sabato 8 novembre 2014
Fiabe e canzoni, rovinate da Vecchioni
Risvolto
Con la puntualità dello studioso, e
l'entusiasmo dell'appassionato, Ernesto Capasso ci accompagna alla
scoperta delle canzoni in cui i cantautori italiani hanno utilizzato il
canovaccio della fiaba e dell'infanzia per raccontare i propri mondi
interiori, facendo così risaltare, spesso con risultati eccezionali, il
contrasto tra un ambito narrativo rivolto alla fanciullezza e temi
pensati per il pubblico adulto. La fiaba è una narrazione fantastica di
cui la musica fa proprie le atmosfere e i personaggi. Buoni e cattivi si
confondono, i ruoli si invertono e niente è scontato. I cantautori
reinventano personaggi e colori rivestendoli di contenuti originali.
L'infanzia è la stagione fatata che nell'ispirazione musicale diventa un
paesaggio della mente, e nelle cui irregolari geografie possiamo
ritrovare voci e pensieri del nostro ieri. Viaggiando lungo le
traiettorie emotive del passato, anche gli scrittori di canzoni rivivono
la propria fanciullezza, perché il desiderio di ritrovare il bambino
sperduto nei labirinti dell'io è un'esigenza che nutre e dà respiro al
percorso di ogni artista e ogni individuo. Dal "Burattino senza fili" di
Bennato ad "Alice" di De Gregori, dal "Mostro" di Bersani alla "Nina"
di De André, da cui il libro prende il titolo, l'analisi di Capasso,
sorprendente e necessaria, restituisce senso a un canzoniere dai
profondi significati. Prefazione di Roberto Vecchioni.
Dalle favole alle canzoni
Sono oltre 120 i brani italiani ispirati a racconti popolari De André e De Gregori tra i più affascinati dalle leggende
Andrea Laffranchi Sabato 8 Novembre, 2014 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA
Fiabe sonore. Quei 45 giri che hanno cresciuto generazioni intere con i classici della letteratura per piccoli raccontati con l’intermezzo di filastrocche (e la sigla «A mille ce n’è») sono roba da bambini. Anche le canzoni per «grandi», però, possono essere favole sonore. Come quelle che ci fanno sognare, ridere o piangere, magari senza principesse e draghi. E spesso usano quegli stessi schemi.
Da qui è partito Ernesto Capasso, giornalista e autore di Ho visto Nina volare (Arcana), un saggio sulla fiaba e l’infanzia nella musica italiana. L’autore ha scandagliato il canzoniere italiano e ne ha tirato fuori circa 120 brani. I cantautori più citati, con undici schede ciascuno, sono Fabrizio De André e Francesco De Gregori. Seguono Roberto Vecchioni e Franco Battiato con otto brani a testa, quindi Claudio Baglioni e Angelo Branduardi con sei.
«Le canzoni sono fiabe capaci di raccontare attraverso la scrittura musicale momenti e atmosfere che rimangono indelebili nelle caverne oscure della memoria per poi riemergere all’improvviso come scie luminose», spiega l’autore del libro.
Il concetto di fiaba è ampio. Ovviamente nella lista ci sono quelle canzoni che si rifanno direttamente a favole, leggende e racconti popolari. Dentro quindi De André che cita la Madama Dorè delle filastrocche in «Volta la carta» (a sua volta una filastrocca) e riprende una ballad tradizionale inglese (già riletta da Joan Baez) in «Geordie». E anche Branduardi che rivisita una leggenda pagana con «Il dono del cervo» e una degli indiani d’America in «La pulce d’acqua», o Cocciante che modella la sua «Fiaba» sulla cinquecentesca novella di «Re Porco».
Peter Pan ha ispirato l’omonima canzone di Enrico Ruggeri e l’intero album «Sono solo canzonette» di Edoardo Bennato. Il cantautore napoletano ha messo in musica Pinocchio in «Burattino senza fili», ma dietro i personaggi di Collodi si legge la sua analisi della società dell’epoca. Il confine si allarga. Può bastare anche una suggestione come il volo libero sull’altalena della Nina di De André che dà il titolo al volume. Oppure la fiaba è lo strumento per rendere più poetico un crudo fatto di cronaca come il ritrovamento di un cadavere di una giovane prostituta che ispirò a Fabrizio De André «La canzone di Marinella».
Membro di diritto del club è Sergio Endrigo: maestro nel dare corpo musicale alla malinconia, nobilitò le canzoni per bambini scrivendo filastrocche come «La casa», quella che sta «in via dei Matti numero zero» (con Vinicius de Moraes), e «Ci vuole un fiore» (con Gianni Rodari e Luis Bacalov).
Nella seconda parte di «Ho visto Nina volare» Capasso raccoglie invece quei brani in cui l’infanzia è protagonista. E non sempre sono storie per piccoli. Sul palco di Sanremo Paola Turci nell’89 raccontò di minori costretti a fare i soldati o a spacciare («Bambini»). «Il gigante e la bambina», firmata da Lucio Dalla e Roberta Pallottino per Ron, venne censurata dalla Rai anche per il modo fiabesco in cui raccontava di una violenza sessuale su una minore. Non tutte le ninna nanne, tema a rischio banalità, sono rassicuranti. Sullo sfondo di «Ninna nanna nanna ninna», rilettura di Trilussa fatta da Baglioni, ad esempio, c’è la guerra. L’infanzia è anche un luogo della memoria. E spesso la penna degli autori torna indietro nel tempo. «Ninni» è il nomignolo con cui la mamma chiamava Vecchioni, mentre in «Patapàn» Baglioni ricorda il babbo.
I figli sono fonte si ispirazione. Lunga la lista degli autori ispirati dal fiocco azzurro o rosa: Concato, Jovanotti, Nannini, De Gregori, Venditti, Finardi, Cocciante, Carboni, Branduardi e Benigni. Vecchioni ha scritto per l’arrivo di Francesca («Figlia») e per un momento difficile di Edoardo («Le rose blu»). L’unica ad avere due brani per sé («Culodritto» e «E un giorno») è Teresa Guccini.
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