di Nadia Urbinati Repubblica 25.3.14
mercoledì 26 marzo 2014
Stimata politologa di fama internazionale parla di "politica imperial-nazionalista del Cremlino"
Davvero si stenta a credere che certe cose siano possibili [SGA].
Le sfide dell’Europa dopo il voto francese
di Nadia Urbinati Repubblica 25.3.14
di Nadia Urbinati Repubblica 25.3.14
La vittoria della destra ultra-conservatrice e anti-europeista al primo
turno delle elezioni amministrative francesi era annunciata. E non è
semplicemente una questione nazionale. Riguarda la sconfitta del Partito
socialista francese, un pezzo importante dell’establishment politico
continentale. Come non leggere in questa sconfitta il segno
dell’erosione di uno degli ideali europei più vitali del ventesimo
secolo? E da dove cominciare per comprendere le ragioni di questa
erosione?
La storia politica del «Nuovo vecchio mondo», come ha
definito l’Unione Europea Perry Anderson, è stata caratterizzata da
quello che studiosi e opinionisti hanno denominato “deficit
democratico”. Ora, fino a tempi recenti, questo deficit ha riguardato le
istituzioni comunitarie non il progetto europeo. Infatti, sul piano
della rappresentazione di sé ai suoi cittadini e al mondo, l’Europa ha
personificato “valori universali” condivisi e si è proposta come un faro
per i «diritti umani inviolabili e inalienabili della persona, della
libertà, della democrazia, dell’uguaglianza e dello Stato di diritto»,
come recita con orgoglio il Preambolo del Trattato di Lisbona. Su questo
nucleo di valori democratici è nata l’utopia europeista di estendere i
diritti fondamentali e sociali oltre i confini nazionali, per riuscire a
governare la globalizzazione economica e proteggere la democrazia. Oggi
però il “deficit democratico” va ben oltre la gestione burocratica.
Esso coinvolge i valori stessi. Le destre che si federano in tutti i
paesi europei per dare l’assalto all’utopia europeista e conquistare il
Parlamento di Strasburgo alle prossime elezioni di maggio sono il segno
evidente di questo deficit complessivo di legittimità.
La
responsabilità prima è da imputarsi all’incompiuta integrazione politica
dell’Unione per cui, mentre le competenze burocratiche si sono
irrobustite, gli organi politici di accountability sono rimasti allo
stato di crisalide. Una conseguenza accertata dell’interruzione del
processo di integrazione politica è stato il consolidamento di una
“dominazione esecutivista” (rubricabile nella categoria del dispotismo
illuminato) che, in concomitanza con la crisi economica, siè rivelata
essere uno dei fattori scatenanti dell’anti- europeismo populista. Una
dirigenza europea distante, non controllabile per vie democratiche e in
aggiunta espressione sempre più marcata dello squilibrio di potere tra
gli Stati membri, e poi specchio degli algoritmi degli esperti di
finanza che governano le banche e vogliono governare le politiche
sociali: sono queste le accuse rivolte all’Ue che rischiano di minare il
consenso sugli ideali. Che infiammano i populismi e i nazionalismi in
tutti i paesi.
Dominazione esecutivista e ideologia antieuropeista
stanno in un rapporto osmotico. Con la conseguenza che all’opinione
pubblica la proclamazione della fedeltà ai principi rischia di apparire
come una costruzione ideologica falsa, funzionale allo statu quo e
smentita dai comportamenti politici della dirigenza europea. La
sedimentazione di questa opinione anti-europeista (non più solo
euro-scettica) è l’aspetto più temibile della politicizzazione
dell’agenda europea che dominerà questa campagna elettorale per il
rinnovo del Parlamento, perché il suo linguaggio attraversa l’intero
spettro politico e non è confinato ai partiti e movimenti di destra. E
infine, perché si coniuga con mutamenti spettacolari nella politica
internazionale europea.
Nel suo recente messaggio alla Spd,
pubblicato su Repubblica, Jürgen Habermas ha messo in evidenza come a
mettere in discussione l’Europa dei popoli non siano solo i militanti
delle destre xenofobe ma anche i partiti europeisti come la Spd,
responsabile di non contrastare la retorica anti-europeista e pensare di
sfruttarla a proprio vantaggio mettendo l’interesse nazionale al primo
posto. Una storia che ci fa ricordare quanto successo nel 1914, quando i
partiti socialisti ruppero l’alleanza internazionalista per schierarsi
con gli interessi dei loro rispettivi paesi, alimentando la crescita
prepotente dei nazionalismi, poi confluiti con straordinaria celerità
verso plebiscitarismi di massa, fascisti e populisti. In Europa, a
partire almeno dal Settecento, i fallimenti dei progetti continentali di
emancipazione secondo ideali universalisti hanno generato mostri.
Non
vi è nulla di che consolarsi, nemmeno affidandosi all’illusione per cui
sembra difficile uscire dall’Euro senza mettere a repentaglio il
benessere degli Stati membri. Ma, si legge nei proclami dei partiti di
destra, meglio sacrificarsi per i propri che per gli altri. Il mito
della convenienza della moneta unica si erode insieme agli ideali
europeisti, mentre vecchie politiche otto-novecentesche rinascono a
oriente come a occidente. L’annessione della Crimea alla Russia e la
politica imperial-nazionalista del Cremlino sanciscono la riapertura di
un capitolo che il Trattato di Roma del 1957 sembrava aver chiuso. Tutti
i tasselli del nazionalismo sembrano convergere: la vittoria parigina
della destra ultra-antieuropea accade mentre la Duma della reggenza
Putin propone alla Polonia di spartirsi l’Ucraina. L’Unione Europa sta
come un equilibrista sul filo teso su un baratro, senza rete protettiva.
La
politicizzazione dell’agenda europea trova conferma nel carattere
ideologico e identitario di questa campagna elettorale per il Parlamento
di Strasburgo, cominciata di fatto con le elezioni francesi di domenica
scorsa. La lotta ideologica verterà essenzialmente sul significato
dell’Unione Europea, andrà cioè ai fondamenti del patto che ha segnato
la rinascita democratica del secondo dopoguerra. Che le destre
nazionaliste e anti-europeiste siano state le prime a scaldare i muscoli
è indicativo dell’alta posta in gioco simbolica di queste consultazioni
elettorali: la tensione tra i “valori universali” di libertà e
democrazia e quelli identitari, il potenziale risvolto anti-democratico
della mancanza di lavoro, una vera piaga per l’integrazione europea e la
stabilità politica del continente.
Prendendo sul serio il paradigma
della politicizzazione, c’è da augurarsi che per contenere questa
ideologia nazionalista si formi un fronte capace di convogliare il
malcontento nei confronti della dirigenza di Bruxelles verso un
programma alternativo riconoscibile a tutti. Per ora, i partiti dello
schieramento di centro-sinistra si astengono dal posizionarsi in questo
senso e si stanno anzi rendendo responsabili di aiutare la propaganda
anti-europea blandendo il sentimento nazionalista nel tentativo di
attrarre voti. Il paradosso è che mostrandosi tolleranti verso il
linguaggio anti-europeista rischiano di incrementare la popolarità delle
idee rivali nel tentativo di sfruttarle a loro vantaggio. Perché,
quando si vota con argomenti identitari come in questo caso, gli
elettori sanno riconoscere chi offre loro il prodotto originale da chi
commercializza imitazioni.
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