Risvolto
Sul modello della celebre Enciclopedia dantesca (ideata nel settimo
centenario della nascita di Dante), l’opera proporrà voci curate dai
principali studiosi dedicate alle singole opere di Machiavelli, ai
generi visitati (trattatistica, teatro, biografia, ecc.) e alle
strutture letterarie adoperate dallo scrittore (capitolo, canto
carnascialesco, sonetto, ecc.). Un’attenzione particolare sarà
riservata ai personaggi letterari, storici e mitologici e ai luoghi
citati nelle sue opere (da Mosè a Cesare Borgia, da Venezia alla
Svizzera), alle fonti esplicite e implicite (da Apuleio a Polibio, da
Dante a Boccaccio). Una parte cospicua dell’opera sarà riservata alla
“fortuna” di Machiavelli, con lemmi dedicati alle innumerevoli
personalità della storia e della cultura che ne sono stati influenzate,
agli studiosi, critici, filologi, editori che gli hanno dedicato le loro
fatiche, alla circolazione dell'opera di Machiavelli nei vari paesi,
alle rappresentazioni del personaggio e delle sue opere nelle arti;
infine, non mancheranno le voci relative ai temi e concetti del suo
pensiero politico, storiografico, militare, voci “portanti” come stato,
religione, milizia, tirannide, virtù, fortuna e voci “minori” come
eternità del mondo, congiura, inferno, linguaggio, corruzione, ecc.
Machiavelli al confine tra gli antichi e i moderni
De Sanctis, Mussolini, Gramsci: a ciascuno il suo «Principe»
di Luciano Canfora Corriere 11.12.14
Un
dotto francese di fede protestante, prudentemente trapiantatosi a
Londra proprio a ridosso della Rivoluzione, Louis Dutens (1730-1812),
scrisse un ponderoso trattato apparso per la prima volta nel 1766, poi
più volte ristampato, per dimostrare che Le scoperte attribuite ai
moderni , anche nel campo delle scienze matematiche e fisiche, erano già
state pensate dagli antichi. Reagì polemicamente D’Alembert. Ma Dutens
sfoderava, nel suo trattato, anche talune dichiarazioni dei grandi
moderni pronti a dirsi debitori verso gli antichi. Fu quasi un secondo
tempo della Querelle . In particolare colpivano le parole attribuite a
Leibniz e riportate da Dutens (che di Leibniz fu benemerito editore):
«Signore — avrebbe detto Leibniz ad un devoto visitatore —, Lei mi ha
usato spesso la gentilezza di dirmi che io so qualcosa; ebbene io voglio
mostrarvi le fonti da cui ho attinto tutto quello che so»; e, prendendo
per mano il dotto amico, lo portò nel suo studio e gli mostrò le
edizioni, che aveva sempre sottomano, di Platone, Aristotele, Plutarco,
Sesto Empirico, Euclide, Archimede, Plinio il Vecchio, Seneca e
Cicerone.
L’impostazione di Dutens era ingenua, ma poneva un
problema vero: l’uso creativo degli antichi da parte dei moderni.
Niccolò Machiavelli e Thomas Hobbes, l’uno a cavallo tra Quattro e
Cinquecento, l’altro in pieno Seicento, e già maturo pensatore mentre
Leibniz nasceva, offrono la migliore materia per cimentarsi con la
questione. Non è certo casuale che, nell’Introduzione alla recentissima
Enciclopedia Machiavelliana prodotta — nel cinquecentesimo anniversario
del Principe — dall’Istituto dell’Enciclopedia Italiana (direttori
dell’opera Gennaro Sasso e Giorgio Inglese), Sasso dedichi un denso
paragrafo al tema L’imitazione dell’antico (vol. III, pp. XLVIII-XLIX).
Sasso si concentra, ovviamente, sui Discorsi sopra la prima Deca di Tito
Livio , dove l’operazione è resa trasparente dal fatto stesso di porre
il racconto liviano della storia romana alla base della riflessione.
Sasso mette in luce l’aporia intrinseca in quel modo di procedere: se
«gli uomini» — osserva — erano, naturalisticamente intesi, «gli stessi»,
come mai si erano fatti in realtà tanto diversi da far sorgere il
problema dell’estrema difficoltà di tornare ad essere come quegli
antichi?
Nel proemio al primo libro dei Discorsi Machiavelli
addirittura sembra quasi anticipare quell’assunto cui Dutens — per parte
sua convinto che Machiavelli fosse solo un ripetitore degli antichi —
dedicherà tante energie: che cioè le conquiste scientifiche (in
particolare la medicina) erano già state attuate dagli antichi. E
deplora che proprio nella politica il modello antico venga ignorato e
disatteso. Hobbes, invece, nelle pagine introduttive al De Cive , dirà
con tutta l’asprezza necessaria, che Aristotele si è sbagliato
nell’assunto fondamentale della Politica (la naturale «socievolezza»
degli uomini): «Questo assioma — dirà —, sebbene accolto da molti, è
falso».
L’apparente dilemma si risolve in realtà constatando che
proprio quei fondatori della modernità — Machiavelli, Hobbes, Leibniz —
hanno pensato il nuovo dialogando con gli antichi. È questo che Leibniz
intendeva quando additava al suo visitatore i libri che avevano
sustanziato il suo pensiero.
Se Machiavelli, Hobbes, Leibniz non
poterono non dialogare con gli antichi, noi non possiamo non dialogare
con Machiavelli, Hobbes e con tutti coloro che, lottando per dischiudere
la modernità, incominciarono proprio da quel remoto, e pur sempre
fresco, punto di partenza. Questo genere di dialogo si risolve, per lo
più, in una feconda forzatura: si fa dire, ai libri fondativi che ci
precedettero, ciò che noi vi leggiamo o vogliamo leggervi proprio
perché, con l’aiuto di una tale «pietra focaia», pensiamo, o cerchiamo
di pensare, i nostri pensieri: quelli del presente e del tempo che
sentiamo imminente. Lo facciamo con i classici antichi e con i classici
moderni: per esempio proprio con Machiavelli. E l’ Enciclopedia che qui
segnaliamo assolve egregiamente a tale compito, a tale funzione
chiarificatrice. Essa ci mostra, voce dopo voce, articolo dopo articolo,
non solo quale originalissimo «Ierone siracusano» sia il tiranno visto
da Machiavelli, ma anche quale originalissimo Machiavelli sia il
Machiavelli di Ugo Foscolo o di Francesco De Sanctis o, ai limiti del
totale stravolgimento dell’originale, il Machiavelli di Antonio Gramsci.
E ancora: quello demonizzato dalla Controriforma — il «cattivo maestro»
— che ritorna curiosamente nello scontro tra fazioni bolsceviche in
pieno XX secolo (si veda la voce «Russia» in questa Enciclopedia ); e
poi il Machiavelli arruolato senza tanti complimenti dal pessimismo
antropologico del «tacitismo»: fino alla sua manifestazione postrema nel
Preludio al Machiavelli di Mussolini, ispirato — in ciò Gramsci vide
giusto — all’insopportabile e oligarchico pessimismo di Giuseppe Rensi.
Ovviamente
il compito degli storici e dei filologi non è solo quello di rimirare
la creativa fecondità di un pensiero (e la sua possibile vitalità ben
oltre gli intendimenti dell’autore), ma anche, e non meno, di recuperare
l’esatta nozione di ciò che quel determinato autore disse, scrisse e
pensò: di scrostare dunque, di sull’originale, le rigogliose e
«necessarie» incrostazioni dei posteri. L’ Enciclopedia Machiavelliana
rende molto bene anche questo prezioso servigio, e dobbiamo perciò
essere grati alla squadra che l’ha saputa realizzare.
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