Risvolto
In questo libro si narra un’altra guerra di Troia, diversa da quella tramandata da Omero e dai poemi del ciclo epico. Attribuito a un sacerdote troiano, quindi testimone oculare degli eventi, il testo è giunto fino a noi in una versione latina introdotta da una lettera di Cornelio Nepote a Sallustio: impossibile stabilire con certezza se si tratti di un’antichissima testimonianza o di un più tardo gioco letterario. Sicura invece è la forza di un racconto conciso e drammatico che – dalla spedizione degli Argonauti fino al saccheggio della città – propone uno svolgimento radicalmente diverso da quello che conosciamo. Non solo per episodi straordinari, come il tragico amore tra Achille e Polissena, figlia di Priamo, o il tradimento di Enea, ma soprattutto per come riporta la guerra a uno scontro tra uomini, lasciati soli con le loro leggi e le loro passioni, senza interventi divini.
Nella versione di Luca Canali la
sensibilità dello scrittore guida il rigore del latinista, dando alla
storia di Troia, pietra angolare dell’immaginario occidentale, la
freschezza di un racconto nuovo. Le accurate note di commento che
accompagnano il testo originale aiutano il lettore a ricostruire i
molteplici riferimenti e le questioni aperte di questo affascinante
mistero letterario.
Luca Canali Latinista e scrittore, ha partecipato alla Resistenza. È tra i fondatori, nel 1956, della rivista culturale «Città Aperta». Ha insegnato Letteratura latina all’Università di Pisa e dal 1981 si dedica a un’intensa attività di scrittura con racconti, saggi e traduzioni di classici latini. Tra i suoi numerosi libri qui ci limitiamo a ricordare: Autobiografia di un baro e Spezzare l’assedio (1984), Diario segreto di Giulio Cesare (1994), Augusto. Braccio violento della Storia (2011).
Darete Frigio
Luca Canali Latinista e scrittore, ha partecipato alla Resistenza. È tra i fondatori, nel 1956, della rivista culturale «Città Aperta». Ha insegnato Letteratura latina all’Università di Pisa e dal 1981 si dedica a un’intensa attività di scrittura con racconti, saggi e traduzioni di classici latini. Tra i suoi numerosi libri qui ci limitiamo a ricordare: Autobiografia di un baro e Spezzare l’assedio (1984), Diario segreto di Giulio Cesare (1994), Augusto. Braccio violento della Storia (2011).
Darete Frigio
Il nome compare nell’Iliade per
identificare un sacerdote di Efesto, testimone dello scontro e di parte
troiana. Secondo la tradizione qui riportata, sarebbe sopravvissuto alla
distruzione della città al fianco di Antenore. Il suo nome è citato
anche da Eliano per identificare l’autore di una Iliade Frigia.
Il cavallo di Troia era Enea
Una riscrittura marchia come traditore l’eroe di Virgilio
di Luciano Canfora Corriere La Lettura 20.4.14
Nel mondo greco e romano, cristiano e bizantino, la continuazione di
un’opera storiografica precedente fu la norma. Così si venne costituendo
un vero e proprio «ciclo» storico, di cui sono giunti a noi soltanto
singoli spezzoni. Ma in realtà tutto incomincia con Omero. Nel caso
dell’Iliade i problemi si complicano. Intorno al grande poema — che
tratta di un periodo brevissimo, e neanche conclusivo, della guerra dei
Greci contro la grande potenza microasiatica di Troia (XI secolo a.C.) —
fiorì, ben più tardi, una serie di poemi che ne completavano il
racconto: ad esempio con l’arrivo di Pentesilea e delle sue Amazzoni
sopraggiunte in aiuto dei Troiani dopo la morte di Ettore. Altri poemi
raccontavano altri «ritorni» meno famosi di quello di Odisseo.
Non ci si avventurava però a raccontare con pari ampiezza i presupposti
dell’Iliade , che infatti comincia in medias res, quando ormai i Greci
hanno alle spalle ben nove anni di guerra logorante. A ricostruire
l’intera vicenda, risalendo addirittura a una prima guerra di Troia
condotta dai Greci contro il padre di Priamo e seguitando oltre l’Iliade
fino alla cattura proditoria e alla distruzione di Troia, provvide un
simpatico falsario (forse databile all’inizio della nostra era) che si
celò dietro il nome di Darete Frigio. Darete, sacerdote di Efesto e
padre di due combattenti troiani sgominati dal greco Diomede all’inizio
del V libro dell’Iliade , costituiva un’ottima «copertura» per suggerire
ai lettori che questa narrazione proveniva addirittura da un
contemporaneo, testimone diretto dei fatti narrati, diversamente da
Omero, vissuto secoli dopo.
Un altro celebre falsario, Tolomeo Chenno (I d.C.), è il primo a far
cenno a una «Iliade Frigia». A noi è giunta in versione latina una
Daretis Phrygii De excidio Troiae historia , citata per la prima volta
da Isidoro di Siviglia (VI d.C.) e forse nata non molto prima. Per
gabellarsi come antica, l’opera è preceduta da una lettera di Cornelio
Nepote a Sallustio, recante l’inverosimile notizia della scoperta
dell’autografo di Darete! Nel Medioevo latino ebbe un successo enorme, a
giudicare dai molti manoscritti del X secolo. Nel XIII secolo fa
capolino addirittura una versione più ampia, scoperta da Courtney nel
1955. Ora, per Castelvecchi editore, l’opera appare ritradotta con
brillantezza e qua e là compendiata da Luca Canali (Storia della
distruzione di Troia ); segue un ottimo corredo di note a cura di
Nicoletta Canzio.
Naturalmente il cosiddetto Darete non sa nulla dei nove anni non narrati
da Omero. Perciò il suo racconto è straripante di dettagli per quel che
attiene agli antefatti della guerra, è poverissimo sui nove anni che
precedono l’Iliade , è rapido nel riassumere quanto narrato nell’Iliade
ed è invece originalissimo, oltre che fantasioso, per quel che riguarda
il finale della vicenda, antitetico rispetto a quanto racconta Virgilio
nel II libro dell’Eneide .
L’originalità del libro di Darete, a suo modo un antenato del romanzo
storico, consiste nell’andare controcorrente rispetto alla tradizione.
Per lui, le ragioni dei Troiani sono molto forti; il ratto di Elena era
ben poca cosa rispetto ai torti dei Greci, già responsabili di una prima
devastazione di Troia; Priamo non fu per nulla scontento dell’arrivo a
corte di Elena (di cui l’autore segnala le bellissime gambe); spiritosi i
vari ritratti dei personaggi femminili (Briseide era «deliziosa, ma
pudica», Andromaca era «alta, casta, ma gradevole», Cassandra «di
statura media e bocca alquanto rotonda», Polissena, figlia di Priamo,
della quale si invaghirà Achille con esiti fatali, era «la più attraente
di tutte le sorelle e di tutte le amiche»); strabico invece e anche
balbuziente era Ettore, così come balbuziente era Neottolemo, figlio di
Achille. Agamennone buono e saggio, Menelao un mediocre.
Inverosimilmente le riunioni decisive dei Greci si tengono ad Atene.
Priamo è un bellicista: ostile a ogni compromesso, egli si ostina nel
protrarre una guerra ormai perdente. Di qui discende il prodursi del
fatto più clamoroso e palesemente anti-virgiliano del racconto di
Darete: il tradimento di Enea. Enea, coadiuvato dal padre e da Antenore,
decide, per porre termine alle guerra, di aprire le porte al nemico:
tutti e tre in combutta con Sinone agli ordini di Agamennone. Persino la
leggenda del cavallo viene fatta a pezzi. Per Darete si trattava di una
protome equina, scolpita sulle porte Scee, attraverso le quali Enea e i
suoi complici fanno entrare i Greci. E non basta. Enea vorrebbe restare
nella città vinta e ridotta a poche migliaia di abitanti, ma ha chiesto
con insistenza ad Agamennone la salvezza di Ecuba e di Elena;
Agamennone gliela concede, ma gli ordina di togliersi dai piedi e di
andarsi a cercare un’altra terra dove sopravvivere. Così l’Eneide viene
annichilita.
Ci si può interrogare sul senso di questo strano racconto. In assenza di
qualunque plausibile notizia sul vero autore, si possono solo formulare
ipotesi. L’intento appare parodico, i ritratti dei personaggi sembrano
confermarlo e fanno pensare ad un’altra celebre parodia storiografica,
la Storia vera di Luciano di Samosata. Si può inoltre pensare — e le due
ipotesi non sono in contrasto — a una consapevole dissacrazione
dell’epopea romana, incentrata sul pio Enea, antico progenitore. Qui
Enea diventa il traditore incallito e consapevole, alla fine maltrattato
dallo stesso nemico al cui servizio si è posto. Nella temperie augustea
e post-augustea, impregnata di rivendicazione occidentalistica e
anti-ellenistica, si levarono voci di dissenso: ad esempio Timagene di
Alessandria, che Augusto scacciò dalla sua casa, in quanto maldicente
antiromano. Dopo Azio e la fine dell’ultimo regno ellenistico, questi
Greci sollevavano ad esempio la questione: se Alessandro Magno si fosse
rivolto a Occidente che brutta fine avrebbe fatto Roma. E Livio,
intellettuale organico augusteo, si affrettò a scrivere pagine e pagine
per dimostrare che Roma avrebbe sconfitto Alessandro, perché disponeva
di validi consoli! In questo clima di insofferenza verso l’asfissiante
conformismo augusteo, il cui prodotto più indigesto è il VI libro
dell’Eneide , forse bene si inquadra l’impennata iconoclastica
dell’altrimenti ignoto Darete Frigio.
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