domenica 30 novembre 2014
Canfora fa di Togliatti un classico della socialdemocrazia
Non condivido le accuse di chi sostiene che questa recensione costituisce una adesione alla teoria del totalitarismo. C'è invece una proiezione su Togliatti della conversione di Canfora alla socialdemocrazia, avvenuta ai tempi della caduta del Muro e tenuta nascosta per qualche anno [SGA].
Leggi anche qui
Gentile e Togliatti, vite parallele
Entrambi scelsero di essere organici a un disegno politico, con Mussolini o con Stalin
di Luciano Canfora Corriere 28.11.14
Può
apparire a taluno singolare o addirittura «provocante» che di Giovanni
Gentile e di Palmiro Togliatti escano in contemporanea presso Bompiani,
nella stessa collana, «Il pensiero occidentale», due ampie sillogi
miranti a fornire al lettore una nutrita esemplificazione del loro
pensiero (Giovanni Gentile, L’attualismo , introduzione di Emanuele
Severino, pp. 1486, e 40; Palmiro Togliatti, La politica nel pensiero e
nell’azione , a cura di Michele Ciliberto e Giuseppe Vacca, pp. 2330, e
55). Come si sa, Gentile fu ucciso da un commando dei Gap a Firenze
circa alle ore 13 del 15 aprile 1944 e qualche giorno dopo, su «l’Unità»
di Napoli, Togliatti, da poco rientrato in patria dall’esilio, ne
avallò l’esecuzione capitale con un articolo di estrema durezza,
sprezzante nel tono almeno quanto lo erano gli attacchi rivolti a
Gentile da Radio Londra (Paolo Treves) e da Giustizia e Libertà (Carlo
Dionisotti) subito prima e subito dopo l’attentato. Eppure, ritrovarli
l’uno accanto all’altro in questa importante iniziativa editoriale non
dovrà ritenersi né casuale né immotivato. Gentile e Togliatti
condivisero un punto di vista, o meglio una scelta, che li coinvolse
entrambi personalmente in quanto intellettuali organici ad un forte
progetto politico. Una scelta, ideale e pratica, che per entrambi
risultò decisiva. Non stupisce perciò la dilatazione che entrambi
operarono della nozione di «pensatore», richiamandosi l’uno a Mussolini,
l’altro a Stalin come a leader intellettuali e politici al tempo
stesso.
Nel caso di Gentile si potrebbero citare scritti suoi quali
L’essenza del fascismo (1928) o Origini e dottrina del fascismo (1929)
nonché il contributo suo alla voce Fascismo ( Dottrina del fascismo )
firmata da Mussolini per l’Enciclopedia Italiana (1932) e pensata da
entrambi. Ma si possono ricordare anche scritti, meno originali certo ma
intenti ugualmente a chiosare Mussolini come pensatore, di altri coevi
cultori di discipline dello «spirito». La sezione filosofica della voce
enciclopedica firmata da Mussolini fu infatti riedita e commentata, come
«classico» per i Licei, da Emilio Paolo Lamanna ( La dottrina del
fascismo. Commento , Le Monnier, 1940) e già prima da Antonino Pagliaro (
Il fascismo. Commento alla dottrina , ed. Universitaria, 1933).
Quanto
a Togliatti, che definì alla Camera dei deputati (6 marzo 1953) Stalin
«un gigante del pensiero», si può osservare che gli scritti filosofici
di Stalin ( Questioni del leninismo ) erano stati da lui tradotti e
inclusi tra i «Classici del marxismo» per le Edizioni Rinascita (Roma
1945, collana diretta da Cantimori, Luporini, Donini, Pesenti). Peraltro
ancora negli anni Settanta, nella grande Storia del pensiero filosofico
e scientifico di Ludovico Geymonat (Garzanti, vol. VI, 1972), un
paragrafo viene dedicato al pensiero di Stalin, e anche di Mao Zedong.
Nel 1974 un capitolo dell’ I ntroduzione alla sociolinguistica di
Marcellesi e Gardin (Larousse, trad. it. 1979) è dedicato a Il marxismo e
la linguistica di Stalin .
Croce si mostrava infastidito quando la
pubblicistica comunista gli presentava Lenin e Stalin come suoi
«colleghi in filosofia», per adoperare una sua ironica espressione.
Resta il fatto che, nel Novecento, si è determinata una consapevole
rottura degli argini della tradizionale nozione di «pensatore politico».
E non è un caso che chi tale rottura ha inverato, in costante sintesi
di pensiero e azione, si sia richiamato all’archetipo per eccellenza di
tale «rottura degli argini», cioè a Machiavelli: sia Gramsci che
Mussolini. Tale rottura comportò che uomini i quali avevano guidato
rivoluzioni di durevole effetto venissero, nel vivo dell’azione,
percepiti, o avversati, anche come «pensatori». È soprattutto nel fuoco
dei grandi rivolgimenti politico-sociali che la identità Theoria /
Praxis si manifesta in tutta la sua forza. Croce, pur estraneo al milieu
accademico e anzi spregiatore delle sue sclerosi, vedeva in ciò una
sorta di «profanazione» del «filosofare». È comunque curioso osservare
la disparità dei suoi giudizi. Nel suo diario ( Quando l’Italia era
tagliata in due , Laterza, 1948), al 2 dicembre 1943, parla di Mussolini
come «uomo di corta intelligenza» e dalla «personalità nulla», mentre
di Lenin e di Stalin parla come di «uomini dotati di genio» ( Russia ed
Europa , «Città libera», 23 agosto 1945, largamente ripreso dalla stampa
inglese).
Si può ben dire dunque che Togliatti e Gentile ci
appaiono, anche grazie a queste due nuovissime corpose sillogi, segnati
dall’esperienza, da entrambi vissuta in prima persona, che abbiamo
voluto definire «rottura degli argini»: accomunati dal convincimento
secondo cui filosofare è, a pieno titolo, l’agire politico sorretto
dalla consapevolezza di tradurre in atto una concezione del mondo. In
quanto essa prende forma e si precisa, e si evolve, nel suo stesso farsi
azione concreta. Per questo entrambi respinsero la separatezza del
filosofare.
Ma in che misura, nel caso di Togliatti, può parlarsi di
un suo pensiero politico? A pieno titolo egli può annoverarsi tra i
maggiori «revisionisti», rispetto al marxismo, al pari di un Bernstein e
di un Turati. Tale egli fu, nell’azione concreta, mai disgiunta dalla
riflessione storico-politica (si pensi al suo uso di Giolitti come
metafora), attore e teorico.
Nel solco dei Quaderni di Gramsci, egli
pensò la storia d’Italia in quanto strumento del rinnovamento della
società italiana. Alla sua linea d’azione e al suo pensiero, al di là
della quotidianità e delle scelte contingenti, si adattano le parole di
Gentile nella sezione La storia (Storia come storia dello Stato) di
Genesi e struttura della società riferite al concetto di «Rivoluzione».
Lì Gentile — proprio per chiarire il concetto di «rivoluzione» — spiega
la forza delle Costituzioni, delle carte costituzionali, come «mito»
indispensabile e da tutelarsi come tale, ma al tempo stesso la loro
mutazione costante nel concreto e quotidiano farsi della vita dei
popoli: «Scritte sì, ma lette — egli scrive — intese, vissute nella
coscienza politica del popolo che viene rinnovandosi».
Nell’Introduzione
generale alla silloge, Ciliberto e Vacca riprendono il paragone con
Cavour che fu già caro a Giorgio Bocca, narratore intelligente della
biografia togliattiana. Ciliberto — credo che quelle parole siano sue —
racchiude felicemente la figura di Togliatti in una immagine: quella di
«un politico che aveva particolari virtù di statista anche se non riuscì
ad esserlo in modo compiuto come, forse, avrebbe potuto».
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