sabato 6 settembre 2014

Il furbo Rifkin, che trucca il neocapitalismo da anticapitalismo

Un maestro della sinistra contemporanea. Nell'"Era dell'accesso" faceva passare il sistema del leasing come  la fine della proprietà privata, mandando in brodo di giuggiole gli anticapitalisti più tonti; lo stesso avviene ora con i "commons". E' normale che in Italia abbia tutto questo successo  [SGA].

Jeremy Rifkin: La società a costo marginale zero. L'internet delle cose, l'ascesa del «commons» collaborativo e l'eclissi del capitalismo, Mondadori

Risvolto
In "La società a costo marginale zero", Jeremy Rifkin sostiene che si sta affermando sulla scena mondiale un nuovo sistema economico. L'emergere dell'Internet delle cose sta dando vita al "Commons collaborativo", il primo nuovo paradigma economico a prendere piede dall'avvento del capitalismo e del socialismo nel XIX secolo. Il Commons collaborativo sta trasformando il nostro modo di organizzare la vita economica, schiudendo la possibilità a una drastica riduzione delle disparità di reddito, democratizzando l'economia globale e dando vita a una società ecologicamente più sostenibile. Motore di questa rivoluzione del nostro modo di produrre e consumare è l'"Internet delle cose", un'infrastruttura intelligente formata dal virtuoso intreccio di Internet delle comunicazioni, Internet dell'energia e Internet della logistica, che avrà l'effetto di spingere la produttività fino al punto in cui il costo marginale di numerosi beni e servizi sarà quasi azzerato, rendendo gli uni e gli altri praticamente gratuiti, abbondanti e non più soggetti alle forze del mercato. Il diffondersi del costo marginale zero sta generando un'economia ibrida, in parte orientata al mercato capitalistico e in parte al Commons collaborativo, con ricadute sociali notevolissime. Rifkin racconta come i prosumers, consumatori diventati produttori in proprio, generano e condividono su scala laterale e paritaria informazioni, intrattenimento, energia verde e prodotti realizzati con la stampa 3D a costi marginali...

Jeremy Rifkin nel regno fatato della buona vita
Festivaletteratura. Il sogno di una pacifica eclissi del capitalismo. «La società a costo marginale zero», il nuovo libro di Jeremy Rifkin che sarà presentato oggi al meeting letterario di Mantova
Benedetto Vecchi, 6.9.2014 il Manifesto

In una ipo­te­tica gal­le­ria degli impren­di­tori che hanno svi­lup­pato una qual­che forma di inno­va­zione, un posto ina­spet­tato, e cer­ta­mente non pre­vi­sto dall’economista Joseph Shum­pe­ter che pure alla figura dell’imprenditore ha asse­gnato un ruolo cen­trale nell’analisi del capi­ta­li­smo, va di diritto a Jeremy Rif­kin. Lo stu­dioso sta­tu­ni­tense non opera nel set­tore auto­mo­bi­li­stico, né in quello ener­ge­tico; e nep­pure nell’high-tech, nella chi­mica, nel tes­sile e nella logi­stica. È un ibrido tra un con­su­lente e uno stu­dioso, che è riu­scito, nella sua ora­mai tren­ten­nale atti­vità, a svi­lup­pare una pic­cola, agile e red­di­ti­zia impresa cul­tu­rale.
Rif­kin, infatti, è un impren­di­tore di se stesso. Scrive libri, tiene con­fe­renze e svolge con­su­lenze per imprese e isti­tu­zioni pub­bli­che attorno ai trend sociali e eco­no­mici che carat­te­riz­zano le società capi­ta­li­ste. Ha annun­ciato la «fine del lavoro», irre­ver­si­bili cam­bia­menti cli­ma­tici, la crisi ener­ge­tica con il con­se­guente svi­luppo dell’energia all’idrogeno, il solare, il foto­vol­taico e le bio­masse, pro­spet­tando, ogni volta, tra­sfor­ma­zioni che non sono pen­sa­bili se si rimane vin­co­lati ai para­digmi domi­nanti. Ad ogni libro ha invi­tato il potere costi­tuito a pren­dere atto che il mondo così come era stato «for­mato» era sul ciglio di una rivo­lu­zione che avrebbe cam­biato stili di vita, atti­vità eco­no­mi­che, sistemi poli­tici. Poco impor­tava se le sue pre­vi­sioni e i tren­d­che met­teva al cen­tro della sua atti­vità non sem­pre, anzi quasi sem­pre non ave­vano lo svi­luppo pro­spet­tato. Alle cri­ti­che che accom­pa­gnano le sue ana­lisi, Rif­kin risponde che l’errore riguar­dava il tempo sta­bi­lito affin­ché si rea­liz­zasse la «rivo­lu­zione» annun­ciata o che non aveva pre­vi­sto fat­tori inter­ve­nuti suc­ces­si­va­mente, che non infi­cia­vano le sue pre­vi­sioni, per­ché quei fat­tori avreb­bero reso più radi­cali le tra­sfor­ma­zioni ipotizzate.
 
L’Internet delle cose
La figura di impren­di­tore che «incarna» più che con­se­gnare la pro­du­zione teo­rica legata a un con­tin­genza senza Sto­ria alla cri­tica rodi­trice dei topi, con­ti­nua ad acqui­sire visi­bi­lità, con­sen­tendo a Rif­kin di essere il gestore di una impresa della cono­scenza che fa buoni pro­fitti. I motivi del suo suc­cesso sono da ricer­care nella indub­bia capa­cità di «annu­sare» l’aria che tira e di offrire pro­dotti che, gra­zie a uno spe­ri­co­lato movi­mento dia­let­tico, ripro­du­cono e con­tri­bui­scono, allo stesso tempo, a pla­smare lo «spi­rito del tempo». Di que­sta capa­cità è testi­mone il suo ultimo libro La società a costo mar­gi­nale zero (Mon­da­dori, pp. 485, euro 22) , che sarà pre­sen­tato oggi al Festi­va­let­te­ra­tura di Man­tova (appun­ta­mento alle 14.30 a Piazza Castello).
Il volume può essere con­si­de­rato come un trat­tato rias­sun­tivo della sua vita teo­rica. C’è appunto la fine del lavoro, il ruolo svolto dalle ener­gie rin­no­va­bili nel ridi­se­gnare gli sce­nari sociali e urba­ni­stici, la società dell’accesso come rein­ven­zione più che fine della pro­prietà pri­vata a par­tire dai com­mons fisici e «imma­te­riali», l’economia della col­la­bo­ra­zione. Un insieme che porta Rif­kin ad affer­mare che i costi per pro­durre un bene stanno arri­vando vicini allo zero. Quella del pros­simo futuro sarà una società domi­nata dall’«Internet delle cose». Come nel web la pro­du­zione di con­te­nuti e di soft­ware ormai sono da con­si­de­rare irri­sori, dato che vedono all’opera la figura del pro­su­mer, cioè del con­su­ma­tore che è anche pro­dut­tore di con­te­nuti visto che è «con­nesso» sem­pre alla Rete, anche al di fuori dalla schermo la pro­du­zione di ener­gie e di beni tan­gi­bili hanno visto una dra­stica e radi­cale ridu­zione gra­zie all’uso di tec­no­lo­gie che eli­mi­nano gran parte del lavoro umano o per­ché con­sen­tono pro­cessi di autoproduzione.
 
Il movi­mento dei makers
Sul primo aspetto, Rif­kin si limita a con­sta­tare che la tec­no­lo­gia infor­ma­tica non solo sta ridu­cendo su scala pla­ne­ta­ria il lavoro ope­raio e che tale ridu­zione ha comin­ciato a coin­vol­gere anche il «lavoro della cono­scenza», della cura, della logi­stica e dei ser­vizi a causa di soft­ware deri­vanti dall’Intelligenza arti­fi­ciale. La seconda ten­denza, invece, si basa sulla pos­si­bi­lità di pro­durre ener­gia da soli (foto­vol­taico, solare e bio masse) gra­zie al miglio­ra­mento dei com­po­nenti (pan­nelli, bat­te­rie per l’accumulo, mate­riali per la distri­bu­zione dell’energia che ridu­cono la disper­sione ener­ge­tica) e sulle ormai famose stam­panti 3d, che hanno fatto ridere non pochi com­men­ta­tori ita­liani, quando sono stati evo­cate mara­mal­de­sca­mente da Beppe Grillo.
Ma al di là delle ester­na­zioni del guitto del popu­li­smo post­mo­derno in salsa ita­lica, il «movi­mento dei makers» è una realtà che non può essere liqui­data con una scrol­lata di spalle, per­ché rap­pre­senta la dif­fu­sione virale di quell’attitudine altera e con­flit­tuale verso i prin­cipi della pro­prietà intel­let­tuale. E se per i con­te­nuti «imma­te­riali» que­sto signi­fica rifiuto del copy­right e dei bre­vetti, per i makers pro­durre in pro­prio coin­cide con una cri­tica alla società delle merci che sarebbe sciocco rele­gare a fol­klore. Al di là della futu­ri­stica idea che sarà pos­si­bile svi­lup­pare un dispo­si­tivo che, come accade nella serie di Star trek, pro­duca dalla mate­ria inerte tutto ciò che serve a vivere, tra i makers è forte la ten­sione ad auto­ge­stire la pro­du­zione e a pro­spet­tare solu­zioni all’assenza di lavoro, come testi­mo­niano alcune pic­cole imprese e il più dif­fuso movi­mento di recu­pero delle fab­bri­che dismesse.
L’aspetto poco con­vin­cente del libro di Rif­kin non sta nell’elevare i pro­to­tipi (le sedie, le mura), costruiti con stam­panti 3d o le espe­rienze di auto­ge­stione ener­ge­tica su base locale, a ele­menti sem­pli­fi­ca­tivi di una sor­gente società post­ca­pi­ta­li­sta, dove l’economia di mer­cato è ridotto a un resi­duo del pas­sato, men­tre fio­ri­sce l’economia della col­la­bo­ra­zione. Rif­kin la fa, cioè, troppo sem­plice, dato che pro­spetta un’evoluzione paci­fica che vedrà l’insieme delle norme che rego­lano la pro­du­zione della ric­chezza dis­sol­versi come neve al sole.
Dire che la pro­prietà pri­vata è un retag­gio del pas­sato, così come soste­nere che il lavoro sala­riato può essere supe­rato met­ten­dosi in pro­prio sono desi­deri scam­biati con la realtà. La realtà attuale, tra poli­ti­che di auste­rità, dif­fu­sione a mac­chia d’olio della disoc­cu­pa­zione, guerre feroci com­bat­tute per acqui­sire il con­trollo delle fonti petro­li­fere o di mate­rie prime indi­spen­sa­bili per l’industria hightech, parla un altro lin­guag­gio di quello tran­quil­liz­zante di Jeremy Rif­kin. Un limite, quello di Rif­kin, dovuto non solo al fatto che i suoi sono cat­tivi desi­deri, ma per­ché nel volume è rimosso il nodo degli assetti di potere e dei rap­porti di forza che con­ti­nuano ad asse­gnare alla pro­prietà pri­vata e al lavoro sala­riato un potere per­for­ma­tivo della realtà stessa. In altri ter­mini, a Rif­kin sfugge la dimen­sione del Poli­tico: non arte della media­zione, come recita la vul­gata domi­nante, ma un agire teso alla tra­sfor­ma­zione, appunto, dei rap­porti di forza.
 

Una radi­cale deregulation
Discorso dif­fi­cile, certo, ma fin troppo evi­dente quando nel volume sono affron­tati il tema dei com­mons e della pro­prietà intel­let­tuale. Sul secondo aspetto, Rif­kin ha un punto di forza dalla sua. Auspi­care la for­ma­zione di un sistema misto dove il regime della pro­prietà intel­let­tuale con­vive con la dif­fu­sione delle licenze crea­tive com­mons non è molto distante da quanto sostiene l’organismo dell’Onu sulla «World Intel­lec­tual Pro­perty». Rif­kin tut­ta­via non fa cenno al fatto che l’industria dei Big data è potuta pro­spe­rare gra­zie pro­prio a soft­ware open source.
Det­ta­gli, forse, ma tutto diventa meno con­tin­gente se nel discorso sui com­mons viene igno­rato il fatto che sono pro­dotti all’interno di un regime sala­riato. La riap­pro­pria­zione dei com­mons non può quindi essere svolta senza la cri­tica a quel regime, che ha una appen­dice nei sistemi poli­tici. Il rischio con Rif­kin è di tro­varsi invi­schiati in una pro­spet­tiva di dere­gu­la­tion radi­cale, dove i com­mons più che espres­sione di una coo­pe­ra­zione pro­dut­tiva col­let­tiva sia l’esito di un indi­vi­duo che sce­glie sì di vivere in società, ma solo per­ché per­se­gue con osti­na­zione il pro­prio benes­sere indi­vi­duale. La società a costo mar­gi­nale zero più che a un regno della libertà sem­bra avvi­ci­narsi a una disto­pia dove la mise­ria del pre­sente è ele­vata a sistema.


Per Rifkin l’Internet delle cose è la piattaforma contro la crisi 
Tra i «prosumers», la conoscenza condivisa e il boom delle stampanti 3D il saggista scommette sull’abbattimento del costo marginale dei prodotti
11 ott 2014  Libero UGO BERTONE 

L’economista Jeremy Rifkin ha una grande qualità: riesce a vedere, anche nel bel mezzo di una crisi che non offre per ora vie d'uscita, il bicchiere mezzo pieno. La conferma arriva dalla sua ultima opera, già best seller in Cina (400 mila copie vendute in poche settimane), La società a costo marginale zero, (Mondadori pp 402, euro 22) destinata a sicuro successo anche in Europa. Con pieno merito, perché il pensatore Usa non solo riesce a guardare oltre il braccio di ferro tra austerità e stimoli monetari che riempie, senza alcun frutto, le cronache della politica e dell'economia ma si cimenta, tra i primi, nella ricerca di una soluzione al morbo più pericoloso, la «stagnazione secolare«, ovvero una paralisi che minaccia la crescita ma ancor di più le prospettive delle nuove generazioni, sottoposte ogni giorno a messaggi sempre più drammatici: la miscela di concorrenza globale e rivoluzione digitale, che ha messo e metterà sempre più a rischio i posti di lavoro e ha ridimensionato i redditi dei lavoratori, rischio di mettere ai margini una quota crescente di cittadini. Così si spegne la merce più preziosa, ovvero la fiducia che spinge gli investimenti ed il lavoro, generando recessione e depressione. 
Ma, ribatte Rifkin, il problema porta con sé la soluzione. Il mondo va già verso «il costo marginale zero della produzione». Le imprese, infatti, sono sempre alla ricerca di nuove tecnologie che incrementino la produttività e riducano il costo marginale di produzione di prodotti e servizi in modo da abbassare i prezzi, conquistare sempre più clienti e assicurarsi sufficienti profitti per i loro investitori. Ma in questo modo sta maturando un nuovo paradigma che riesce a portare il costo marginale praticamente vicino allo zero. Prendiamo, ad esempio, il caso dell'editoria: grazie all' elettronica uno scrittore può ormai mettere i propri libri ad un prezzo molto basso su Internet, scavalcando editori, stampatori, grossisti, distributori e rivenditori. Chi se ne avvantaggia? Amazon, si potrebbe rispondere pensando al potere contrattuale del colosso dell'e-commerce. Non è così, risponde Rifkin. «Dalle viscere della seconda Rivoluzione Industriale» scrive «sta prendendo forma una nuova, potente piattaforma tecnologica in grado di spingere a tappe forzate la contraddizione del capitalismo verso la fase finale: la fusione tra l’Internet delle telecomunicazioni, la neonata Internet dell’energia, i prodotti della stampa 3 D e l’Internet della logistica destinate a confluire nella grande infrastruttura intelligente del XXI˚ secolo, l'Internet delle cose». 
Sembra un'utopia, ma non lo è. Basti pensare ai prosumers (che sta per consumers proattivi) che « hanno cominciato a produrre e condividere la propria musica attraverso i servizi di file sharing, i propri video su YouTube, le loro conoscenze su Wikipedia, le loro news sui Social Media e persino i propri e-book attraverso il web. il tutto praticamente gratis». Dall'economia della conoscenza alle attività manifatturiere o dei servizi il passo è più breve di quel che non si possa immaginare. Presto, scrive l'autore, l'economia permetterà a milioni di persone di creare e condividere la propria energia rinnovabile. Anzi, il futuro è già tra noi, anche in Italia. Pochi giorni fa Stmicrolectronics, la società italo-francese, ha annunciato di aver messo in commercio le prime board (4 già sul mercato, altre 6 arriveranno a fine anno) , ovvero schede da 10 a 20 dolalri l'una capaci di dialogare con Arduino, l'hardware italiano che consente agli artigiani digitali di produrre un po' di tutto, nel campo della robotica o degli oggetti intelligenti. Per intenderci Stm ha messo a disposizione delle botteghe artigiane i segreti dei sensori degli smartphone, iPad compresi. E' un buon esempio del confronto che si profila negli anni a venire, secondo Rifkin: da una parte i Big decisi a difendere i propri margini d i profitto, dall'altra la pressione dirompente di centinaia di milioni di prosumers. Espulsi ( o nemmeno presi in considerazione) da un sistema economico che non si rivela all'altezza di rispondere alle attese di qualità di vita dei cittadini. 
Rifkin imbraccia la causa dell'uomo, ma non nasconde il rischio che le cose vadano in un altro modo. Torna d'attualità il conflitto drammatico che, tra il '700 e l'800, caratte-

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