sabato 15 novembre 2014

La crisi e l'imperialismo globale: il libro di Ernesto Screpanti

Global Imperialism and the Great Crisis
Fa impressione sapere che la parola imperialismo può essere ancora pronunciata. Se poi all'imperialismo è ricondotta la genesi della crisi, forse c'è speranza [SGA].

Erne­sto Scre­panti: Glo­bal Impe­ria­lism and the Great Cri­sis. The uncer­tain future of capi­ta­lism, Mon­thly Review Press

Risvolto
In this provocative study, economist Ernesto Screpanti argues that imperialism—far from disappearing or mutating into a benign “globalization”—has in fact entered a new phase, which he terms “global imperialism.” This is a phase defined by multinational firms cut loose from the nation-state framework and free to chase profits over the entire surface of the globe. No longer dependent on nation-states for building a political consensus that accommodates capital accumulation, these firms seek to bend governments to their will and destroy barriers to the free movement of capital. And while military force continues to play an important role in imperial strategy, it is the discipline of the global market that keeps workers in check by pitting them against each other no matter what their national origin. This is a world in which the so-called “labor aristocracies” of the rich nations are demolished, the power of states to enforce checks on capital is sapped, and global firms are free to pursue their monomaniacal quest for profits unfettered by national allegiance.
Screpanti delves into the inner workings of global imperialism, explaining how it is different from past forms of imperialism, how the global distribution of wages is changing, and why multinational firms have strained to break free of national markets. He sees global imperialism as a developing process, one with no certain outcome. But one thing is clear: when economic crises become opportunities to discipline workers, and when economic policies are imposed through increasingly authoritarian measures, the vision of a democratic and humane world is what is ultimately at stake.


Un moloch in lento divenire 

Sergio Cesaratto, il Manifesto 15.11.2014 
L’ultimo libro di Erne­sto Scre­panti per la Mon­thly Review Press (Glo­bal Impe­ria­lism and the Great Cri­sis – The uncer­tain future of capi­ta­lism, tra­du­zione ita­liana ordi­na­bile on line su www​.ilmio​li​bro​.it)) è assai ambi­zioso. Che negli ultimi trent’anni, crisi o non crisi, il capi­ta­li­smo abbia sov­ver­tito i rap­porti di forza fra capi­tale e lavoro mar­gi­na­liz­zando in gran parte del globo le forze del cam­bia­mento sociale è un fatto evi­dente a tutti. L’abbandono delle poli­ti­che di pieno impiego sul finire degli anni 1970 com­plici le ideo­lo­gie ultra­li­be­ri­ste alla That­cher e Rea­gan, la glo­ba­liz­za­zione con la con­cor­renza mas­sic­cia nel mer­cato del lavoro capi­ta­li­sta di cen­ti­naia di milioni di nuovi lavo­ra­tori e la caduta di ogni spe­ranza nella sfida del socia­li­smo reale sono alla base di que­sto muta­mento epo­cale. Il muta­mento dei rap­porti di forza che si era pro­gres­si­va­mente pro­dotto nei pre­ce­denti cento anni nei paesi di più antica indu­stria­liz­za­zione e cul­mi­nato nell’epoca d’oro del capi­ta­li­smo appare ora il risul­tato di cir­co­stanze non più ripe­ti­bili, almeno per molte decadi a venire. In que­sto con­te­sto Scre­panti si pro­pone di pre­fi­gu­rare quali sono le carat­te­ri­sti­che del capi­ta­li­smo nella nuova fase defi­nita dell’imperialismo globale. 

Un potere impersonale 
Il volume è arti­co­lato in sette capi­toli, più teo­rici i primi in cui l’autore util­mente col­loca il pro­prio con­tri­buto nel dibat­tito inter­na­zio­nale sull’evoluzione del capi­ta­li­smo oltre, natu­ral­mente, a cri­ti­care le tesi bene­vo­lenti nei riguardi della glo­ba­liz­za­zione. Più legati alle vicende delle recenti crisi glo­bale ed euro­pea, alle diverse stra­te­gie impe­riali e al loro con­flitto i capi­toli finali. 
Quello che si sta affer­mando, secondo l’autore, è un potere imper­so­nale del capi­ta­li­smo mul­ti­na­zio­nale che sog­gioga nel nome del mer­cato glo­bale ogni spa­zio resi­duo non solo degli Stati nazio­nali, ma per­sino delle potenze impe­riali pic­cole e grandi. Tale potere imper­so­nale non può natu­ral­mente fare a meno di strut­ture di gover­nance glo­bali che assi­cu­rino l’ordine politico-sociale e monetario-finanziario oltre che il neces­sa­rio sti­molo alla domanda aggre­gata. È in que­sta dire­zione che gli Stati nazio­nali con­ti­nue­ranno a svol­gere un ruolo subor­di­nato seb­bene essen­ziale, accanto alle orga­niz­za­zioni inter­na­zio­nali (Wto, Fmi, Banca mon­diale), entrambi fun­zio­nali a quella che l’autore defi­ni­sce «sove­rei­gn­less glo­bal gover­nance» (governo glo­bale privo di una sovra­nità sta­tuale definita). 
Se que­ste sono le ten­denze, il loro svol­gi­mento non è, secondo Scre­panti, lineare. In par­ti­co­lare v’è una resi­stenza degli Stati nazio­nali nel difen­dere uno spa­zio poli­tico, anche per­ché stretti fra le esi­genze di ser­vire il capi­tale glo­bale attra­verso il pro­gres­sivo sman­tel­la­mento e libe­ra­liz­za­zione delle isti­tu­zioni della epoca d’oro e quelle di man­te­nere il con­senso interno, un com­pito a cui gli Stati nazio­nali sono ancor più chia­mati nella nuova fase di ridu­zione dei diritti cer­cando di evi­tare il ricorso a misure troppo mani­fe­sta­ta­mente coer­ci­tive. Così come con­trad­dit­to­ria è la glo­ba­liz­za­zione del mer­cato del lavoro con la con­se­guente ridu­zione della quota salari sul red­dito nazio­nale e l’esigenza del soste­gno glo­bale alla domanda aggre­gata. In par­ti­co­lare Scre­panti ritiene che gli scon­tri «inter-imperialisti» cor­renti – come fra Stati Uniti, Cina, Rus­sia e Ger­ma­nia – siano il resi­duo di un pas­sato lento a morire, il segno della resi­stenza delle classi diri­genti di alcuni grandi paesi agli effetti della glo­ba­liz­za­zione e alla rinun­cia alle pro­prie ambi­zioni. Il segno del futuro non è nel con­flitto inter-imperiale o nel domi­nio di uno o più Stati, ma nell’impero del capi­tale multinazionale. 
Scre­panti discute l’innovatività della pro­pria tesi rispetto alle vec­chie teo­rie nove­cen­te­sche dell’imperialismo, e l’argomenta nei quat­tro capi­toli cen­trali del libro, dove si spie­gano sia i modi con cui il grande capi­tale piega gli Stati al suo ser­vi­zio, sia le cause eco­no­mi­che della for­ma­zione e della cre­scita (in dimen­sioni e nume­ro­sità) delle grandi imprese mul­ti­na­zio­nali. I pro­cessi di disci­pli­na­mento degli Stati sono orga­nici, e pas­sano per i mer­cati delle merci, della finanza e delle coscienze (ideo­lo­gie), oltre che per gli inter­venti bel­lici con­dotti secondo il modello she­riff and posse (banda di nazioni armate gui­date dagli Stati Uniti). Le crisi stesse, com­prese quelle attuali, sono spie­gate come pro­cessi di esplo­sione delle con­trad­di­zioni stato-mercato che si risol­vono infine in azioni di disci­pli­na­mento della poli­tica da parte del grande capi­tale mul­ti­na­zio­nale indu­striale e finan­zia­rio. Il let­tore non risulta tut­ta­via pie­na­mente con­vinto non tanto della tesi dello stra­po­tere del nuovo impe­ria­li­smo del capi­tale glo­bale, quanto di come que­sto potere si coniu­ghi con i per­si­stenti scon­tri inter-imperialisti. 
Scre­panti ha cer­ta­mente ragione nell’illustrare le varie ten­denze in gioco. Ciò che forse manca, ma nes­suno è ancora in grado di arti­co­larlo bene, è un qua­dro com­pleto di come que­ste forze si coniu­ghino fra di loro: da un lato il capi­tale glo­bale con la sua ten­denza a spaz­zare via i retaggi nazio­nali (oppor­tu­na­mente la cita­zione di aper­tura è dal Mani­fe­sto del par­tito comu­ni­sta del 1848), e dall’altro il per­si­stente ruolo delle potenze impe­riali. Quella che può appa­rire come una carenza è però anche uno sti­molo a un’ulteriore rifles­sione su una tema­tica, l’intreccio Stato-mercato nell’epoca del capi­ta­li­smo glo­bale, asso­lu­ta­mente decisiva. 

Tra locale e globale 
Scre­panti dedica poche pagine finali alla for­ma­zione di un pro­le­ta­riato glo­bale che potrà nel lungo periodo met­tere in crisi il capi­ta­li­smo. Ces­se­ranno infatti, secondo l’autore, le con­trad­di­zioni fra i pro­le­ta­riati del sud e del nord men­tre viene meno la pro­spet­tiva del com­pro­messo rifor­mi­sta, con i par­titi social­de­mo­cra­tici costretti a porsi al ser­vi­zio del grande capi­tale se vogliono man­te­nere il potere. Non ces­serà tut­ta­via, anzi sarà nel lungo periodo esa­cer­bata, la con­trad­di­zione fra un pro­le­ta­riato pro­gres­si­va­mente più impo­ve­rito e sfrut­tato e il capi­tale globale. 
Non v’è dub­bio che le ten­denze messe in luce da Scre­panti ven­di­chino le pre­vi­sioni del Mani­fe­sto del 1848. Con­tra­ria­mente alle attese di Marx ed Engels, tut­ta­via, le lotte ope­raie nei due secoli pas­sati hanno sem­pre avuto un respiro nazio­nale più che inter­na­zio­na­li­sta. Pro­prio lo Stato nazio­nale – per cui si sono spesso bat­tuti i movi­menti socia­li­sti indi­pen­den­ti­sti – ha costi­tuito il ter­reno non solo unico, ma ideale, per un effet­tivo avan­za­mento sociale. Oggi come allora, tut­ta­via, il capi­tale glo­bale non potrà com­ple­ta­mente fare a meno degli imperi nazio­nali, men­tre le masse popo­lari non potranno fare a meno del ter­reno dello Stato nazio­nale per difen­dere o rigua­da­gnare le pro­prie con­qui­ste. Oggi come allora l’idea che il pro­le­ta­riato non ha nazione potrebbe rive­larsi molto pre­ma­tura. Ma Scre­panti la pensa diver­sa­mente e ritiene con Marx che nel futuro solo la for­ma­zione di un sog­getto rivo­lu­zio­na­rio inter­na­zio­nale potrà con­tra­stare lo stra­po­tere del capi­tale globale.

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