecchi pagg. 273 euro 19,50
Risvolto
Il 10 luglio 1943 le truppe inglesi e americane sbarcano in Sicilia, tra
Licata e Siracusa. La spettacolare operazione aeronavale – nome in
codice «Husky» – è una svolta decisiva nella storia del secondo
conflitto mondiale e segna l’inizio della fine per il regime fascista.
Di lì a poco, il Gran Consiglio voterà la sfiducia a Mussolini e il re
ne ordinerà l’arresto. La campagna militare alleata andrà avanti per
altri due anni, trasformando l’Italia in un campo di battaglia tra gli
eserciti di mezzo mondo, fino alla Liberazione. Un periodo tra i più
drammatici nella storia italiana del Novecento. I documenti di questo
volume, in gran parte inediti, affrontano un tema finora poco noto: la
guerra psicologica, la propaganda e le operazioni di intelligence messe
in campo da Londra e da Washington per gettare nel caos il Paese in
camicia nera, tra il 1940 e il 1943. Giuseppe Casarrubea e Mario José
Cereghino li hanno selezionati in dieci anni di ricerche negli archivi
di College Park (Usa) e di Kew Gardens (Gran Bretagna), assieme a
migliaia di altre carte. I rapporti «secret» e «top secret » raccontano
nei dettagli le strategie americane e inglesi per infierire su una
popolazione stremata dalla fame e dai bombardamenti. Vengono rivelati i
piani dei servizi segreti alleati – a cominciare dall’Oss e dal Soe –
che mirano a creare uno stay-behind e, al contempo, un’alternativa di
facciata al regime mussoliniano; i contatti con i leader antifascisti
socialisti, liberali e monarchici, in patria e all’estero; la diplomazia
segreta per provocare il distacco dall’Asse dell’Italia fascista e
arrivare a un armistizio con gli anglo-americani; gli accordi sottobanco
con le mafie; il razzismo culturale anglosassone verso un popolo
considerato più arabo che europeo. Emerge così un quadro geopolitico che
anticipa le tensioni della Guerra Fredda nel Mediterraneo e che
produrrà effetti devastanti sull’Italia dei decenni successivi. Fino ai
giorni nostri.
Risvolto
Nel corso dello sbarco angloamericano in Sicilia, tra il 9 e il 10 luglio 1943, furono uccisi numerosi civili siciliani e militari italotedeschi caduti prigionieri. Nel centro storico di Gela, raggiunto dagli Alleati dopo aver battuto la resistenza di un battaglione costiero italiano, coadiuvato da un velo di finanzieri che si sacrificarono sulla spiaggia, nelle prime ore del 10 luglio fu uccisa dai Ranger una ventenne con i suoi bambini di uno e tre anni. In località Passo di Piazza, alcuni Carabinieri Reali che si erano arresi dopo una breve ma valorosa resistenza furono fucilati da elementi della 82a divisione aviotrasportata statunitense lanciati nel corso della notte, probabilmente con la complicità dei fanti connazionali della 45 a appena sbarcati nell'area di Scoglitti. In questo volume non si propone l'ennesima ricostruzione dello sbarco in Sicilia sulla base delle fonti ufficiali e consegnata a una versione tradizionale e canonica, ma una rigorosa indagine storica che porta molti elementi rilevanti alla corretta conoscenza dell'evento. Attraverso documenti inediti e fonti di prima mano, come il racconto di sopravvissuti e di testimoni diretti, emergono il coraggio dei carabinieri, dei finanzieri, dei fanti, dei bersaglieri e dei carristi italiani e il sacrificio della popolazione di Gela.
Massimo Teodori Domenicale 11 agosto 2013
Sicilia, luglio 1943. Lo sbarco segretoDossier e saggi sull’invasione degli Alleati di 70 anni fa
di Francesco Bei Repubblica 8.7.13
«Avevamo l’ordine di prendere prigionieri solo in casi estremi». Il
sergente Horace West, processato negli Stati Uniti per aver svuotato a
sangue freddo i caricatori del suo Thompson su 37 prigionieri italiani,
si giustificò così di fronte al tribunale militare.
Operazione Husky, nome in codice dello sbarco in Sicilia il 9 e 10
luglio di 70 anni fa: imbottiti di benzedrina per resistere alla fatica,
furiosi per l’accanita resistenza che avevano incontrato, nonostante la
superiorità schiacciante di mezzi e uomini, in diverse occasioni i
fanti e i parà americani si lasciarono andare a violenze ed eccidi
contro i prigionieri o la popolazione civile. In questo il sergente West
– condannato, graziato e tornato in servizio come soldato semplice – in
fondo era sincero. Il mitico generale Patton, celebrato da Hollywood,
rivolgendosi ai suoi ufficiali alla vigilia dello sbarco in Sicilia
aveva usato la famosa formula: «Kill, kill and kill some». Quanto al
nemico, le istruzioni del generale erano chiare: «Se si arrendono quando
tu sei a 2-300 metri da loro, non pensare alle mani alzate. Mira tra la
terza e la quarta costola e poi spara. Si fottano. Nessun prigioniero».
È il lato oscuro dell’invasione alleata della Sicilia, quando la più
grande forza di sbarco che mai si fosse vista in Europa travolse le
abborracciate difese costiere italiane. Ora i fantasmi di quei caduti
ritrovano vita in diversi saggi appena usciti. E si riaprono i dossier.
Come quello della strage dei Carabinieri a Passo di Piazza, raccontato
nel libroGela 1943 di Fabrizio Carloni (Mursia). Dopo essere stati
circondati dagli uomini dell’82esima “Airborne”, i Carabinieri cessarono
il fuoco e si fecero catturare. Erano 13 o 14. «Furono allineati con le
spalle al muro a tre-quattro metri dal muro della palazzina, rivolti ai
nemici che li fronteggiavano armati di mitra; gli statunitensi erano
sei o sette e ingiungevano di tenere le mani ben alte («Hands up, hands
up!»)». Poi iniziarono a sparare con i mitra. «Il nostro testimone
sosteneva che la fila intera si abbatté al suolo; tre o quattro dei
camerati gli sembrarono, nei momenti successivi, morti; Quattro gli
parvero, nella concitazione, feriti gravemente, di cui uno di Salerno,
che piangeva, gli sembrò morente con ferita a cratere sulla spalla
sinistra che perdeva sangue a fiotti». Cianci, il testimone
sopravvissuto, simulò di essere stato colpito al petto e si salvò.
Ancora più grave la strage dei prigionieri che Andrea Augello racconta
in Uccidi gli italiani e Domenico Anfora e Stefano Pepi descrivono
inObiettivo Biscari(Mursia). Gli avieri italiani, aiutati da qualche
elemento della “Goering”, si trincerano all’aeroporto di Biscari e
ingaggiano quella che viene ricordata come la più dura battaglia della
campagna siciliana. Al termine il tenente li raduna nell’ultimo
avamposto: «Avieri, vi siete battuti bene». Ne restano vivi meno di 40.
Si arrendono e vengono consegnati al sergente Horace West, che li
dispone in fila lungo un fossato. L’aviere Giuseppe Giannola viene
ferito a un braccio e alla testa. Ma la sua giornata gli riserva
un’altra tragica sorpresa. Medicato da un’ambulanza militare, aspetta la
sorte sul ciglio della strada: «È arrivata una Jeep con tre soldati.
Quelli davanti sono scesi: penso mi avessero scambiato per uno di loro.
Mi parlavano sorridendo, poi si sono accorti che non capivo. Li ho visti
guardarsi in faccia: quello con il fucile ha indicato all’altro la
Jeep, lo ha mandato via. È rimasto solo, in piedi, di fronte a me. Io
ero seduto, lui mi fissava. Poi ha imbracciato il Garand, ha mirato al
cuore e ha sparato». Eppure, miracolosamente, Giannola “resuscita” una
seconda volta perché il proiettile non colpisce organi vitali. La
battaglia di Biscari va ricordata anche per la morte di Luz Long,
medaglia d’argento alle Olimpiadi di Berlino del 1936 nel salto in
lungo, alle spalle del leggendario atleta di colore statunitense Jesse
Owens. Long e Owens divennero grandi amici, benché la guerra avesse
separato i loro destini e spedito l’atleta tedesco fin nella sperduta
Biscari a difendere con la sua batteria contraerea una pista di terra in
Sicilia. L’ultima lettera che Long scrisse dal fronte fu proprio
all’amico (nero e americano!) Jesse Owens: «Dove mi trovo sembra che non
ci sia altro che sabbia e sangue. Io non ho paura per me, ma per mia
moglie e per il mio bambino, che non ha mai realmente conosciuto suo
padre. Il mio cuore mi dice che questa potrebbe essere l’ultima lettera
che ti scrivo. Se così dovesse essere ti chiedo questo: quando la guerra
sarà finita vai in Germania a trovare mio figlio e raccontagli anche
che neppure la guerra è riuscita a rompere la nostra amicizia. Tuo
fratello Luz». Su un altro episodio raccontato da Pepi e Anfora
inObiettivo Biscari,ovvero l’uccisione del podestà di Acate Giuseppe
Mangano, del figlio Valerio e del fratello Ernesto, la Procura militare
di Napoli ha deciso di aprire un fascicolo d’inchiesta. Gli
invasori-liberatori sono anche offuscati da pregiudizi etnici, basta
leggere i dispacci “top secret” che Giuseppe Casarrubea e Mario José
Cereghino hanno raccolto inOperazione Husky(Castelvecchi). «Gli italiani
– scrive il servizio segreto britannico – sono dei gran chiacchieroni,
si lagnano di tutto e non fanno che disperarsi. ma quando si tratta di
passare dalle parole ai fatti, spunta sempre un pretesto per non agire».
Non fu così in Sicilia, quando un esercito di “straccioni”, abbandonato
dai generali e da Mussolini, tenne testa per 38 giorni alla grande
armata alleata.
Il maggiore Victor Joppolo entrando per primo a Licata-Adano nel romanzo
Una campana per Adanodi John Hersey (Castelvecchi, premio Pulitzer
1945) nota una donna morta in un vicolo, mutilata dalle bombe che hanno
distrutto la città. «Che orrore. È terribile pensare che abbiamo dovuto
far questo ai nostri amici». «Amici», risponde il sergente Borth al suo
fianco, «questa è bella».
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