Un modello a piramide che taglia tutti i ponti col senso comune
di Maurizio Ferraris Repubblica 28.9.14
ANCHE uno schiavo, se bene indirizzato, può dimostrare il teorema di
Pitagora. È la tesi che, come al solito per bocca di Socrate, Platone
difende nel Menone , dopo aver constatato che la ricchezza di Anito
(altro personaggio del dialogo) non lo rendeva per questo più
intelligente (Anito si vendicherà divenendo uno dei tre accusatori
principali di Socrate). L’ideale di Platone era quello del filosofo- re,
eppure sottolineava l’intrinseca democraticità del sapere, come
trasmissione ed esame comune, contrapposto alla scienza esoterica, in
particolare al sapere sacerdotale degli egizi, protetto da una scrittura
che conoscevano solo loro. Oggi però il costo delle apparecchiature
favorisce i ricchi, Anito e non lo schiavo di Menone, e si crea quella
che potremmo definire “scienza piramidale”, una scienza di vertice,
esoterica e poco comunicata.
Nel momento in cui da una parte il web diffonde tutto, compreso il
negazionismo e l’idea che la terra sia concava e non convessa, e
dall’altra la big science comporta investimenti miliardari, le piramidi
si riformano. E se le piramidi nascono come osservatori astronomici, non
è privo di ironia il fatto che la manifestazione di questa scienza
esoterica nasca proprio dalla dismissione del telescopio orbitale
Hubble, non più utile per la Nasa, ma utilissimo per tanti altri
scienziati non di punta. La scienza come ideale di una comunità
illimitata della comunicazione di cui parlava, quasi mezzo secolo fa, il
filosofo tedesco Karl-Otto Apel, richiamandosi al “socialismo logico”
propugnato nell’Ottocento da Charles Sanders Peirce, è un sogno del
passato, e questo costituisce un pericolo non solo per la democrazia, ma
per la scienza, per almeno tre motivi.
Primo, si scava un fosso tra la scienza e il senso comune. Quando
Husserl parlava dell’“adulto nella nostra epoca” come uomo medio e
mediamente incivilito, si riferiva a una persona per cui il mondo non
era un mistero. Ma, da una parte, la tecnica ci è diventata sempre più
estranea. Per un paradosso della “età della tecnica”, nessuno se la
sentirebbe seriamente di metter le mani nel proprio computer come si
faceva, una volta, con la propria automobile (a sua volta divenuta
inintelligibile a causa della quantità di componenti elettroniche che
incorpora). D’altra parte, questo medesimo paradosso, in forma meno
avvertita ma molto più potente, vale per la scienza: non solo siamo più
ignoranti che mai (nel senso che non riusciamo a tenere dietro agli
sviluppi della scienza), ma gli stessi scienziati non sono in grado di
dominare se non un territorio limitato, anche supponendo (e non è ovvio,
come dimostra il caso del telescopio nella piramide) che sia garantita
una regolare trasmissione delle scoperte.
Secondo, date le spese necessarie per la ricerca, e le sue ricadute
economiche e militari, assistiamo a una privatizzazione del sapere. Lo
scienziato non è più un «funzionario dell’umanità» (secondo la
commovente retorica burocratica con cui Husserl definiva il filosofo) ma
il detentore di un sapere iniziatico, per ragioni di fatto (non viene
comunicato) e di diritto (anche quando è comunicato, risulta
incomprensibile ai più). Io so ben poco di astronomia, diversamente da
Leopardi. È colpa mia, ma anche se la studiassi non mi basterebbe la
biblioteca di mio padre, né il telescopio del Gattopardo. Verrei a
sapere delle cose a scoppio ritardato, come la luce delle stelle morte
da tempo. Magari i marziani esistono, ma noi (un noi in cui bisogna
includere anche un bel po’ di scienziati) non lo sappiamo.
Lo sanno nella piramide, e ce lo diranno se e quando lo vorranno loro.
Ma proprio qui si apre un terzo problema, ancora più grande dei
precedenti. Husserl vedeva nella comunicazione una condizione
fondamentale della nascita della scienza. Se il primo geometra non
avesse comunicato le sue scoperte, e se queste non fossero state
scritte, conservate e trasmesse, la sua scoperta si sarebbe limitata a
un breve bagliore, a una luce che illumina prima che torni il buio,
aspettando che un altro, se mai ci sarà, ripeta la scoperta. Nel momento
in cui la scienza, nel suo livello più avanzato, si trasforma nel
possesso di pochi, la piramide si rivela un edificio fragilissimo: basta
un black-out, un impiegato distratto o un fanatico (non necessariamente
del Califfato), e tutti i segreti della piramide ritornano nel nulla da
cui erano usciti.
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