giovedì 11 dicembre 2014

Esiste la "teologia queer" e vuole "una sessualità sovversiva per smarcare Dio dagli angusti confini ideologici..."

Althaus Reid: Il Dio queer, Claudiana

Risvolto
Una teologia "deviante" per pensare aspetti inediti e anti-ideologici di Dio. Queer, un termine dispregiativo ri-significato dalle minoranze sessuali GLBT La teologia queer e la differenza "indecente" del queer come spiraglio verso una trascendenza foriera di trasformazione. Una sessualità sovversiva per smarcare Dio dagli angusti confini ideologici in cui è stato collocato.

Chi pensasse che Il Dio queer sia semplicemente un altro libro sulla fede cristiana e l'omosessualità sbaglierebbe: la teologia queer proposta da Marcella Althaus-Reid è molto di più e proviene da un universo concettuale e spirituale altro che non cessa di provocare e di stupire.
Per l'autrice, parlare di Dio queer significa parlare di una trascendenza foriera di trasformazione, di una fonte immanente di scompaginazione rivoluzionaria, per far emergere ciò che contraddice lo status quo, e dunque anche le norme che regolano la sessualità e il potere che ne deriva. 

Quando l’amore divino rompe la gabbia della decenza
Claudio Canal, il Manifesto 11.12.2014

Non ho capito la metà di que­sto libro. Ma l’altra metà mi ha fol­go­rato, per la tra­iet­to­ria di nuovi sguardi che rie­sce a offrire. Qual­cuno, che non l’ha letto, ha preso il titolo Il Dio queer e l’ha tra­dotto in base al pro­prio voca­bo­la­rio men­tale: Il Dio fro­cio, il Dio ric­chione, poi ha impre­cato ad alta voce bestem­mia!
Il libro, pub­bli­cato dalla casa edi­trice val­dese Clau­diana di Torino (pp. 315, euro 24,50) nella col­lana Pic­cola biblio­teca teo­lo­gica, pre­senta per la prima volta al pub­blico ita­liano un lavoro orga­nico della teo­loga argen­tina Mar­cella Althaus Reid, nata a Rosa­rio nel 1952 e morta nel 2009 ad Edim­burgo dove inse­gnava teo­lo­gie con­te­stuali da alcuni anni. 

Uno scon­certo teologico 
Nel 2000 aveva pub­bli­cato Inde­cent Theo­logy. Theo­lo­gi­cal Per­ver­sions in Sex, Gen­der and Poli­tics (Rou­tledge). Un sag­gio meno impe­ne­tra­bile dell’attuale, più vitale e iro­nico, men­tre in alcune parti de Il Dio queer Mar­cella Althaus Reid sem­bra quasi par­lare in lin­gua, una spe­cie di glos­so­la­lia visio­na­ria non sem­pre facile da deci­frare. Chi legge può for­tu­na­ta­mente appog­giarsi sull’ampia intro­du­zione di Gian­luigi Guglier­metto che, oltre a tra­durre impec­ca­bil­mente l’arduo testo, offre una pre­sen­ta­zione com­ples­siva e appro­fon­dita del pen­siero della teo­loga. La post­fa­zione di Leti­zia Tomas­sone ne coglie alcuni aspetti basi­lari che danno la rotta alla let­tura. È invece sal­tata la dedica dell’edizione ori­gi­nale: «Que­sto libro è dedi­cato a tutti i miei amici e amori ed a tutti coloro che nella vita vanno come me “liberi e s-catenati”, cer­cando Dio in mezzo agli amori, gli amo­razzi e tante soli­tu­dini». Pec­cato, era un motivo non mar­gi­nale di que­sto caco­fo­nico scon­certo teo­lo­gico. Anche un clas­sico indice dei nomi non avrebbe guastato. 
Per scom­pa­gi­narci la teo­loga argen­tina non esita a bistrat­tare il lin­guag­gio met­tendo a dura prova i nostri nervi, impau­ren­doci e lascian­doci, come minimo, fra­stor­nati. Titoli di alcuni para­grafi: Dio voyeur, Tri­nità come orgia, Dio come sodo­mita, Eia­cu­la­zione pre­coce: Dio in tran­sito, Sodo­miz­zare l’ermeneutica, Teo­lo­gia della libe­ra­zione pubica. Fuo­chi d’artificio lin­gui­stici che testi­mo­niano l’impegno a nomi­nare e rino­mi­nare, a pro­durre nuove meta­fore piut­to­sto ine­dite, ma non indi­ci­bili, come sem­bre­rebbe a prima vista. Infatti, chi è il Dio queer? È il Dio che è andato in esi­lio con il popolo di Dio ed è rima­sto con loro. Un Dio fluido e insta­bile, clan­de­stino, indo­cile, un estra­neo che sta davanti alla porta del nostro attuale ordine amo­roso ed eco­no­mico. Un Dio che fa coming out della sua mar­gi­na­lità e della sua onni-sessualità che oltre­passa qual­siasi dog­ma­tica dell’eterosessualità. Ma che genere di Dio è? È un Dio sfre­nato e polia­mo­roso, il cui sé si com­pone in rela­zione ai suoi abbracci mul­ti­pli e alla sua man­canza di defi­ni­zione ses­suale. Dio è un mesco­la­mento di generi. Un Dio che non disde­gna gli eccessi, pieno di desi­deri tra­sgres­sivi a causa del suo amore per gli esseri umani. 

La rot­tura del canone 
La teo­lo­gia della libe­ra­zione di matrice lati­noa­me­ri­cana, da cui Mar­cella Althaus Reid riven­dica la pro­ve­nienza, ha visto il corpo affa­mato, il corpo ema­ciato, il corpo tor­tu­rato e sfrut­tato, ma non il corpo ses­suato. In que­sto modo ha scan­sato le tur­bo­lenze dei corpi scal­pi­tanti di desi­de­rio e di pia­cere, lasciando così intatto l’ordine ete­ro­ses­suale che la con­qui­sta euro­pea dell’America Latina ha impo­sto fin dall’inizio, facen­dosi forte di una pre­sup­po­sta e fon­dante ete­ro­ses­sua­lità di Dio. È stata l’ingiunzione di una decenza che ha sca­ri­cato nell’indecente tutto ciò che fuo­riu­sciva dal canone, tutto ciò che non com­ba­ciava con l’ideologia ses­suale euro­pea, cioè la teo­lo­gia, ren­dendo impos­si­bile e illeg­gi­bile la pre­senza di Dio tra le «impu­rità» del mondo. 
Avendo bene in mente che la teo­lo­gia queer è una teo­lo­gia mate­riale che prende i corpi sul serio (qual­cuno ha visto i santi e le sante in mutande?) l’autrice va alla ricerca nelle società lati­noa­me­ri­cane di tracce di inde­cenza e di abie­zione soprav­vis­sute in pra­ti­che reli­giose e ses­suali estro­messe. L’abietto, il get­tato fuori di sé, come Lacan inse­gna, costi­tui­sce spesso il con­trap­punto proi­bito e sov­ver­sivo in oppo­si­zione all’ideologia dei corpi asser­viti e disu­ma­niz­zati. Uno dei gradi di let­tura post­co­lo­niale più appas­sio­nanti di que­sto libro. 
A costruire il cir­colo erme­neu­tico liber­tino, come lo chiama Mar­cella Althaus Reid, ven­gono con­vo­cati De Sade, Bataille, Klos­so­w­ski, Deleuze, oltre a Hélène Cixous e Judith Butler, tra le altre. Cru­ciale il ricorso alla con­na­zio­nale Ale­jan­dra Pizar­nik (mode­ra­ta­mente pre­sente nell’editoria ita­liana), grande poeta este­nuata dall’orrida decenza pro­pu­gnata dalla giunta mili­tare argen­tina, e al por­teño Fede­rico Anda­hazi, autore de L’anatomista, romanzo in cui sco­perta dell’America e sco­perta del corpo fem­mi­nile orga­smico si intrec­ciano nelle per­sone di due omo­nimi ita­liani, Cri­sto­foro e Realdo Colombo. Gira e rigira la mobi­li­ta­zione di que­ste intel­li­genze e una fine ese­gesi queer di alcuni luo­ghi biblici (Sodoma, Lot, Raab) ci con­du­cono ad uno dei car­dini del cri­stia­ne­simo non impe­riale: l’inno cri­sto­lo­gico pre­sente nella «Let­tera ai Filip­pesi» di Paolo in cui si afferma che Dio, in Cri­sto, si è spo­gliato della sua divi­nità per pren­dere la forma di servo, di ultimo tra gli ultimi. Uno svuo­ta­mento e dis­sol­vi­mento delle pre­ro­ga­tive divine che ha sem­pre ispi­rato i gesti anta­go­ni­sti al dispo­ti­smo dell’Onnipotente e dei suoi ultrà. 

Etica della passione 
È la kenosi (io vuoto), in cui la masco­li­nità dei cieli si perde nelle iden­tità fluide, ambi­va­lenti e arrab­biate, in cui Dio esce dai nascon­di­gli della ete­ro­ses­sua­lità, si incam­mina nei vicoli bui che lo por­tano fuori strada. Un Dio de-genere che prende corpo, una incar­na­zione in cui la carne è vera carne e san­gue che pulsa. Un Dio che non può essere coop­tato da nes­suno, non è embed­ded ad alcuna orto­dos­sia né fem­mi­ni­sta né queer. Pro­prio per que­sto è tut­ta­via un Dio queer, insta­bile, fluido, tra­sver­sale, pro­mi­scuo, obli­quo, forse per­fino un po’ goffo, che sta fuori della legge, ma nella giu­sti­zia, che tran­sita in quei ter­ri­tori dove donne e uomini strin­gono impre­ve­di­bili ami­ci­zie e amori, non importa con quale eti­chetta di genere, dove la sin­tassi nor­ma­tiva della ete­ro­ses­sua­lità retro­cede senza fallo, dove qual­cuno è pronto a mostrare il sedere alle multinazionali. 
Per Mar­cella Althaus Reid, matrice Paulo Freire e la peda­go­gia degli oppressi, è un’etica della pas­sione e i corpi inna­mo­rati di un amore inde­cente che la vivono, sov­ver­tono le moda­lità di orga­niz­za­zione sociale e di pro­du­zione degli scambi eco­no­mici e affet­tivi. È queer ciò che dubita di que­sta nor­ma­lità espressa dal capi­tale, inter­pre­tando il capi­tale come qual­cosa che si rife­ri­sce anche alle relazioni. 
Un’escatologia dei corpi abietti in rivolta che pro­mette bene oppure ricon­ferma della sua sma­gliante solitudine?

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