Perché è necessario tornare a Keynes
di Guido Carandini Repubblica 27.3.14
IN EUROPA siamo fra i Paesi che si trovano a fronteggiare una
prolungata e ostinata recessione che rende estremi i fenomeni delle
disuguaglianze, che accresce la disoccupazione di massa e quindi
l’inevitabile immiserimento della classe media. Anche da noi cresce il
numero degli studiosi che sostengono la scarsa validità della scienza
economica definita main stream, nel senso di “tradizionale”, che ancora
si insegna nelle Università, che viene professata dalla maggior parte
degli economisti e di conseguenza finisce per essere accettata anche dal
senso comune.
Scarsa validità perché quella scienza non soltanto non
spiega i disastrosi fenomeni, ma neppure li concepisce non essendo
disposta - incredibile a dirsi - a rinunciare ad alcuni principi di
fondo e di lontana provenienza i quali sono ancora incapaci di dare una
spiegazione semplicemente perché negano la possibilità stessa del loro
verificarsi. Infatti, per assurdo e fantasioso che possa apparire, fra
quei principi continua a esserci quello della presunta “efficienza e
razionalità dei mercati”, nel senso che essi sarebbero capaci in via di
principio di impedire in ogni caso che si verifichino le situazioni di
squilibrio da cui crisi e recessioni hanno origine.
Se si immagina
una situazione in cui i prezzi e i salari, al contrario di quel che
accade in realtà, fossero completamente flessibili, cioè capaci
all’occorrenza di aumentare o diminuire nella misura in cui sarebbe di
volta in volta necessario per mantenere in equilibrio l’economia, allora
regnerebbero la piena occupazione e la piena utilizzazione delle
risorse. Perché ogni shock produrrebbe nel sistema un istantaneo
aggiustamento di prezzi e salari capace di evitare ogni possibile trauma
al sistema economico nel suo complesso. Tuttavia, se questo non accade
non è colpa del mercato ma appunto secondo la scienza economica main
stream lo si deve allo Stato e ai suoi interventi che violano il libero
manifestarsi delle forze autonome degli agenti economici.
Peccato che
la supposta efficienza e razionalità dei mercati siano puramente frutto
di una ideologia e non di una visione critica principalmente per due
ragioni. La prima è che sono affermate da una teoria che riflette
l’immagine del mondo caratteristica di quella determinata classe che in
ogni tempo è dominante proprio in quanto quei mercati cerca di
controllarli secondo le sue convenienze e il suo tornaconto. E questo
avviene anche se è una classe che costituisce in ogni Paese una esigua
minoranza dato che in quelli più avanzati, come sostiene il Premio Nobel
Stiglitz, costituisce generalmente appena l’uno percento della
popolazione.
La seconda ragione è che quel principio, per essere
valido, esige a sua volta di essere basato su una ipotesi del tutto
fantasiosa ma che ancora pare sia necessaria a molte teorie insegnate
nelle Università, e cioè che tutti gli agenti economici hanno “una
perfetta conoscenza del futuro”. Il guaio sarebbe che proprio questa
ipotesi assai azzardata era stata respinta come del tutto inconcepibile
da un teorico che apparteneva anche lui al mondo accademico e cioè da
John Maynard Keynes.
Keynes sosteneva l’opposto principio delle
“incerte aspettative” che immancabilmente dominano le decisioni di
quegli agenti. Ed è stato lui che quasi ottant’anni fa scriveva una
Teoria generale nella quale, al contrario dei suoi colleghi, mostrava
che le possibilità di crisi sono endemiche del capitalismo proprio
perché si tratta di un sistema caratterizzato da quella insuperabile
incertezza. Tutto questo ce lo ricordano gli economisti di ispirazione
keynesiana come Paolo Leon e il più importante biografo di Keynes, cioè
l’economista e storico Robert Skidelsky nel suo più recente libro The
Return of the Master( Allen Lane 2009), nel quale sostiene che
sessant’anni dopo la sua morte egli continua a essere il più grande
pensatore economico fin qui apparso nel mondo.
Ed è proprio per
questo che il suo ritorno oggi sarebbe indispensabile per restituire
alla scienza economica la effettiva capacità di interpretare la realtà,
invece di camuffarla per renderla compatibile con teorie assai spesso
campate in aria ma sicuramente gradite a ben precisi interessi.
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