L'Opa di Confindustria sulla cultura italiana monta per fortuna su un cavallo zoppo [SGA].
Risvolto
During the course of the twentieth century, analytic philosophy developed into the dominant philosophical tradition in the English-speaking world. In the last two decades, it has become increasingly influential in the rest of the world, from continental Europe to Latin America and Asia. At the same time there has been deepening interest in the origins and history of analytic philosophy, as analytic philosophers examine the foundations of their tradition and question many of the assumptions of their predecessors. This has led to greater historical self-consciousness among analytic philosophers and more scholarly work on the historical contexts in which analytic philosophy developed. This historical turn in analytic philosophy has been gathering pace since the 1990s, and the present volume is the most comprehensive collection of essays to date on the history of analytic philosophy. It contains state-of-the-art contributions from many of the leading scholars in the field, all of the contributions specially commissioned. The introductory essays discuss the nature and historiography of analytic philosophy, accompanied by a detailed chronology and bibliography. Part One elucidates the origins of analytic philosophy, with special emphasis on the work of Frege, Russell, Moore, and Wittgenstein. Part Two explains the development of analytic philosophy, from Oxford realism and logical positivism to the most recent work in analytic philosophy, and includes essays on ethics, aesthetics, and political philosophy as well as on the areas usually seen as central to analytic philosophy, such as philosophy of language and mind. Part Three explores certain key themes in the history of analytic philosophy.
During the course of the twentieth century, analytic philosophy developed into the dominant philosophical tradition in the English-speaking world. In the last two decades, it has become increasingly influential in the rest of the world, from continental Europe to Latin America and Asia. At the same time there has been deepening interest in the origins and history of analytic philosophy, as analytic philosophers examine the foundations of their tradition and question many of the assumptions of their predecessors. This has led to greater historical self-consciousness among analytic philosophers and more scholarly work on the historical contexts in which analytic philosophy developed. This historical turn in analytic philosophy has been gathering pace since the 1990s, and the present volume is the most comprehensive collection of essays to date on the history of analytic philosophy. It contains state-of-the-art contributions from many of the leading scholars in the field, all of the contributions specially commissioned. The introductory essays discuss the nature and historiography of analytic philosophy, accompanied by a detailed chronology and bibliography. Part One elucidates the origins of analytic philosophy, with special emphasis on the work of Frege, Russell, Moore, and Wittgenstein. Part Two explains the development of analytic philosophy, from Oxford realism and logical positivism to the most recent work in analytic philosophy, and includes essays on ethics, aesthetics, and political philosophy as well as on the areas usually seen as central to analytic philosophy, such as philosophy of language and mind. Part Three explores certain key themes in the history of analytic philosophy.
Risvolto
This is the first of five volumes of a definitive history of analytic
philosophy from the invention of modern logic in 1879 to the end of the
twentieth century. Scott Soames, a leading philosopher of language and
historian of analytic philosophy, provides the fullest and most detailed
account of the analytic tradition yet published, one that is unmatched
in its chronological range, topics covered, and depth of treatment.
Focusing on the major milestones and distinguishing them from the dead
ends, Soames gives a seminal account of where the analytic tradition has
been and where it appears to be heading.Volume 1 examines the initial phase of the analytic tradition through the major contributions of three of its four founding giants—Gottlob Frege, Bertrand Russell, and G. E. Moore. Soames describes and analyzes their work in logic, the philosophy of mathematics, epistemology, metaphysics, ethics, and the philosophy of language. He explains how by about 1920 their efforts had made logic, language, and mathematics central to philosophy in an unprecedented way. But although logic, language, and mathematics were now seen as powerful tools to attain traditional ends, they did not yet define philosophy. As volume 1 comes to a close, that was all about to change with the advent of the fourth founding giant, Ludwig Wittgenstein, and the 1922 English publication of his Tractatus, which ushered in a “linguistic turn” in philosophy that was to last for decades.
Filosofia analitica/1 Non solo anglosassoni
Una corrente oggi diffusa in tutto il mondo e che fin dall'inizio non era ascrivibile a una singola area geografica
di Alessandro Pagnini Il Sole Domenica 28.9.14
Vent'anni dopo che Richard Rorty sentenziava che «non esiste più, se non nel senso stilistico o sociologico..., un qualcosa descrivibile come "filosofia analitica"», un contingente agguerrito di eminenti studiosi coordinati da Michael Beaney, professore a York, ne fa la storia (o almeno così si annuncia nel titolo di queste più di mille pagine tra saggi, cronologia e bibliografie) non dando affatto la sensazione di occuparsi di cosa morta. Anzi, se fino a due decadi fa la filosofia analitica era pressoché esclusivo appannaggio di autori e lettori in lingua inglese, sin dalla fascetta editoriale del volume si apprende che invece oggi, in era di globalizzazione, essa è diventata sempre più influente anche nell'Europa Continentale, in America Latina, in Asia e perfino in Africa. Cosa che però dobbiamo credere sulla parola, perché di questa diffusione nel volume troviamo appena cenno, mentre manca anche qualsiasi riferimento alle vicende della filosofia analitica in Italia, in Francia o in Germania, con la sola Polonia e a un po' di Scandinavia (solo quando si esprimono in simboli logici o in lingua inglese) a rappresentarne le fortune nel Continente. Potremmo semplicemente dire, allora, che questa è una storia della filosofia analitica in lingua inglese, e che se figure per gli "alloglotti" importanti come Giulio Preti, Jacques Bouveresse o Ernst Tugendhat non vi compaiono, sarà compito delle storie della ricezione locale di quella filosofia render loro giustizia. Ma a mio avviso il limite di queste omissioni si avverte quando si tratta di tentare, come fa Beaney nella prima parte del volume, di definire che cos'è la filosofia analitica.
Si è detto e ridetto, e lo ripete Beaney, che la filosofia analitica, alla ricerca delle sue origini, "canonizza" ora Frege, ora Bolzano e Husserl, ora (come indica nel volume Gottfried Gabriel) Herbart e Lotze, fino a canonizzare Kant e i neokantiani; ed è evidente, allora, che essa si definisce dal raffronto con altre filosofie (nessuna di queste in lingua inglese, tranne il pragmatismo), alle quali in una certa fase si contrappone, e con le quali in altri momenti si confronta e si riconcilia. Come con l'ermeneutica, con il marxismo, con la fenomenologia, con alcune forme di idealismo, con il foucaultismo. E questo ci dovrebbe avvertire che non è tanto questione di sapere una volta per tutte da dove si viene e dove si va, con quali alleati e quali nemici, perché la storia ci dice cose più complicate e sicuramente meno univoche. Ce lo insegna esemplarmente la storia del rapporto tra filosofia analitica e tradizione hegeliana, originariamente conflittuale (e Nicholas Griffin qui ci racconta come la tradizione egemone dell'idealismo inglese a Cambridge venga spazzata via da una nozione di proposizione considerata da Russell come un'unità indipendente dalla mente), ma oggi in qualche modo riattualizzata in epistemologia, con Sellars, Brandom o Westphal. Il che dimostra che la filosofia analitica consolida una sua identità e fa valere una sua "differenza" sempre in contesti diversi, nella complicazione di interessi prioritari e di presupposti "metafisici" diversi e nella provvisorietà della contrapposizione con altre filosofie. Proprio per questo leggere Idealismo e positivismo di Preti (1943), per esempio, sarebbe servito a capire di più come si approda a soluzioni "analitiche" per sciogliere alcuni nodi della filosofia idealistica, e senza affidarsi a posizioni realiste alla Russell, ma facendo valere le ragioni di una certa fenomenologia e di un certo trascendentalismo; cosa che diventerà interessante in seguito, e in contesti diversi, ma dai quali indubbiamente c'è da astrarre qualcosa di essenziale.
Così come sarebbe stato utile saper leggere Tugendhat, che reagiva alla aletheia heideggeriana e che fondava analiticamente un'antropologia del relazionarsi a sé, facendo intravedere dove poteva approdare un discorso sulla verità e sulla mente a partire da un diverso referente polemico. In molte parti del volume, invece, con alcune rilevanti eccezioni (tra cui Woodroow Wilson e Skorupski), questa storia della filosofia analitica è una storia "interna", che dà per presupposta una identità (sia pure non definibile in termini di proprietà necessarie e sufficienti) e che spesso ci fa perdere la dimensione delle ragioni di quella identità, la quale, come suggerivo, di volta in volta si guadagna sul terreno di confronti che non sempre vengono esauriti risalendo una catena di citazioni. Una conseguenza eclatante del metodo storiografico adottato dalla maggior parte degli autori del volume e delle scelte cui quel metodo porta, è l'incredibile omissione (questa volta non per incompetenze linguistiche) di Mary Hesse, filosofa importante e influente che mi sembra difficile non includere tra gli analitici. Insieme a lei mancano clamorosamente nel volume tutte le aree tematiche cui la storica e filosofa di Cambridge ha dato contributi fondamentali: la filosofia della religione, la filosofia della scienza postempirista, la rinascita della retorica, una certa tradizione "eretica" di "storia-e-filosofia della scienza" che da Cambridge approda oggi a Chicago, a Parigi, al Wissenschaftscolleg di Berlino. E questo forse perché la Hesse è poco citata nella "scolastica" analitica, e perché, con i suoi riferimenti ai "francofortesi", al tomismo, all'epistemologia storica, all'ermeneutica, devia dal mainstream, troppo acriticamente dato per scontato, che va da Moore a Dummett. Ed è appunto questo che ci deve far riflettere sul fatto che, forse, la filosofia analitica è di più di quella canonicamente considerata; oppure non è, ed è solo filosofia (ma anche questo ce lo direbbe soltanto una storia meno pregiudizialmente compressa).
E già che sono a lamentare qualche problema di impostazione di questo ambizioso progetto, non posso che ricordare che in Italia, più che altrove, proprio per nostra tradizione (o vizio), si è fatta storia della filosofia analitica. E la si è fatta anche bene, e senza rinunciare a un intento teoretico. Contributi seminali come quelli di Paolo Parrini sull'empirismo logico e sulla filosofia scientifica del Novecento, o un libro come Dimenticare Wittgenstein di Paolo Tripodi (il Mulino), se conosciuti dagli estensori di questo Handbook, sarebbero serviti eccome, per esempio, a far chiaro sul peso dell'eredità kantiana e fenomenologica nella filosofia analitica o sulle diverse "fortune" postume di Wittgenstein nel mondo filosofico anglofono e nel Continente. E dal punto di vista strettamente del metodo storiografico, mi permetto di dire che c'è più storia "corretta" della filosofia analitica in un lavoro come quello di Mario Ricciardi, Diritto e natura. H.L.Hart e la filosofia di Oxford (Ets), attento all'ambiente, interessato agli assetti istituzionali e accademici e alle tradizioni di insegnamento, percettivo del modo in cui la "sfida" di altre filosofie indirizza soluzioni teoriche e programmi di ricerca, che in queste mille pagine. Con ciò, niente si toglie al valore teorico e all'interesse generale di questa raccolta di studi. Ma la storia della filosofia analitica, quella un po' più professionale, è ancora in gran parte da scrivere.
Filosofia analitica/2 Wittgenstein, quarto gigante
L'idealismo tedesco è stato combattuto con l'applicazione di strumenti logico-matematici alla filosofia e tale processo è iniziato nel 1879 con Frege
di Nicla Vassallo Il Sole Domenica 28.9.14
Lo straordinario sviluppo della logica, nonché dei problemi epistemologici e ontologici connessi alla matematica, oltre che alla logica stessa, assieme alla vigorosa applicazione alla filosofia della strumentazione logico-matematica, ha rappresentato un buon modo di osteggiare, perlomeno sul piano metodologico, ma non solo, quell'idealismo tedesco che tanta influenza ha esercitato sulla filosofia continentale e le sue varie diramazioni, oltre i confini stessi della Germania – basti pensare ai nostri Croce e Gentile. Per parecchi, Scott Soames incluso, benché non per tutti, ciò si è avviato con Frege.
Non è qui mia intenzione rievocare il trito e ritrito dibattito su analitici e continentali. Il solo analizzare la filosofia analitica e la sua storia rimane impresa difficile, in cui molti si cimentano, non tutti con successo, anche perché occorre dapprima aver chiaro in cosa consiste e debba consistere la filosofia in sé, e quella analitica rimane non una delle molte filosofie sul mercato, bensì una filosofia poco cialtrona, che solleva le principali domande epistemologiche e ontologiche, con metodo rigoroso e argomentazioni trasparenti, in cui alle affermazioni fanno seguito obiezioni e risposte, filosofia che, tra l'altro, nulla concede a irrazionalità e misticismi vari.
Fare filosofia richiede il culto del dettaglio lucido: quando sulla filosofia analitica si scrive tale culto non può svanire. E il volume di Scott Soames, dedicato ai primi tre "giganti", o padri della filosofia analitica, con le sue seicentoottanta pagine e la sua ricchezza di premesse precise, nonché conclusioni inequivocabili, lascia pochi sospetti in proposito, benché capace di sollevare, come ogni buon volume, parecchie controversie. Per menzionarne solo una: se qui Soames discute della filosofia che va dal 1879, ovvero dalla pubblicazione dell'Ideografia di Frege fino al 1918, ovvero a quella di La filosofia dell'atomismo logico di Russell, senza però tralasciare alcune riflessioni di Moore, a favore del senso comune, contro lo scetticismo e sulla metaetica, risalenti a ben dopo, ci si chiede: che ne è di Wittgenstein? Benché Soames tratterà il pensiero di quest'ultimo, insieme a quello di Carnap, Church, Gödel, Tarski in un altro volume, e Wittgenstein diverrà, a tutti gli effetti, il quarto "gigante", presumo che torni subito in mente la distinzione tra una tradizione, in cui la definizione dei concetti si basa sullo disvelare le forme logiche degli enunciati in cui i concetti compaiono, e una tradizione in cui si enfatizza, invece, l'uso di questi concetti nel linguaggio ordinario o comune, nei modi in cui la gente parla e agisce. È noto che rispetto a quest'ultima tradizione, il cui padre viene riconosciuto nel cosiddetto secondo Wittgenstein, ovvero nel Wittgenstein delle Ricerche filosofiche, Russell ha mostrato tutto il proprio disappunto: dopo aver esercitato una notevole influenza sul Wittgenstein del Tractatus, il secondo Wittgenstein gli risultava triviale e ne criticava la sua influenza sulla scuola di Oxford e sulla sua filosofia del linguaggio ordinario, propugnatori, sempre secondo Russell, di una sorta di inammissibile misticismo.
In proposito, l'introduzione di Russell a Words and Things, uscito nel 1959, e prima opera di Ernest Gellner, lascia poco da immaginare. Del resto, lo stesso Gellner attacca in modo forte la filosofia del linguaggio ordinario, da considerarsi quasi alla stregua di un'ideologia, e non sopporta i feticci intellettuali del Novecento, tra cui Wittgenstein: è la ragione a dover pilotare la filosofia, verso lidi che non devono cedere al relativismo, uno dei tanti eredi dell'idealismo.
Per comprendere meglio, rimane a questo punto doveroso rileggere non solo le Ricerche filosofiche, ma l'edizione recentemente riveduta di un volume di Marie McGinn, che ci guida, in modo magistrale, attraverso le tante complessità delle Ricerche stesse, con nuove discussioni sui concetti intenzionali, sulle somiglianze di famiglia, sul seguire una regola, anche alla luce di quanto sostiene Kripke nel suo Wittgenstein su regole e linguaggio privato, Kripke che dalla filosofia del linguaggio ordinario si attesta assai lontano.
www.niclavassallo.net
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