martedì 18 novembre 2014

Tradotta la controstoria del popolo americano di Howard Zinn


Un po' populista, come non potrebbe essere diversamente [SGA].

Howard Zinn, Anthony Arnove: Voci del popolo americano. Dalle rivolte dei primi schiavi alla guerra al terrorismo, Il Saggiatore

Risvolta
Esiste la Storia uffi ciale, scritta dai vincitori, filtrata da chi detiene il potere, manipolata da chi possiede giornali e tv. Esistono, poi, le storie dei ribelli e dei vinti. Sono come bombe pronte a brillare da un momento all’altro di quella Storia, ma non sterminano le masse: le smuovono, riscrivono sottotraccia il destino dei popoli, rinfocolano la speranza di lottare per i propri diritti e la propria umanità. Howard Zinn e Anthony Arnove le hanno raccolte sotto forma di lettere, canzoni, testimonianze dirette in un’opera imponente, che riscrive la storia degli Stati Uniti «dal basso». Dalla resistenza dei nativi alla conquista dell’Ovest fino al secondo, discusso mandato di Barack Obama, questa storia americana è costellata di preghiere, di petizioni, di dichiarazioni-manifesto, di piccoli e grandi scritti di resistenza: le lettere dei primi schiavi neri, condotti nel Seicento in Virginia per servire i coloni bianchi; i discorsi del grande abolizionista Frederick Douglass; l’ultimo appello alla giuria di Arturo Giovannitti, uno dei tanti wobblies che sostennero gli operai tessili in sciopero nel 1912; le parole rassicuranti di Martin Luther King e quelle travolgenti di Malcolm X; i resoconti terribili di Hiroshima e del Vietnam; la richiesta di pace avanzata dai familiari delle vittime dell’11 settembre; le ballate di Woody Guthrie e di Bruce Springsteen. Sono solo alcune delle numerose voci che raccontano, in prima persona, cosa è davvero accaduto in più di quattro secoli di storia americana, e documentano come, nella costruzione di un grande paese democratico, troppe volte sia stato messo a tacere il dissenso popolare. Quello di Zinn e Arnove è un libro polifonico: voci ora dissonanti, ora armoniche chiedono di essere ascoltate e capite, perché i sacrifi ci di molti non siano dimenticati per la gloria di pochi, e perché le presunte verità di cui si fa garante e custode la storiografi a tradizionale abbiano fi nalmente il loro controcanto.


La storia al contrario 
Saggi. «Voci del popolo americano» di Howard Zinn, con il contributo di Anthony Arnove, pubblicato per Il Saggiatore. Gli schiavi, le donne e i nativi: una polifonia che ribalta i libri scritti dai dominatori

Bruno Cartosio, 18.11.2014 

Sono tante le voci che costrui­scono nel corso del tempo la «verità» di un popolo. Lo sto­rico che di quel popolo scriva la sto­ria non può ascol­tarle tutte, natu­ral­mente. Ma pro­prio per­ché scri­vere implica sce­gliere, diventa assai signi­fi­ca­tiva la scelta di quali siano le voci di cui si dà conto nella scrit­tura e di quelle che ven­gono igno­rate. E nelle opzioni dei sin­goli sto­rici si riflet­tono spesso le ideo­lo­gie domi­nanti: per i primi decenni del Nove­cento, negli Stati Uniti, la sto­ria «uffi­ciale» della schia­vitù fu quella tra­man­data da bian­chi raz­zi­sti, che non cita­vano una sola delle voci afroa­me­ri­cane che nel secolo pre­ce­dente ave­vano rac­con­tato la pro­pria espe­rienza di schiavi. Anni più tardi, gli sto­rici che invece le hanno ascol­tate hanno riscritto quella sto­ria, e da lì l’intera sto­ria degli afroa­me­ri­cani, anche dopo la fine della schia­vitù. Allo stesso modo è stata riscritta la sto­ria delle donne, della classe ope­raia, delle mino­ranze etni­che e culturali. 
In una parola è stata rimon­tata, un fram­mento dopo l’altro, l’intera sto­ria degli Stati Uniti. E rimane il grande merito di Howard Zinn l’aver pro­dotto la prima sin­tesi sto­rica — la People’s History of the Uni­ted Sta­tes — inclu­siva di quelle «nuove» sto­rie. Era il 1980. Dopo quel momento nes­suno ha più potuto scri­vere facendo come se neri, donne, ope­rai ecce­tera non fos­sero «entrati» nella sto­ria. Oppure: chi l’ha fatto, ha com­piuto un deli­be­rato atto di misti­fi­ca­zione e di eli­ta­ria arroganza. 
Nel 2004, con il con­tri­buto di Anthony Arnove, Zinn pub­blicò una rac­colta anto­lo­gica in cui rac­co­glieva quel­lein­nu­me­re­voli voci di cui aveva dato conto diret­ta­mente e indi­ret­ta­mente nel libro di quasi un quarto di secolo prima. Una seconda edi­zione ampliata uscì nel 2009 ed è que­sta che Il Sag­gia­tore ha tra­dotto ora con il titolo: Voci del popolo ame­ri­cano (pp. 623, euro 32). È lo stesso edi­tore che negli anni scorsi aveva già tra­dotto la Sto­ria del popolo ame­ri­cano (2005)e i saggi di Disob­be­dienza e demo­cra­zia (2003). Ora, con le Voci, com­pleta insieme l’opera di Zinn in ita­liano e il pro­prio omag­gio all’autore, scom­parso nel gen­naio 2010. Non si può dare conto qui di quante siano le voci che in mille modi e toni, a nome indi­vi­duale e col­let­tivo si sono levate dall’interno di ogni com­po­nente del popolo ame­ri­cano a chie­dere, pro­porre, pro­te­stare, denun­ciare; a chia­mare alla resi­stenza; a ragio­nare sul pre­sente e a ela­bo­rare i con­no­tati di una diversa società futura. 
Nel libro ci sono dun­que le voci degli schiavi delle colo­nie, dei neri liberi e dei movi­menti con­tro la segre­ga­zione raz­ziale del Nove­cento; delle donne che per prime hanno chie­sto l’uguaglianza nell’Ottocento e di quelle della «seconda ondata» fem­mi­ni­sta degli anni Sessanta-Settanta del Nove­cento; dei nativi ame­ri­cani; dei movi­menti con­tro le guerre (dalla Grande guerra al Viet­nam, alla guerra in Iraq); dei movi­menti ope­rai; dei movi­menti di libe­ra­zione, resi­stenza e oppo­si­zione (dagli omo­ses­suali ai movi­menti degli immi­grati e a Occupy).
Par­lano sem­plici cit­ta­dini e asso­cia­zioni di mino­ranze lun­gi­mi­ranti; intel­let­tuali e poli­tici; poeti e scien­ziati; rifor­ma­tori e rivo­lu­zio­nari. Bian­chi, neri e indiani: come non ricor­dare almeno il nero libero Ben­ja­min Ban­ne­ker, che nel 1791 ricorda a Tho­mas Jef­fer­son che cosa vogliano dire le sue parole «Dio ha creato tutti gli uomini uguali»; o le parole di Tecum­seh per con­vin­cere gli altri indiani alla coa­li­zione e di Capo Giu­seppe al momento della resa; oppure di Adrienne Rich sul corpo delle donne; oppure ancora di Alex Mol­nar che scrive a Bush padre: «Dov’era lei, signor pre­si­dente, quando l’Iraq ucci­deva la sua gente con i gas?»; o infine di un «clan­de­stino» di oggi: «Mi chiamo Gustavo Madri­gal. Non ho docu­menti, non ho paura, non provo vergogna». 
È una poli­fo­nia che Zinn e Arnove armo­niz­zano dando un ordine al mate­riale – orga­niz­zato in ven­ti­tré capi­toli e un epi­logo – e legando la suc­ces­sione gros­so­modo cro­no­lo­gica dei docu­menti con brevi intro­du­zioni espli­ca­tive. L’epilogo è il testo della can­zone di Patti Smith, Peo­ple have the power, del 1988: «Ascol­tate: io credo che tutto quello che sogniamo / Può rea­liz­zarsi se saremo uniti / Pos­siamo cam­biare il corso del mondo / Pos­siamo inver­tire la rota­zione della terra». È una sin­tesi poe­tica di quello che le mille voci, prese nel loro insieme, hanno cer­cato di dire (e da cui anche il film tratto dalle Voci nel 2009, in cui attori e attrici famosi leg­gono ognuno un docu­mento, estraeva un filo di ragio­na­mento, non solo una rispo­sta emo­tiva). Ed esprime anche, meta­fo­ri­ca­mente, il nucleo poli­tico pro­fondo della con­vin­zione di Howard Zinn che la sto­ria non è mai finita, che il corso del mondo può essere cambiato. 
Alcuni dei suoi cri­tici – più o meno quelli cui il mondo va bene com’è – hanno scritto che la Sto­ria del popolo ame­ri­cano era il frutto della per­so­nale inter­pre­ta­zione della sto­ria di Zinn, cioè che la sua pro­spet­tiva anti­e­li­ta­ria faceva assu­mere al «popolo» carat­teri non suoi. Con le Voci Zinn ha, per così dire, for­nito le prove che la Sto­ria non aveva trac­ciato un per­corso imma­gi­na­rio. Qual­che anno fa, lo stu­dioso afroa­me­ri­cano Henry Louis Gates aveva par­lato delle auto­bio­gra­fie degli ex schiavi come di una «con­tro­nar­ra­zione», che nello stesso momento in cui veniva presa in con­si­de­ra­zione impo­neva la riscrit­tura della sto­ria. Non c’è dub­bio che la sin­tesi di Zinn fosse una con­tro­nar­ra­zione, risul­tante da un lavoro sto­rio­gra­fico che aveva incluso e distil­lato le tante, più pic­cole con­tro­nar­ra­zioni che hanno pun­teg­giato e attra­ver­sato la sto­ria del popolo degli Stati Uniti.

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