sabato 8 novembre 2014
Uno studio collettivo su Heidegger e il nazismo a cura di Emmanuel Faye
Risvolto
Les
recherches internationales sur les relations de la pensée de Heidegger
au national-socialisme connaissent actuellement un nouveau dynamisme. En
témoigne ce volume qui réunit sous la direction d’Emmanuel Faye un
ensemble d’études de Johannes Fritsche (Istanbul), Jaehoon Lee (Paris),
Sidonie Kellerer (Cologne), Robert Norton (Notre Dame, Indiana), Gaëtan
Pégny (Berlin/Paris), François Rastier (CNRS, Paris) et Julio Quesada
(Xalapa).
Sont étudiés des concepts majeurs de la doctrine heideggérienne tels
que ceux de sol, de communauté et de race, mais aussi de subjectivité et
de vérité, qui attestent l’enracinement national-socialiste de sa
conception du Dasein et la destruction programmée de la phénoménologie husserlienne.
Les apports de la philosophie, de la philologie et de la
contextualisation historique sont mobilisés pour montrer notamment
comment Heidegger a réécrit après 1945 sa fameuse conférence de 1938 :
« L’époque des images du monde », afin de transformer en prise de
distance son implication radicale dans le nazisme.
L’analyse critique envisage également l’itinéraire intellectuel et
politique de Hans Georg Gadamer dans les années 1930, et la réception
actuelle de Martin Heidegger.
La conclusion fait le point sur la "vision du monde" antisémite de Heidegger à l'ombre de ses Cahiers Noirs.
di Marco Dolcetta il Fatto 8.11.14
A
lungo dominante, il pensiero del filosofo tedesco Martin Heidegger,
morto nel 1976, non smette di sconcertare i suoi ammiratori ogni volta
che si aprono i suoi archivi e si pubblicano i suoi inediti. La mole
delle produzioni filosofiche di Heidegger è monumentale, il pubblicato
in Germania, e nel resto del mondo comunque non è che una parte di
quanto lui abbia scritto negli anni.
I COSIDDETTI “Quaderni neri”,
per il colore della copertina ma anche, a detta di molti per i
contenuti, nei quali lui ha consegnato negli anni i suoi pensieri
rivelano che l’autore dell’Essere e il tempo oltreché un’adesione al
nazismo già riconosciuta aveva integrato delle note antisemite nelle sue
riflessioni più profonde. Prima in Germania e ora anche in Francia dove
i “Quaderni neri” sono stati tradotti e stanno per essere pubblicati,
riparte la campagna per le ostilità riguardo lui e i suoi pensieri. È
quasi più sorprendente l’eco prodotto dalle reazioni alla scoperta di
questi suoi prodotti di archivio, polemiche fra filosofi storici e
letterati di tutto il mondo. È il nuovo “affare Heidegger”. Nella
pubblicazione dei 34 Quaderni, il grande pensatore di riferimento di
tutta una generazione di filosofi ci ha consegnato le sue riflessioni
nei decenni dal 1930 al 1970. Leggendo troviamo una quindicina di
passaggi chiave antisemiti: gli ebrei vivrebbero – secondo Heidegger –
in base al “principio della razza”. Mossi da “uno spirito di calcolo”,
riuniti al seno di una “pericolosa alleanza internazionale”, sarebbero
il popolo errante e de “l’assenza di suolo”.
Il filosofo riprende dei
luoghi comuni di retorica antisemita molto sommari ispirati da una
lettera basica dei Protocolli dei Savi di Sion, uno oscuro documento a
suo tempo controverso e prodotto di menti complottistiche nel 1901, tema
che ha affascinato Umberto Eco nel suo Cimitero di Praga, un libello
secondo cui il complotto giudeo-massonico minaccerebbe la conquista del
mondo. Ma Martin Heidegger integra anche il suo antisemitismo a una
metafisica e a una filosofia della poetica “l’ebraismo mondiale come il
nazionalsocialismo rappresenta agli occhi del filosofo una delle potenze
che se si sottomettono alla Machenschaft, cioè la tecnica, “lotta per
dominare il mondo”, questo è quanto Peter Trawny, lo studioso che si è
occupato dei “Quaderni neri” sostiene.
Per il filosofo Alain Badiou,
al di là del caso Heidegger “che in effetti ha la piccolezza di un
antisemitismo di bassa lega, a lui importa assolutamente di fare
ammettere a tutti che qualcuno può essere o essere stato anche
anticomunista, stalinista, filosemita, antisemita, monarchico,
democratico, militarista, nazionalista, resistente, nazista o
mussoliniano, internazionalista, colonialista, egualitario,
aristocratico, elitista ed eccetera eccetera, ed essere anche il
filosofo della maggiore importanza del mondo”; in una parola, la
riassume così il professore emerito dell’Ecole Normale Superieure:
“Abbasso i piccoli maestri della purificazione della filosofia: uno
nella vita può avere avuto ragione o essersi sbagliato nelle scelte
politiche, questo non inficia la sua grandezza di filosofo e la
filosofia stessa è indifferente agli orientamenti politici”. Ma non
tutti sono di questa opinione.
SULLE ORME di Farias, lo studioso
cileno che da Berlino est tanti anni fa sollevò per primo i problemi,
fino a Emannuel Faye, che di recente è ritornato sull’argomento, sono in
tanti che pensano che il pensiero di Heidegger è intaccato dal male
sollevato nell’errare del suo affiliamento politico, senza parlare mai
poi di quelli che arrivano ad avventurarsi nel dire che la filosofia del
“Saggio di Friburgo” è solo un accurato rivestimento teorico del
nazionalsocialismo.
“Un’opera può mantenere il nome di filosofia
quando considera come principio una forma di razzismo ontologico? Questa
è la domanda che pone Emannuel Faye nel suo ultimo libro Heidegger, il
suolo, la comunità, la razza.
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1 commento:
Razzismo ontologico? Credo che Faye farebbe bene a trascorre un lungo periodo di meditazione nell'Alta valle del Danubio, tra Beuron e Wildenstein (sono i luoghi di Hoelderlin), anziché scrivere, e pubblicare, queste autentiche sciocchezze.
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