Lucien Febvre: Europa. Storia di una civiltà, a cura di Thérèse Charmasson e Brigitte Mazon, Feltrinelli, pp. XXVIII-340, euro 15
Risvolto
Quando nasce l'Europa? Essa è figlia della
disgregazione dell'unità mediterranea, ellenica e romana. Solo nel
momento in cui crolla l'Impero romano si danno le condizioni perché si
possa cominciare ad aggregare una civiltà europea. Ma questa nuova
entità origina da una grande rottura. L'Islam irrompe nel vecchio mondo
greco-romano disgregandolo. Ed è contro l'Islam che nasce la costruzione
carolingia, atto fondativo dell'Europa, un mondo in cui il centro di
gravità si sposta a nord generando soprattutto uno slancio economico. Al
centro di questo progetto fu, fin dall'inizio, la visione della
cristianità, concepita come il vero elemento unificante. Scorrono così
sotto gli occhi di Febvre le successive incarnazioni europee:
dall'Europa patria delle nazioni e delle élite intellettuali, all'idea
europea che diventa rimedio disperato dopo la catastrofe della Grande
guerra. L'Europa, insomma, non è una cosa semplice, pronta a nascere
sopra una tabula rasa. A distanza di sessant'anni è oggi possibile
misurare l'enorme tratto di strada che l'Europa ha compiuto. Ma il testo
di Febvre rimane un monito contro i facili entusiasmi europeisti.
L'Europa può espandersi solo a patto di non prevaricare le altre
civiltà: quelle che la compongono e quelle che ha di fronte.
Presentazione di Carmine Donzelli.
Due indagini moderne: storia dell’europeismo sull’orlo della crisi
28 mag 2014 Libero ROBERTOCOALOA
Un recente pamphlet di Donald Sassoon e un volume di Lucien Febvre, sul corso tenuto al Collège durante l'anno accademico 1944-1945, indagano, ognuno a suomodo, sull'Europa, «sorta quando l'Impero romano è crollato» (come diceva Marc Bloch) e sul suo futuro. Per la generazione di Febvre, la scelta europea, dopo due conflitti mondiali, era il ritorno alla ragione. Settanta anni dopo, l'europeismo è invece il gran malato.
Sassoon, docente di Storia europea comparata presso il Queen Mary College di Londra, osserva in Quo vadis Europa? ( Castelvecchi, pp. 48, euro 6): «Negli anni Novanta, e ancheprima, moltipolitologi e commentatoripensavano che il disincanto popolare per la politica fosse dovuto all'incapacità deipolitici digovernare. Laloroossessione conicicli elettorali, la loro paura di prendere decisioni impopolari, il loro costante tentativo di cercare di piacere a tutti avevano portato alla paralisi politica. La soluzione, si pensava, era delegare la decisione difficile a degli "esperti" non eletti come i banchieri centrali, i quali, privi della preoccupazione di non piacere e del bisogno di essere eletti o rieletti, possono fare quel che è necessario senza timore di ripercussioni».
Febvre (1878-1956), unodeimaggiori storici francesi del '900, fondatore con Bloch nel 1929 della celebre rivista in Europa. Storia di una civiltà (a cura di Thérèse Charmasson e Brigitte Mazon, Feltrinelli, pp. XXVIII-340, euro 15) ricorda (approvando e correggendo Bloch) che «l'Europa diventa una possibilità da quando l'Impero si disgrega».
La nascita dell'Europa coincide con l'espansione del cristianesimo a est. In questa indagine, però, non si tratta di attardarsi inutilmente sul problema dei confini: l'Europa non è soltanto uno spazio, ma anche una civiltà. Emblematico è il caso russo. Su questo Febvre è aperentorio: la Russia è più volte europea, innanzitutto per la sua popolazione slava, come quella della Polonia, della Boemia o della Serbia; lo è anche per l'estensione che ha dato al cristianesimo, portato fino in Siberia; per aver protetto l'Occidente contro la minaccia turca; per la sua cultura, da Cechov a Stravinskij e Tolstoj.
Dunque, l'Europa fu a lungo una definizione geografica un po' vaga, con un'identità variabile. È alla ricerca di questa identità che parte Febvre. E a leggerlo si capisce come abbia potuto stregare i suoi contemporanei: Marc Bloch, Fernand Braudel e Robert Mandrou.
Il testo di Febvre rimane un monito contro i semplici entusiasmi e soprattutto contro le semplificazioni della politica. Non c'è ottimismo e grandezza, anche se qualcuno venti anni fa pensò che la parola Europa evocasse un percorso degno delle glorie degli imperatori romani. I termini della questione oggi sono atrocemente complicati, e, come suggerisce con disincanto Sassoon, non dobbiamo far offuscare il nostro sguardo da false speranze. Per comprendere l'Europa di domani occorrerà riflettere sulla sua attuale e futura povertà.
«Le possibilità per i giovani di trovare lavoro", scrive Sassoon, «saranno assai inferiori a quelle esistite nell'epoca aurea degli anni Sessanta e Settanta».
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