Benedetto Croce-Giovanni Gentile
CARTEGGIO Vol. I 1896-1900
a cura di Cinzia Cassani e Cecilia Castellani; con un'Introduzione di Gennaro Sasso 2014 |
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Questo è il primo volume, comprensivo degli anni che vanno dal
1896 al 1900, delle lettere che Benedetto Croce e Giovanni Gentile si
scambiarono fino al 1924. Edito per la prima volta in forma unitaria e
integrale, il Carteggio permette di seguire, attraverso un
fitto dialogo intellettuale, filosofico, politico e umano, la formazione
di due distinti sistemi di pensiero che hanno dominato, in Italia e non
solo, la prima metà del secolo ventesimo e sono ancora vivi in questi
primi anni del ventunesimo, contribuendo, nella nuova forma, alla
migliore comprensione dei tempi e dei modi della loro genesi.
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Leggi anche qui
Croce-Gentile la pace postuma
Grazie a un accordo tra gli eredi sono state raccolte in un unico volume le lettere che i due filosofi si scambiarono prima della rottura (anche politica)
Giuseppe Salvaggiulo La Stampa 7 12 2014
La prima, una cartolina postale, partì da Torre del Greco il 27 giugno 1896: «Stimatissimo Signore...». Il trentenne Benedetto Croce, che già godeva di considerazione negli ambienti dell’erudizione storica, ringraziava il ventunenne Giovanni Gentile «pel dono cortese del suo studio sulle commedie del Lasca» (la tesi di licenza dopo il secondo anno di Lettere alla Normale di Pisa) e se ne congratulava «pel modo veramente egregio nel quale è condotto», sottolineando «la sua erudizione sobria e calzante» e «le conclusioni esattissime» senza «traccia d’inesperienza». La risposta fu spedita nove giorni dopo da Campobello di Mazzara, dove Gentile trascorreva le vacanze: «Chiarissimo signore...». Lo studente devoto si compiaceva del «giudizio benigno» e, «scusandomi se sono subito un po’ indiscreto», esprimeva il desiderio di «leggere la sua memoria Intorno alla storia della cultura, che mi pare non sia in vendita». Croce risponderà di non poter esaudire la richiesta «perché non ne ho più neanche una copia».
Passando al «Carissimo amico...», ne seguiranno altre duemila, di lettere tra i due principali filosofi italiani del secolo scorso. Per ventotto anni, fino all’ultima del maestro napoletano, datata 24 ottobre 1924: «Certo, noi da molti anni ci troviamo in un dissidio mentale, che per altro non era tale da riflettersi nelle nostre relazioni personali. Ma ora se n’è aggiunto un altro di natura pratica e politica, e anzi il primo si è convertito nel secondo, e questo è più aspro». Evocando l’opposto giudizio sul fascismo, con animo fermo ma non iroso Croce concludeva: «Non c’è che fare. Bisogna che la logica delle situazioni si svolga attraverso gl’individui e malgrado gl’individui. (...) Io ho fiducia nel tempo, e molte volte ho udito dirmi poi: tu avevi ragione; e spero perciò che molte asprezze si spianeranno da sé. Siamo in tempi che, in fatto di cangiamenti, ci hanno abituati a miracoli. Credo di averti risposto con ogni franchezza, e tu forse troverai giuste le cose che ti dico. (...) Abbimi sempre con molto affetto, tuo Benedetto».
Gentile comprese «la logica delle situazioni» e non rispose. Seguirono i rispettivi manifesti pro e contro il regime, a conferire drammaticità pubblica alla lacerazione privata. Invano il comune amico Adolfo Omodeo si adoperò per ricucire lo strappo, divenuto irreversibile nel 1928 quando Croce, nella Storia d’Italia dal 1871 al 1915, condannò come «mal consigliere pratico» il pensiero di Gentile, il quale reagì con una dura recensione sul Giornale critico della filosofia italiana, da lui fondato nel 1920. Da amici a irriducibili antagonisti («un’ostile diade», la definisce Gennaro Sasso, presidente della Fondazione Gentile), rappresentanti di due Italie che si combatterono fino al cruento epilogo degli Anni 40, e anche oltre.
A novant’anni dall’ultima lettera e a settanta dall’uccisione di Gentile per mano dei partigiani, Nino Aragno pubblica per la prima volta il carteggio nella sua interezza. A parte alcune lettere e cartoline di contenuto personale, il materiale non è inedito; ma leggerlo in un unicum dialogico è appassionante. In ogni caso, il valore dell’opera travalica quello editoriale, poiché chiude un secolare scisma: familiare, ideologico, antropologico, nazionale.
I discendenti dei due filosofi erano giunti a un accordo di pubblicazione separata nel 1970: scambiandosi i microfilm, Sansoni editò le lettere di Gentile e Mondadori quelle di Croce. Ma i due distinti epistolari era tanto ricchi quanto monchi, perciò alcuni anni fa Natalino Irti, giurista e presidente dell’Istituto italiano per gli Studi storici fondato da Croce nel 1946, prese l’iniziativa di promuovere un nuovo accordo di pubblicazione congiunta «con funzione pacificante». Al primo colloquio con Alda Croce seguirono quelli con Piero Craveri e Sebastiano Gentile, che si sono fatti carico di «suscitare la concorde volontà delle famiglie», sancita due anni fa nella firma del nuovo accordo. Al ricamo diplomatico è seguito il lavoro delle curatrici Cinzia Cassani e Cecilia Castellani per intrecciare correttamente la corrispondenza: in alcune missive la data mancava, era stata cancellata o coperta dal timbro postale.
Il risultato, spiega Irti, è «un altissimo capitolo di pensiero, di dialogo filosofico, di onestà interiore». L’edizione asciutta - in linea con il profilo dell’editore langarolo, il cui mecenatismo è pari solo all’understatement - consente alle due voci di svettare come querce secolari senza il fastidio del sottobosco pedagogico.
La concezione materialistica della storia e la monografia su Pulcinella. La «fierissima emicrania» di Gentile e la «molestissima febbriciattola» di Croce. Le intimità domestiche, gli abbandoni di amicizia e talvolta, più in Croce che in Gentile, le preoccupazioni personali. Pubblico e privato, senza che la confidenza diventi mai corrività stilistica. Fino al vulnus filosofico sulla nascita dell’attualismo. Scrive Gennaro Sasso: «Soltanto la politica, non sembri paradossale, avrebbe potuto rimediare. Ma, invece che unirli, contribuì a dividerli in modo netto e definitivo».
Croce scrive all'amico Gentile
Domenicale 31 agosto 2014Quando a casa Croce giunse la notizia dell'uccisione di Giovanni Gentile, la moglie del filosofo, Adelina, non riuscì a trattenere le lacrime, ricordandolo – come annotò nel suo diario il 17 aprile 1944 il marito – «bonario uomo ed amico, da noi accolto a festa quando veniva a Napoli nostro ospite». Nello stesso appunto Croce rammentò i termini della loro amicizia e della successiva rottura: «Tale la fine di un uomo che per circa trent'anni ho avuto collaboratore e verso il quale sono stato sempre amico sincero, affettuoso e leale. Ruppi la mia relazione con lui per il suo passaggio al fascismo, aggravato dalla contaminazione che egli fece della filosofia con questo; e perciò nella rivista "La Critica" non lasciai di combattere e ribattere molte delle cose che egli veniva asserendo in oltraggio alla verità». Anche se i rapporti con Gentile erano ormai chiusi da anni, Croce fu colpito dalla sua drammatica morte tanto che, qualche giorno dopo, chiese al genero che collaborava con i servizi americani informazioni sulla dinamica dell'uccisione e commentò amaramente: «Ammazzano anche i filosofi!». Il sodalizio fra i due era cominciato presto, nel 1896 quando il ventunenne Gentile, allora laureando della Scuola Normale Superiore di Pisa, inviò a Croce, trentenne ma già affermato studioso, un saggio sulle commedie del Lasca. La breve lettera con la quale il filosofo ringraziò lo sconosciuto corrispondente il 27 giugno di quell'anno, riconoscendogli una erudizione «sobria e calzante» e sottolineando che quel «primo lavoro» non mostrava «traccia d'inesperienza» apre il primo volume del carteggio fra i due filosofi, relativo agli anni compresi fra il 1896 e il 1900, curato egregiamente da Cinzia Cassani e da Cecilia Castellani con una introduzione generale di Gennaro Sasso.
La pubblicazione dell'intero carteggio, prevista in cinque grossi volumi editi da Aragno, è una iniziativa importante per tutti gli studiosi di filosofia e di storia contemporanea perché mette finalmente a disposizione in una edizione pregevole per accuratezza filologica l'intero corpus delle lettere che Croce e Gentile si scrissero fra il 1896 e il 1924 fino cioè al momento della loro rottura. La corrispondenza, per la verità, era già nota, ma il retaggio dell'antico dissidio aveva fatto sì che essa venisse pubblicata in due epistolari separati e da due editori diversi. Ora, finalmente, l'intero corpus epistolare è stato riportato a unità con il risultato che il lettore e lo studioso sono in grado di seguire le fasi di sviluppo di un dialogo filosofico e politico-culturale che costituisce un capitolo significativo del pensiero italiano. Si è trattato di un lavoro meritorio dal punto di vista editoriale perché i curatori, nell'intrecciare le lettere, hanno potuto sciogliere dubbi relativi, per esempio, alle datazioni di alcune missive o, anche, al loro stesso contenuto che erano, comprensibilmente, sorti in fase di pubblicazione separata dei due epistolari.
Il primo volume dei cinque previsti copre un arco di tempo ristretto: quattro anni appena, dal 1896 al 1900. Sono gli anni nei quali si forma un sodalizio stretto e destinato a durare per ventotto anni (il passaggio, per entrambi i corrispondenti, dal formale «stimatissimo signore» al più confidenziale «carissimo amico» avviene in pochi mesi), ma sono anche gli anni nei quali il rapporto epistolare assume, poco alla volta, il carattere di una discussione teoretica, in particolare sui temi del materialismo storico e sulla filosofia della storia. In seguito, molti anni dopo, nelle sue noterelle autobiografiche contenute nel Contributo alla critica di me stesso, Croce avrebbe ricordato che col giovane Gentile aveva trovato «affinità pratiche» ma anche «affinità di svolgimento mentale e di cultura».
Il 17 gennaio 1897 – erano trascorsi poco più di sei mesi dall'inizio del rapporto fra i due – Gentile inviò una lunghissima lettera, ben dodici facciate, quasi un vero e proprio saggio, nella quale poneva il problema se il materialismo storico di Marx e di Engels fosse davvero una filosofia della storia e potesse costituire, come pensava Antonio Labriola, il fondamento scientifico del socialismo. Egli riteneva che esso non potesse essere una filosofia della storia – e su questo punto la concordanza con Croce era piena – ma negava anche al socialismo quella scientificità sulla quale il giudizio crociano era più sfumato dal momento che il più anziano filosofo riconosceva a questa dottrina politica un maggior rigore rispetto ad altre per il fatto che essa si fondava su un metodo di interpretazione della realtà, quello appunto di Marx ed Engels. Le posizioni dei due corrispondenti si precisano nel loro carteggio: non c'è un vero e proprio dissenso fra i due ma c'è, invece, una discussione profonda e feconda, la cui lettura, oggi, è un vero e proprio godimento per lo spirito. Croce, per esempio, parlando di Labriola scrive di aver voluto «accentuare il consenso; e senza tacere il dissenso, metter questo come in un secondo piano» temendo, nel presentarsi come un «oppositore reciso, di fare il giuoco di quelli che, per dirla alla tedesca, gettano via il bagno col bambino dentro!». Gentile, dal canto suo, ribadiva di non essere persuaso che il materialismo storico servisse a dare «una base scientifica al socialismo critico, come i socialisti credono» e concludeva: «Io non credo che non si possa buttar via il bagno senza il bambino; e secondo me, nel bagno non c'è soltanto l'assolutezza filosofica di questa nuova dottrina, ma anche ogni sua relazione con un socialismo, che non sia più utopistico».
La pubblicazione dell'intero carteggio, prevista in cinque grossi volumi editi da Aragno, è una iniziativa importante per tutti gli studiosi di filosofia e di storia contemporanea perché mette finalmente a disposizione in una edizione pregevole per accuratezza filologica l'intero corpus delle lettere che Croce e Gentile si scrissero fra il 1896 e il 1924 fino cioè al momento della loro rottura. La corrispondenza, per la verità, era già nota, ma il retaggio dell'antico dissidio aveva fatto sì che essa venisse pubblicata in due epistolari separati e da due editori diversi. Ora, finalmente, l'intero corpus epistolare è stato riportato a unità con il risultato che il lettore e lo studioso sono in grado di seguire le fasi di sviluppo di un dialogo filosofico e politico-culturale che costituisce un capitolo significativo del pensiero italiano. Si è trattato di un lavoro meritorio dal punto di vista editoriale perché i curatori, nell'intrecciare le lettere, hanno potuto sciogliere dubbi relativi, per esempio, alle datazioni di alcune missive o, anche, al loro stesso contenuto che erano, comprensibilmente, sorti in fase di pubblicazione separata dei due epistolari.
Il primo volume dei cinque previsti copre un arco di tempo ristretto: quattro anni appena, dal 1896 al 1900. Sono gli anni nei quali si forma un sodalizio stretto e destinato a durare per ventotto anni (il passaggio, per entrambi i corrispondenti, dal formale «stimatissimo signore» al più confidenziale «carissimo amico» avviene in pochi mesi), ma sono anche gli anni nei quali il rapporto epistolare assume, poco alla volta, il carattere di una discussione teoretica, in particolare sui temi del materialismo storico e sulla filosofia della storia. In seguito, molti anni dopo, nelle sue noterelle autobiografiche contenute nel Contributo alla critica di me stesso, Croce avrebbe ricordato che col giovane Gentile aveva trovato «affinità pratiche» ma anche «affinità di svolgimento mentale e di cultura».
Il 17 gennaio 1897 – erano trascorsi poco più di sei mesi dall'inizio del rapporto fra i due – Gentile inviò una lunghissima lettera, ben dodici facciate, quasi un vero e proprio saggio, nella quale poneva il problema se il materialismo storico di Marx e di Engels fosse davvero una filosofia della storia e potesse costituire, come pensava Antonio Labriola, il fondamento scientifico del socialismo. Egli riteneva che esso non potesse essere una filosofia della storia – e su questo punto la concordanza con Croce era piena – ma negava anche al socialismo quella scientificità sulla quale il giudizio crociano era più sfumato dal momento che il più anziano filosofo riconosceva a questa dottrina politica un maggior rigore rispetto ad altre per il fatto che essa si fondava su un metodo di interpretazione della realtà, quello appunto di Marx ed Engels. Le posizioni dei due corrispondenti si precisano nel loro carteggio: non c'è un vero e proprio dissenso fra i due ma c'è, invece, una discussione profonda e feconda, la cui lettura, oggi, è un vero e proprio godimento per lo spirito. Croce, per esempio, parlando di Labriola scrive di aver voluto «accentuare il consenso; e senza tacere il dissenso, metter questo come in un secondo piano» temendo, nel presentarsi come un «oppositore reciso, di fare il giuoco di quelli che, per dirla alla tedesca, gettano via il bagno col bambino dentro!». Gentile, dal canto suo, ribadiva di non essere persuaso che il materialismo storico servisse a dare «una base scientifica al socialismo critico, come i socialisti credono» e concludeva: «Io non credo che non si possa buttar via il bagno senza il bambino; e secondo me, nel bagno non c'è soltanto l'assolutezza filosofica di questa nuova dottrina, ma anche ogni sua relazione con un socialismo, che non sia più utopistico».
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