venerdì 9 gennaio 2015

Lakatos mangiava bambini e partigiani finché fu comunista, poi per fortuna divenne liberale

Januaria Piromallo: Il Sacrificio Di Eva Izsak, Chiarelettere

Risvolto
Quella della giovane ebrea ungherese Éva Izsák, fatta suicidare nell’estate del 1944 a diciannove anni e mezzo, è una storia vera. Una storia atroce, perché a decretare la sua morte è stato chi l’avrebbe dovuta proteggere: Imre Lipstiz, ventiduenne, che qualche anno dopo cambierà nome e diventerà Imre Lakatos, il famoso filosofo erede di Popper. Éva si fidava di lui e degli altri resistenti perché era come loro. Erano tutti giovani, molti di famiglia ebrea, in fuga dai nazisti, comunisti, si chiamavano “compagni” e si preparavano a costruire la nuova Ungheria. Fu il filosofo Imre Toth, nel 2006 a Parigi, a raccontare questa storia a Januaria Piromallo e a donarle il manoscritto Il monumento di parole per Éva perché lei la raccontasse a sua volta. Januaria ha raccolto fonti, cercato negli archivi. Insieme al manoscritto (da cui sono tratti i corsivi di questo libro), sulla sua scrivania si sono impilati testi storici, saggi, articoli e foto dell’epoca. Ma le testimonianze ufficiali, se sono sufficienti a dare una versione dei fatti, non bastano a comprenderli. Ed è per comprendere che Januaria ha trasformato questa storia in un romanzo. Riempiendo i vuoti con l’immaginazione, sforzandosi di intuire i contorni delle cose anche lì dove le ombre erano troppo fitte per poterli scorgere.

Giornata della memoria, Eichmann e Lakatos: boia separati alla nascitadi | il Fatto 27 gennaio 2015

Il filosofo e il dilemma del prigioniero traditore 

Giorello Mercoledì 17 Dicembre, 2014 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA
«L’ aula era strapiena di studenti» scriveva nel gennaio del 1973 Imre Lakatos all’amico Paul Feyerabend, che aveva sfidato la sua teoria della pratica scientifica paragonandosi nientemeno che al Satana di Milton. E aggiungeva: «Lucifero è il nome di colui che porta la falsa luce, mentre io li avvolgo nelle tenebre della verità». Poveri discepoli, nelle mani di «un individuo eccessivo, sensibile, implacabile, autoironico e così umano» come l’esule ungherese, che occupava allora la cattedra di logica alla London School of Economics. Terminando una discussione su necessità e libero arbitrio, in un’altra missiva Imre ammetteva con Paul di essere così stanco da svenire. Era il 29 gennaio 1974; quattro giorni dopo moriva stroncato da un infarto (vedi il volume a due — Imre e Paul — Sull’orlo della scienza, curato da Matteo Motterlini per Raffaello Cortina, 1995). Io lo venni a sapere in una sera nebbiosa di febbraio, ai tempi in cui curavo l’edizione italiana di Dimostrazioni e confutazioni (Feltrinelli, 1979), e passavo serate col mio maestro Ludovico Geymonat a discutere di come Lakatos avesse «innestato la dialettica di Hegel e di Marx sul tronco della filosofia della scienza occidentale» (per usare le parole di Feyerabend). Con Marco Mondadori e Silvano Tagliagambe sentivo Ludovico rievocare gli episodi della lotta partigiana. Una volta, a una ragazza appena arruolata, aveva detto: «Se ti prendono, hai una pallottola da loro. Se tradisci, hai una pallottola da noi». Allora non sapevo quanto queste parole potessero riferirsi allo stesso Lakatos! Giovane combattente antifascista, questi aveva teorizzato che «in caso di cattura ognuno passa idealmente dalla parte del nemico, perché diventa potenziale traditore». Come racconta Januaria Piromallo, Eva Izsák, spinta a uccidersi perché ritenuta troppo debole, è stata vittima consenziente di una sorta di «sacrificio» i cui meccanismi vanno oltre le dure regole di qual -siasi lotta di liberazione: la tela tessuta da Lakatos è stata piuttosto il frutto di una libidine di potere senza freno. Imre avrebbe fatto carriera nell’Ungheria comunista, per cadere poi in disgrazia; nel 1956, con l’ottobre di Budapest, avrebbe cercato scampo a Vienna e quindi in Inghilterra. «C’è chi dice sia stato una spia della polizia segreta, qualcuno lo ricorda come un professore che a ogni corso si innamorava di una studentessa, qualcun altro dice che rovistasse nella carta straccia dei colleghi alla ricerca di informazioni compromettenti» scrive Januaria. Forse era solo «un uomo disperato, intrappolato nella sua stessa intelligenza». Il libro Il sacrificio di Eva Izsák (Chiarelettere) lacera profondamente chi ha amato la sua concezione della dialettica delle verità scientifiche, con cui ha rovesciato l’ottimistico razionalismo di Popper. In Gran Bretagna questi aveva sostituito Marx nella mente instancabile di Imre, solo per essere anche lui «tradito». La storia, ancora una volta, ci mostra di quanto fango possano essere fatte le tenebre della verità.

Quando «suicidarono» Eva La colpa nascosta di Lakatos 

Januaria Piromallo rivela il destino di un’ebrea ungherese. E condanna chi la sacrificò 

Mercoledì 17 Dicembre, 2014 CORRIERE DELLA SERA © RIPRODUZIONE RISERVATA

U n labirinto di specchi perfetto per un romanzo di John le Carré. E anche una vicenda potenzialmente clamorosa e dirompente, messa in sordina da quel mondo accademico britannico dove per tradizione convivono — e talvolta s’intrecciano — radicalismo di sinistra e affiliazioni con servizi segreti, a partire da quelli di Sua Maestà. 

È una storia feroce recuperata da Januaria Piromallo, che l’ha riproposta, romanzata, in un volumetto pubblicato da Chiarelettere: Il sacrificio di Eva Izsák . 
Si tratta di un sacrificio in senso letterale: la ragazza viene convinta a suicidarsi dai compagni di una cellula clandestina comunista, in gran parte composta da ebrei, che combatte l’occupazione hitleriana nell’Ungheria del 1944. Sono tutti giovanissimi. Il capo — colui che impone il cruento epilogo — ha 22 anni, è appena laureato, si chiamava Imre Lipschitz, poi ha cambiato il nome in Imre Molnár, celando l’origine ebraica (madre e nonna moriranno ad Auschwitz). Eva è appena diciannovenne. 
Quel che sappiamo di lei ci arriva da un memoriale (44 pagine in ebraico, pubblicate in forma privata) scritto da Myriam, la sorella maggiore. Eva è appassionata, dà tutta se stessa alla lotta clandestina. Ma il capo la considera l’anello debole della cellula. Quando la situazione diventa critica, decide che non può più far parte del gruppo. Va eliminata. Lei stessa concorda (oggi può sembrarci assurdo, ma basta leggere Buio a mezzogiorno di Arthur Koestler per capire che le scelte assolute e autodistruttive non riguardano solo il fanatismo islamista): «Dico che si è sottomessa alla morte e non che è stata costretta. Eva ha accettato di morire quando le è stato detto che la sua morte avrebbe salvato altre vite» scrive la sorella. Uno dei compagni la scorta in un bosco vicino a Navygarad e le consegna un flacone di cianuro. Il cadavere non verrà mai ritrovato. Eva sarebbe sparita nel nulla se la sorella — l’unica della famiglia che aveva mantenuto qualche contatto — non avesse avviato un’indagine disperata e ostacolata in mille modi. Il recupero del memoriale è avvenuto grazie all’incontro fra la Piromallo e chi lo custodiva: uno studioso ungherese già collega di sua madre, Imre Toth, che era stato testimone diretto di quel periodo durissimo, aveva incrociato Eva e conosciuto colui che aveva preso il nome di Molnár. 
La traduzione narrativa del memoriale (i brani riportati integralmente appaiono in corsivo) riempie i vuoti nella ricostruzione con una forte dose di empatia verso la vittima. Fino all’invettiva verso chi l’ha spinta al gesto estremo. 
Qui, del resto, arriva l’aspetto più sconcertante. Perché Imre Molnár vivrà un’esistenza complessa e multiforme. Nell’immediato dopoguerra cambia nuovamente nome, si ribattezza Imre Lakatos, con un cognome diffuso nel proletariato ungherese, nel 1947 diviene un importante funzionario al ministero dell’Educazione: in nome dell’ortodossia marxista dispone le epurazioni fra gli accademici. 
Nel giro di tre anni, però, le cose cambiano per ragioni a oggi non chiarissime. Forse pesa il caso di Eva. Lakatos cade in disgrazia. Il rigido interprete dell’ideologia subisce il contrappasso: finisce in un campo di lavoro a Racsk, forse è torturato, forse è accusato di trotskismo, qui le biografie restano lacunose. Di sicuro, quando viene liberato nel 1953, è un reietto, costretto a mendicare un tetto dagli amici rimasti. 
Nel 1956, coi moti d’Ungheria, espatria. Prima in Austria, poi in Gran Bretagna. E qui arriva un’ennesima reincarnazione. Lakatos abbandona il marxismo e si avvicina al pensiero di Karl Popper, lo sviluppa e modifica (non mancheranno, qui, successive polemiche). Diviene, comunque, uno dei massimi filosofi della scienza. Onore e vanto della London School of Economics (dove entra nel 1960 e, dal 1969, tiene la cattedra di Logica), fra le prime istituzioni culturali anglosassoni, con numerosi premi Nobel nel carnet. Lì, Lakatos coltiva studi e relazioni fino alla scomparsa, nel 1974. I prestigiosi 15 anni nel Regno Unito, stranamente, non gli valgono la cittadinanza. Come se qualcosa di oscuro nel suo passato sconsigliasse un’assimilazione totale, quasi a lasciarsi l’opzione di rinnegarlo nel caso di uno scandalo retrospettivo. 
Balza agli occhi il curioso silenzio da parte britannica su questa pagina oscura nella vita di Lakatos, peraltro non ignota a molti colleghi accademici. Una specie di velo, confermato dal l’ obituary del «Times», nel 1974, ma anche dalle biografie attuali, come quella contenuta nel sito web MacTutor History of Mathematics .

L’ebrea Eva costretta al suicidio per la gloria del comunismo
Un libro svela il crimine nascosto del filosofo della scienza: per paura d’essere scoperto dai nazisti fece bere cianuro a una ragazza di 19 anni
26 mar 2015 Libero SIMONE PALIAGA
Si avvicina all’albero che aveva scelto. Si accoccola tra le radici e riversa la testa indietro facendo colare in corpo il contenuto della borraccia che impugna. Appena 15 minuti e l’effetto del cianuro si fa sentire. Esanime, rimane lì ai piedi dell’albero, la giovane ragazza ebrea di appena 19 anni. Anzi, di 19 anni e mezzo, rimarca con insistenza la sorella. Si compie così Il sacrificio di Éva Izsák, raccontato magistralmente da Januaria Piromallo ( Chiarelettere, pp. 160, euro 13,60). Un sacrificio, sì, perché non si tratta di un suicidio, di un atto volontario e spontaneo di morte. Quando Éva segue docilmente il suo carnefice lo fa per senso del dovere e del rispetto. Per timore di mettere a repentaglio la vita dei suoi compagni di fuga. Almeno così era stata persuasa a pensare...
Davanti a lei, infatti, non c’è un altero ufficiale nazista come ci si aspetterebbe. No. Dietro quella boccetta di cianuro c’è l’esecutore dell’ordine di una cellula comunista alla macchia. Ma cosa i suoi compagni temevano da lei? Che i suoi tratti somatici potessero attirare l’attenzione su di loro e che poi fosse troppo giovane per resistere a un eventuale interrogatorio e finisse per tradirli. Che fare, allora? Allestire una rapida votazione e sacrificarla. Spingerla a suicidarsi. Anzi, meglio sarebbe parlare di un omicidio dettato dalla meschinità, ma senza neppure il coraggio di compierlo.
Siamo nell’estate del 1944, in Ungheria. Gli effetti della guerra ormai si sentono eccome. Così Miklos Horthy, da politico di lungo corso, cerca un armistizio con i sovietici per evitare inutili carneficine. La scelta risulta però controproducente per i tedeschi, che mirano a trincerarsi in Germania dopo i rovesci di Stalingrado e Kursk. Temono che l’uscita di scena dell’Ungheria liberi l’Armata Rossa da un fronte. Per evitare la sospensione delle ostilità a Budapest i tedeschi sostengono la salita la potere di Ferenc Szalazi, capo delle Guardie frecciate. A pochi mesi dallo sbarco in Normandia, in Ungheria la pressione sui cittadini è dura. L’impressione che nelle campagne si nascondano gruppi magiari sostenuti da Stalin è forte. I controlli per stanarli si intensificano. E la paura fa emergere ogni bassezza. Anche quella di costringere alla morte una giovane ragazza. E solo per paura di venire scoperti.
A versare del veleno nella borraccia davanti agli occhi della giovane c’è un suo compagno di latitanza, Nyuszi, “coniglio”. E mai soprannome fu più adatto, ma non perché corre veloce, come si schermisce lui di fronte alle domande di Éva. Lei quella borraccia la prende senza ritrarsi, per senso del dovere, per ubbidienza. Ma il coniglio, quando gliela porge, non fa che eseguire un ordine. L’ordine del suo capo, Imre Lipsitz. Almeno così allora si chiamava.
La storia di Éva la scopre quasi per caso Januaria Piromallo. A una cena incontra Imre Toth, collega della madre e importante filosofo della scienza di origine magiara. Durante la conversazione invita la giornalista napoletana ad andarlo a trovare a casa sua, a Parigi. Bizzarre le coincidenze. Talvolta a uno sconosciuto si raccontano cose che mai si confesserebbero alle persone più intime. Passa quasi un anno e i due si incontrano in Francia. Allora Toth confida alla giornalista italiana una storia di cui era venuto a conoscenza e che riguarda una sua amica di infanzia di cui fino a una ventina di anni prima non sapeva nulla. Poi all’improvviso, nel 1984, una lettera recapitata da Israele dalla sorella di Éva, Mária. E le ultime ore di Éva trovano finalmente un testimone.
Potrebbe essere un semplice caso di codardia e violenza. In guerra ce ne sono tanti. Peccato solo che il personaggio che organizza la votazione per uccidere Éva, senza il coraggio di decidere da solo, è una figura che qualche anno dopo acquisirà non poca visibilità. Dopo la guerra diventerà uno dei filosofi della scienza più noti, insieme a Karl Popper, Thomas Kuhn e Paul Feyerabend: Imre Lakatos.

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