sabato 25 gennaio 2014

Quattro racconti di Bulgakov

Michail Bulgakov: Scarafaggio e altre prose, Via del Vento

Risvolto
Quattro prose del celebre autore ucraino di Il maestro e Margherita, tra le quali, nel nostro Paese, una risulta inedita e due edite solo in rivista.  

MICHAIL BULGAKOV 
Una guardia bianca al caffè dei vigliacchiVia del Vento pubblica un racconto del grande autore russo: le fantasie di un soldato davanti ai civili che temono di combattere i bolscevichi. Tra satira e antimilitarismo 
25 gen 2014  Libero GIUSEPPE POLLICELLI


Dei quattro brevi scritti di Michail Bulgakov raccolti in Scarafaggio e altre prose (pp. 40, euro 4) appena pubblicato dalla casa editrice Via del Vento, quello che qui anticipiamo - intitolato «Nel caffè» e quasi certamente inedito in Italia - si segnala per i marcati tratti di satira sociale. Apparso nel 1920 all’interno della rivista Kavkazskaja gazeta, è stato scritto mentre era in pieno svolgimento la guerra civile russa (19181923), che vedeva contrapposti i bolscevichi, reduci dai trionfi della Rivoluzione russa, e i cosiddetti «bianchi», una coalizione di controrivoluzionari appoggiata da vari Paesi stranieri tra cui Francia, Inghilterra e Stati Uniti. L’io narrante, in cui è facile riconoscere Bulgakov stesso (che proprio nel 1920 avrebbe abbandonato la professione medica per dedicarsi all’attività di giornalista e di scrittore), mentre sorseggia un tè in un bar di una cittadina russa osserva alcuni avventori intenti in una vivace conversazione (si tratta di due uomini e una ragazza) e inizia a far lavorare l’immaginazione. Da questo fantasticare, che prende di mira uno dei due signori, si intuiscono le preoccupazioni del protagonista (e dunque di Bulgakov) per i successi mietuti dall’esercito bolscevico e, soprattutto, la sua sfiducia circa l’effettiva volontà dei russi di opporsi all’avanzata dei rivoluzionari. Sembra che Bulgakov sia stato per qualche tempo il narratore preferito di Stalin, che amava in particolare una commedia tratta dal romanzo La guardia bianca (1924), e che ciò gli abbia risparmiato - Bulgakov non appoggiò mai esplicitamente il regime - l’internamento (e forse la morte) durante il Grande Terrore della seconda metà degli anni Trenta. È quindi verosimile che il dittatore non si sia mai imbattuto nelle sarcastiche pagine di «Nel caffè». Un caffè in una città della retrovia.  



Il pavimento coperto dal fango. La nebbia per il fumo di tabacco. I tavolini sporchi appiccicosi. 

Alcuni militari, alcune dame e molti civili. 

Sul palco un piano, un violoncello e un violino suonano una melodia disinvolta. 

Mi faccio largo tra i tavolini e mi siedo. 

Al tavolino si avvicina una signorina col grembiulino bianco e mi guarda con aria interrogativa. 

«Siate gentile, portatemi un bicchiere di tè e due pasticcini». 

La signorina sparisce, poi ritorna e con l’espressione di uno che mi faccia un piacere, pone davanti a me un bicchiere con un liquido giallo e un piattino con due pasticcini secchi. Guardo il bicchiere. Il liquido per l’aspetto ricorda lontanamente il tè. Giallo, torbido. L’assaggio col cucchiaino. Caldo, un po’ dolce, un po’ stomachevole. 

Fumo una sigaretta e guardo il pubblico. 

Al tavolo vicino si siede rumorosamente una compagnia: due signori in abiti civili e una dama. 

La dama è ben vestita, fa frusciare la seta. 

I civili fanno un’impressione più positiva: alti, rubicondi, robusti, nel colmo dell’età da leva. Vestiti in maniera fascinosa. 

Sul tavolino davanti a loro appare un piatto con pasticcini e tre bicchieri di caffè «alla varsaviana». Cominciano a conversare. Mi arrivano frammentarie le parole del civile con le scarpe laccate, che siede vicino a me. La voce è preoccupata. Si sente: «Rostov... potete immaginare... i tedeschi... i cinesi... il panico... hanno gli elmetti... centomila uomini della cavalleria...». E di nuovo: «Rostov... il panico... Rostov... la cavalleria...». 

«È orribile», dice languida la dama. Ma si vede che l’inquietano poco i centomila uomini della cavalleria e gli elmetti. Socchiudendo gli occhi, fuma una sigaretta e guarda il caffè. 

E le scarpe laccate continuano a rumoreggiare. 


La mia fantasia comincia a giocare. 

Che cosa accadrebbe, se all’improvviso, per un miracolo, come in una favola, io ottenessi il potere su tutti i signori in civile? Dio, sarebbe stupendo! Qui al caffè mi alzerei e, avvicinandomi al signore con le scarpe laccate, direi: «Venite con me!». «Dove?», chiederebbe stupito il signore. 

«Ho sentito che vi preoccupate per Rostov, ho sentito che vi preoccupa l’avanzata dei bolscevichi. Questo vi rende onore. Venite con me, vi do la possibilità di arruolarvi subito. Vi daranno subito il fucile e la completa possibilità di andare al fronte per conto dello Stato, potrete prender parte alla disfatta dei bolscevichi odiosi a tutti». 

Immagino che cosa accadrebbe dopo queste parole al signore con le scarpe laccate. 

In un attimo perderebbe il suo stupendo colorito, e un pezzo di pasticcino gli rimarrebbe bloccato in gola. 

Ripresosi un po’, comincerebbe a borbottare. 

Da questo chiacchiericcio sconclusionato, ma accalorato si chiarirebbe prima di tutto che l’apparenza inganna. 

A quanto pare, quest’uomo rubicondo, nel fiore degli anni, è malato... È un malato incurabile, senza speranze! Ha un vizio al cuore, l’ernia e la nevrastenia più orribile. Si può considerare un miracolo il fatto che sieda in un caffè, divorando pasticcini, e non sia al cimitero, divorato dai vermi. 

E infine, lui ha un certificato medico! 

«Non fa niente», direi io sospirando, «io stesso ho un certificato, non un solo, ma ben tre. E tuttavia, come vedete, mi tocca portare il cappotto inglese (che, tra l’altro, non riscalda affatto) e a ogni istante esser pronto per essere arruolato, o per qualunque imprevisto di carattere militare. Fregatevene dei certificati! Non possiamo occuparcene adesso! Voi stesso avete appena disegnato desolatamente la situazione...». 

Allora il signore comincerebbe a borbottare accalorato e dimostrerebbe che lui, propriamente, è già stato preso a registro e lavora per la difesa ora qui, ora là. 

«Conviene forse parlare del registro», risponderei io, «entrarci è difficile, ma farsi cancellare e andare a servire al fronte - è un attimo! Per quanto riguarda il lavoro alla difesa, voi... come dire... vi sbagliate! Da tutti i segni esteriori, dal vostro aspetto si vede che lavorate solo per riempirvi le tasche con banconote. Questo in primo luogo, e in secondo luogo, voi lavorate per distruggere le retrovie, bighellonando nei caffè e nei cinematografi, seminando coi vostri racconti la discordia e la paura, con cui contagiate tutti gli astanti. Converrete che da un tale lavoro non uscirà niente di buono alla difesa, solo una porcheria! 

No! Voi, senz’altro, non siete adatto per questo lavoro. E l’unica cosa che vi rimane da fare e partire per il fronte!» 

A questo punto il signore comincerebbe ad arrampicarsi sugli specchi e affermerebbe che si è servito di un beneficio (figlio unico di madre defunta o qualcosa del genere), e che infine non sa tenere in mano il fucile. 

«Gesù», direi io, «non parlate di benefici. Ripeto, ora non è tempo per queste cose! 

Quanto al fucile, sono solo sciocchezze! Vi assicuro che al mondo non c’è nulla di più facile che imparare a sparare col fucile. Ve lo dico per esperienza. Quanto al servizio militare, che si può fare! Anche      

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