Di fronte a tanto spaccio di retorica della cultura e del pluralismo bla bla per giustificare una concentrazione capitalistica da parte di chi ne trarrà profitto, duole - ma giova - dire che Marina Berlusconi ha ragione [SGA].
La versione di Marina
Incompatibilità culturale a chi? Elisabetta
Sgarbi, i libri, l’arroganza. Marina Berlusconi scrive al Foglio
sull’operazione Mondadori-Rcs libri e il suo no a Bompianidi Marina Berlusconi il Foglio | 26 Novembre 2015
Rcs, Marina Berlusconi: "Io incompatibile? Arroganti"
La presidente di Mondadori replica alle accuse di Elisabetta Sgarbi: "Essere considerata incompatibile con chi mostra una tale arroganza e un tale disprezzo verso le opinioni e le posizioni altrui non mi dispiace affatto
Umberto Eco & C. :"Siamo pazzi, diciamo addio a Mondazzoli"
Lo scrittore italiano insieme a Sandro Veronesi, Hanif Kureishi, Tahar Ben Jelloun non hanno accettato di pubblicare per il nuovo colosso controllato da Segrate, pur essendo tra i migliori della scuderia Bompiani. E hanno deciso, insieme ad altri autori, di seguire Elisabetta Sgarbi in una nuova avventura, "La nave di Teseo"di FRANCESCO MERLO Repubblica 24 11 2015
Sgarbi-Eco, nuovo editore contro «Mondazzoli»Voci dalla Francia: la direttrice Bompiani e lo scrittore potrebbero fondare un altro marchio in polemica con la fusione Rizzoli-Mondadori e in accordo coi «transfughi» e Grasset&Fasquelle
20 nov 2015 Libero GIANLUCA VENEZIANI
A ogni fusione a freddo corrisponde una scissione a caldo. E forse è destino delle grandi concentrazioni di artisti (che siano scuole letterarie o case editrici) creare automaticamente dei fuoriusciti, una sorta di Salon des Refusés del libro, dove gli scrittori che non si adeguano si autoesiliano, fino a pensare di cambiare proprietà e, in un certo senso, anche patria.
Così la nascita lo scorso ottobre del colosso «Mondazzoli», gigante editoriale figlio delle nozze tra Rcs Libri e Mondadori grazie a un'operazione da 127,5 milioni di euro, fa registrare i primi dinieghi da chi non ci sta a far da testimone passivo del battesimo più importante della storia dell'editoria italiana. Dopo l'addio di Antonio Franchini, storico editor Mondadori (scopritore, tra gli altri, di Paolo Giordano, Roberto Saviano e Alessandro Piperno) passato alla Giunti, e il no di Roberto Calasso, che ha scelto di non cedere all'accordo Mondazzoli, acquisendo la proprietà di Adelphi di cui era presidente, un altro nome eccellente si starebbe per aggiungere ai transfughi dalla casa che oggi fa capo a Segrate. Si tratta di Elisabetta Sgarbi, direttrice editoriale Bompiani che, stando a quanto anticipa Il Giorno riprendendo uno scoop della rivista francese ActuaLitté, sarebbe intenzionata a fondare, insieme a Stefano Eco, (figlio di Umberto e capo ufficio stampa Bompiani), una nuova casa editrice, finanziata da Jean Claude Fasquelle, direttore generale delle edizioni francesi Grasset&Fasquelle.
La Sgarbi, che già prima della fusione avrebbe provato a rilevare la Bompiani senza riuscirci, all'indomani dell'affare Mondazzoli si era mostrata molto critica, dicendosi in un'intervista pubblicata su illibraio.it - «preoccupata come lo ero all' inizio della trattativa» per «un'operazione che non ha precedenti nella realtà editoriale italiana». A dettare le perplessità della Sgarbi, oltre al rischio di un cambio di linea editoriale e alla possibilità di tagli al personale («Arriveremo di là già molto alleggeriti… Comunque, spero di no. Il personale attuale serve», aveva sottolineato), c'era anche la probabile prospettiva di un ridimensionamento della propria autonomia e libertà operativa soggetta ai nuovi vertici del colosso Mondazzoli. Uno scenario forse non proprio allettante per la Sgarbi, impegnatissima oltreché sul fronte editoriale, anche nell'organizzazione di iniziative culturali (è direttrice dal 2000 della rassegna La Milanesiana) e in qualità di regista, nelle cui vesti ha appena consegnato alle sale la sua ultima fatica, il bel film Colpa di comunismo (storia di tre badanti rumene, che cercano di sbarcare il lunario in Italia, già in concorso al Torino Film Festival).
A ciò si aggiungono l'insofferenza di molti autori Bompiani, peraltro amici della Sgarbi, che mal sopportano la nascita del nuovo colosso, al punto da aver sottoscritto, lo scorso
L’altro giorno, al supermercato dove vado, regalavano un pollo arrosto a tutti quelli che facevano una spesa di almeno 20 euro e io, dovevo pranzare con mia figlia, ho pensato che potevamo mangiare un pollo arrosto; ero solo preoccupato, quando sono arrivato alle casse, per via che non sapevo se ero arrivato a 20 euro di spesa, avevo preso anche un po’ di cose che non è che mi servissero proprio, una crema per le mani norvegese che usavo quando facevo il manovale da muratore, trent’anni fa, un freddo, su quelle impalcature, un male alle mani e adesso, trent’anni dopo, mi era venuta nostalgia per quel freddo e per quel male alle mani avevo comprato la crema, anche se eran trent’anni che non frequentavo delle impalcature, non l’avevo presa tanto per le impalcature, l’avevo presa per il pollo arrosto e poi, una volta arrivato alle casse, avevo scoperto che avevo speso 43 euro e 40 centesimi; allora in questi giorni mi sono dato un sacco di crema nelle mani che non è che mi serva tanto, devo dire.Dopo, con queste mani molto curate, sono andato a Novara a presentare un libro che era appena uscito, era la prima presentazione e lì a Novara non è che c’era tantissima gente, era anche in una sala un po’ così, di traverso, io parlavo rivolto a una colonna ed era anche una sala adiacente a un ristorante e dal ristorante veniva il suono di un sassofono che sembrava Fausto Papetti, o un suo imitatore, e io, queste cose, mi passa la voglia, mi ero quasi augurato che non venisse nessuno così saltava la presentazione, invece alla fine 11 o 12 persone si erano ammucchiate, avevo cominciato a leggere, avevo letto quaranta febbraio, un documento comune contro l'imminente operazione editoriale. Nel testo, firmato da Umberto Eco, Antonio Scurati, Sandro minuti; poi avevo detto «Ecco, io avrei finito, avete delle domande?», e un signore che era seduto in prima fila e che nel corso della lettura aveva preso degli appunti mi aveva chiesto «Ma è tutto così?» e io gli avevo risposto «Sì, è tutto così», e con questo è finita la prima presentazione del mio nuovo romanzo e siccome io sono convinto che la lettura ad alta voce serve per capire se le cose che uno scrive son belle o son brutte, e che una cosa bella, letta ad alta voce, sembra ancora più bella, e una cosa brutta, letta ad alta voce, sembra ancora più brutta, io l’altro giorno, dopo la presentazione di Novara, sono andato a letto convinto di avere scritto un libro tutto così, brutto, solo che poi il giorno dopo il libro l’ho presentato in una libreria di Torino e la presentazione è stata bellissima e le stesse cose che avevo letto a Novara, lette a Torino mi eran sembrate completamente diverse e quella sera lì sono andato a letto convinto di avere scritto un libro bellissimo; solo che poi, due giorni dopo, ho presentato il libro a Bologna, e la lettura è cominciata ed è finita molto bene solo che in mezzo, anche nella libreria dove l’ho presentato a Bologna c’è, sopra, un ristorante, e mentre leggevo, dal ristorante preparavano, si vede, la sala per la cena, facevano un casino, con le sedie, e forse è stato per quello che in mezzo la presentazione a Bologna è stata un po’ complicata e, alla fine, è stata una presentazione così così e sono andato a letto convinto di avere scritto un libro così così, ma prima di addormentarmi mi son ricordato di guardarmi le mani e ho pensato «Ma che belle mani, ma di chi sono queste mani, ma sono mie? Ma che meraviglia», ho pensato. Dall’alto in senso orario: lo scrittore best seller Umberto Eco; Elisabetta Sgarbi editor e deus ex machina della Bompiani; il logo «misto» della «Mondazzoli»
Elisabetta Sgarbi lascia Bompiani e salpa con “La nave di Teseo”
Ieri l’annuncio. Con lei il nucleo storico dell’editrice acquistata da Mondadori: Andreose, Eco e un folto drappello di autori
Mario Baudino Stampa 24 11 2015
Bompiani addio. Elisabetta Sgarbi si è dimessa dalla casa editrice che ha diretto per molti anni, fino a identificarla fortemente col proprio nome, e parte per una nuova avventura con i più stretti collaboratori oltre a un bel numero di scrittori che ha contribuito a lanciare. Dopo tante indiscrezioni, ieri l‘annuncio ufficiale: prende il mare (dei libri) «La nave di Teseo», a bordo Mario Andreose, Eugenio Lio, Anna Maria Lorusso, e cioè lo storico nucleo redazionale della Bompiani, ma anche fin da subito alcuni scrittori: Umberto Eco, Sandro Veronesi, Furio Colombo, Edoardo Nesi, Sergio Claudio Perroni, che faranno parte dell’azionariato, insieme a imprenditori come il finanziere milanese Guido Maria Brera e editori di antico lignaggio come Jean-Claude Fasquelle, alla guida fino al 2000 della casa francese abituale traduttrice di Eco; ora, a 84 anni, si lancia nella nuova avventura editoriale insieme con la moglie Nicky.
Bompiani addio. Elisabetta Sgarbi si è dimessa dalla casa editrice che ha diretto per molti anni, fino a identificarla fortemente col proprio nome, e parte per una nuova avventura con i più stretti collaboratori oltre a un bel numero di scrittori che ha contribuito a lanciare. Dopo tante indiscrezioni, ieri l‘annuncio ufficiale: prende il mare (dei libri) «La nave di Teseo», a bordo Mario Andreose, Eugenio Lio, Anna Maria Lorusso, e cioè lo storico nucleo redazionale della Bompiani, ma anche fin da subito alcuni scrittori: Umberto Eco, Sandro Veronesi, Furio Colombo, Edoardo Nesi, Sergio Claudio Perroni, che faranno parte dell’azionariato, insieme a imprenditori come il finanziere milanese Guido Maria Brera e editori di antico lignaggio come Jean-Claude Fasquelle, alla guida fino al 2000 della casa francese abituale traduttrice di Eco; ora, a 84 anni, si lancia nella nuova avventura editoriale insieme con la moglie Nicky.
«Abbiamo scelto di non avere nel capitale altre case editrici, in direzione di un’assoluta indipendenza - ci dice Elisabetta Sgarbi -. E pensiamo di aver creato una realtà di cui al momento, con le grande concentrazione in corso, c’è più che mai bisogno». Non è tuttavia, pare di capire, un gesto di pura reazione all’acquisto di Rcs libri da parte di Mondadori. Non una trincea contro Segrate, e forse neanche una fuga. Si sarebbe anzi discusso a lungo, anche per mesi, la possibilità che insieme con altri editori anche la Mondadori mettesse una piccola quota sulla Nave di Teseo, come altre case editrici. Alla fine è prevalsa la scelta di tenersi le mani libere. «Abbiamo deciso di essere una impresa di soli editori e autori - ancora la Sgarbi -. Autori che investono, e editori che fanno altrettanto».
Tra i primi, ci sono i capofila, Eco in testa, del manifesto in cui la maggioranza degli autori Bompiani, oltre a nomi di Rizzoli come Dacia Maraini ma anche di altri gruppi e sigle, esprimevano la loro preoccupazione per quella che all’inizio dell’anno era ancora solo un’offerta d’acquisto da parte della Mondadori. Non per motivi soltanto «politici», ma soprattutto per il timore che un gruppo con 40% del mercato rappresentasse in sé una minaccia al pluralismo e alla concorrenza, insomma agli interessi dei lettori, della cultura e perché no degli scrittori stessi. Il fatto che questo gruppo appartenesse a Berlusconi non veniva certo ignorato, ma neanche troppo sbandierato, posto che nel perimetro Mondadori ci sono case editrici come l’Einaudi, non certo snaturate.
L’acquisizione deve ancora ottenere il via libera dell’Antitrust, ma si tende a darlo per scontato. Tanto che meno di due mesi fa Roberto Calasso, la cui Adelphi era posseduta a maggioranza dalla Rcs libri, ha fatto valere la clausola che gli permetteva di ricomprarsi la quota di controllo, sottraendosi all’abbraccio di Segrate. Non proprio mortale ma, come poi spiegò con fair play, neppure troppo auspicabile. Ora è il turno, pur in altre forme dato che la Bompiani è un marchio di Rcs e non una controllata, di Elisabetta Sgarbi.
Davvero non esistevano possibilità di convivenza? Il suo è un no alla filosofia editoriale di Mondadori, un vade retro? «Penso che Mondadori investa nei libri, e creda nei libri anche più della precedente proprietà, cioè di Rcs. Però le dimensioni di un gruppo come quello che si sta profilando mi hanno convinta che sia proprio il momento di puntare sull’autonomia e l’indipendenza assoluta. Senza contare il desiderio, da parte mia, di investire in prima persona». La nave di Teseo, mitico re di Atene, è secondo la tradizione quella che la polis greca conservò gelosamente per un tempo indefinito, sostituendone di volta in volta i pezzi rovinati. Alla fine era tutta nuova, ma ancora sé stessa e antica. Può valere come una buona metafora dell’editoria di qualità? O magari diventare un piccola o grande zavorra all’acquisizione di Rcs, fino a mettere in discussione accordi già presi?
Da Segrate filtra qualche voce di rammarico per il fatto che «Elisabetta Sgarbi non abbia accettato la nostra sfida professionale». Siamo a due concezioni del mercato diverse: da una parte l’idea che una frammentazione degli editori sia nella fase attuale dannosa, dall’altra quella che se la nave va, da sola magari è più veloce. Distribuita da Messaggerie, questa mitica nave esordirà coi primi titoli, assicura la Sgarbi, in tempo per il prossimo Salone del Libro, a Torino. Fra gli autori che già hanno dato la loro adesione, Tahar Ben Jelloun, Pietrangelo Buttafuoco, Mauro Covacich, Michael Cunningham, Viola di Grado, Hanif Kureishi, Nuccio Ordine, Carmen Pellegrino, Lidia Ravera, Vittorio Sgarbi, Susanna Tamaro. Sarà ovviamente Elisabetta Sgarbi direttore generale e editoriale.
Elisabetta Sgarbi lascia la Bompiani «Ecco perché lancio La nave di Teseo
Svolta dell’(ex) direttore del marchio acquisito da Mondadori: «Pluralità a rischio». Il nome scelto da Eco Transizione La cessione non è in pericolo, l’interim a Massimo Turchetta24 nov 2015 Corriere della Sera Di Cristina Taglietti © RIPRODUZIONE RISERVATA
Elisabetta Sgarbi se ne va su La nave di Teseo. Si chiama così il nuovo marchio di cui ieri ha annunciato la nascita, contestualmente alle dimissioni da Bompiani, dove ha lavorato per 25 anni e dove era direttore editoriale. Un divorzio atteso, che non mette in alcun modo a rischio la cessione di Rcs Libri a Mondadori. «Lascio la direzione della Bompiani in un momento di particolare ricchezza di voci, nella stagione del Premio Nobel a Svetlana Alexievich», spiega Sgarbi al «Corriere». «Ma non sarei onesta se dicessi che questa mia uscita non dipende dalla cessione dei marchi Rcs alla Mondadori. Non ho nulla contro la Mondadori. Non serbo motivi di attrito con la proprietà e men che memo con il management. Credo però che questa acquisizione non sia un’iniziativa solo commerciale, ma qualcosa di molto più importante. Alcuni editori non hanno una posizione precisa sul fatto di entrare in un grande gruppo. Io sì e sarebbe lo stesso se, come dice Umberto Eco, al posto di Berlusconi ci fosse Nichi Vendola». Foto di gruppo di editori e autori de La nave di Teseo.Sgarbi sottolinea che la sua «non è una battaglia ideologica e neppure politica» contro il gruppo ribattezzato «Mondazzoli» ma la concentrazione di una fetta di mercato, su cui l’Antitrust si dovrà esprimere, secondo Sgarbi non è sana. «Il mondo dei libri è sacro, in esso deve regnare la pluralità, cioè non si devono creare le condizioni per una concentrazione. Non penso che la Mondadori limiti le libertà professionali o autoriali, ma ritengo che una proprietà che concentri il 35 o il 38% del mercato, in un Paese come l’Italia, crei le condizioni perché la pluralità sia a rischio». Sgarbi cita ad esempio il romanzo di uno degli autori Bompiani più prestigiosi, Michel Houellebecq. «Chiunque abbia letto Sottomissione sa quanto passaggi che al momento non sembrano decisivi, possano, in futuro, rivelarsi tali. In sostanza, non mi preoccupa affatto la famiglia Berlusconi ma chi verrà, se verrà, dopo di essa».
Elisabetta Sgarbi se ne va su La nave di Teseo. Si chiama così il nuovo marchio di cui ieri ha annunciato la nascita, contestualmente alle dimissioni da Bompiani, dove ha lavorato per 25 anni e dove era direttore editoriale. Un divorzio atteso, che non mette in alcun modo a rischio la cessione di Rcs Libri a Mondadori. «Lascio la direzione della Bompiani in un momento di particolare ricchezza di voci, nella stagione del Premio Nobel a Svetlana Alexievich», spiega Sgarbi al «Corriere». «Ma non sarei onesta se dicessi che questa mia uscita non dipende dalla cessione dei marchi Rcs alla Mondadori. Non ho nulla contro la Mondadori. Non serbo motivi di attrito con la proprietà e men che memo con il management. Credo però che questa acquisizione non sia un’iniziativa solo commerciale, ma qualcosa di molto più importante. Alcuni editori non hanno una posizione precisa sul fatto di entrare in un grande gruppo. Io sì e sarebbe lo stesso se, come dice Umberto Eco, al posto di Berlusconi ci fosse Nichi Vendola». Foto di gruppo di editori e autori de La nave di Teseo.Sgarbi sottolinea che la sua «non è una battaglia ideologica e neppure politica» contro il gruppo ribattezzato «Mondazzoli» ma la concentrazione di una fetta di mercato, su cui l’Antitrust si dovrà esprimere, secondo Sgarbi non è sana. «Il mondo dei libri è sacro, in esso deve regnare la pluralità, cioè non si devono creare le condizioni per una concentrazione. Non penso che la Mondadori limiti le libertà professionali o autoriali, ma ritengo che una proprietà che concentri il 35 o il 38% del mercato, in un Paese come l’Italia, crei le condizioni perché la pluralità sia a rischio». Sgarbi cita ad esempio il romanzo di uno degli autori Bompiani più prestigiosi, Michel Houellebecq. «Chiunque abbia letto Sottomissione sa quanto passaggi che al momento non sembrano decisivi, possano, in futuro, rivelarsi tali. In sostanza, non mi preoccupa affatto la famiglia Berlusconi ma chi verrà, se verrà, dopo di essa».
Sulla Nave di Teseo ci saranno anche Umberto Eco, Mario Andreose, Eugenio Lio, Anna Maria Lorusso, Edoardo Nesi, Sandro Veronesi, Furio Colombo, Sergio Claudio Perroni. Tra gli autori hanno aderito Tahar Ben Jelloun, Pietrangelo Buttafuoco, Mauro Covacich, Michael Cunningham, Viola di Grado, Hanif Kureishi, Nuccio Ordine, Carmen Pellegrino, Lidia Ravera, Vittorio Sgarbi, Susanna Tamaro. «Pensiamo di iniziare a lavorare da gennaio in modo da proporre i primi titoli a fine aprile ed essere presenti al Salone di Torino. L’obiettivo è di proporre una cinquantina di volumi nel 2016: 25 novità e 25 di catalogo perché alcuni autori, come Eco, hanno contratti che sono scaduti e non sono stati rinnovati. Tra gli investitori ci sono imprenditori e rappresentanti della società civile», come Guido Maria Brera, autore anche del romanzo I diavoli (Rizzoli).
Il nuovo marchio dunque non sarà un’emanazione di Grasset & Fasquelle (che pubblica in Francia i romanzi di Eco), come si vociferava: «Tra gli investitori ci sono Jean Claude e Nicky Fasquelle — spiega Sgarbi — ma a titolo personale. La nave di Teseo sarà un marchio italiano, completamente indipendente, che pubblicherà narrativa, saggistica e poesia, italiane e straniere. La sede sarà in via Jacini a Milano, nei locali messi a disposizione per tre anni dal finanziere Francesco Micheli». Il nome della casa editrice lo si deve a Umberto Eco. «È ispirato a un passo delle Vite parallele di Plutarco. Parlando del vascello di Teseo, dice che gli ateniesi asportavano i vecchi pezzi via via che si deterioravano, sostituendoli con quelli nuovi finché non rimase niente della nave originaria e non si poteva capire se si trattasse sempre dello stesso vascello o fosse un vascello differente. Insomma, la volontà è creare una realtà che possa assomigliare alla Bompiani, con lo stesso spirito, ma che sia anche un’altra cosa». Lasciare Bompiani è stato difficile: «Sono fedele per natura. Se guardo a Bompiani vedo una storia, un catalogo, persone a cui sono molto legata, professionisti, autori, libri che non avrei voluto lasciare». Il catalogo rimane naturalmente a Bompiani mentre il ruolo di direttore editoriale verrà assunto ad interim da Massimo Turchetta, per gestire in continuità la transizione.
Sandro Veronesi dice che non aveva altra scelta: «Ero in una condizione in cui avrei dovuto muovermi, anche da solo. D’altronde 21 anni fa me ne andai da Mondadori per il conflitto di interessi e non potevo rientrare dalla finestra. Quando ho visto che c’erano Elisabetta Sgarbi e un gruppo di autori che la pensavano come me ho capito che c’era una soluzione. E contribuire, anche finanziariamente, a fondare una casa editrice, cosa che ho già fatto con Fandango, è una sfida bellissima, anche considerando l’energia e l’ottimismo di grandi vecchi come Umberto Eco o Furio Colombo». Per Veronesi è anche una questione di identità della casa editrice: « Credo che sia impossibile mantenerla in un gruppo così grosso dove, tra l’altro, c’è già Einaudi con un profilo simile».
Da Segrate nessun commento ufficiale ma si prende atto con dispiacere della decisione di non cogliere la sfida proposta dal gruppo, in un settore dove la frammentazione degli operatori accentua la fragilità del mercato. Sarebbe invece auspicabile, secondo i vertici, un’operazione che consenta di reagire alla crisi tenendo conto di uno scenario competitivo nel quale si sono affacciati player internazionali molto forti. Per quanto riguarda l’identità dei marchi, la posizione è quella più volte ribadita: il gruppo ha tutto l’interesse a tutelarla e a svilupparla.
Oltre la crisi, si può fare. DeriveApprodi rilancia sull’indipendenza Editoria. La difficile arte di essere indipendenti in Italia tra monopoli e crisi: la casa editrice romana rilancia la produzione e scommette sulle alleanze con il lavoro autonomo e quello della conoscenzaRoberto Ciccarelli il Manifesto 26.11.2015, 8:52
Il 2015 si chiude con un mercato editoriale dominato da due concentrazioni oligopolistiche – una editoriale (Mondadori che acquista Rcs libri), l’altra nella distribuzione con la fusione tra Pde e Messaggerie. Un processo che ha provocato di riflesso un ritorno di fiamma del concetto di indipendenza. L’Adelphi di Roberto Calasso l’ha riacquistata e si è sottratta da «Mondazzoli». Come indipendente è stata presentata la nuova casa editrice «La Nave di Teseo», guidata da Elisabetta Sgarbi e supportata da un nutrito numero di autori Bompiani che, con Umberto Eco o Sandro Veronesi, avevano già espresso perplessità rispetto alla fusione. «Non nasciamo contro nulla e nessuno – ha detto Elisabetta Sgarbi — ma con un’idea di editoria che mi corrisponde, e che penso di aver tentato di interpretare».
A conferma della vivacità delle pratiche indipendenti, e a dispetto della crisi e dai limiti imposti dalle concentrazioni, uno degli editori che ha creato una cultura dell’indipendenza nell’editoria ha annunciato un’operazione anti-ciclica. Attiva come rivista dal 1992, e come casa editrice dal 1998, DeriveApprodi rilancerà la sua produzione di titoli per il 2016. I nuovi libri saranno 40, venti nei primi quattro mesi dell’anno. Una nuova collana sulla filosofia delle passioni si aggiunge a un catalogo che intreccia il pensiero post-operaista con la cultura materiale o la letteratura. Gli autori, noti e meno noti al pubblico italiano, intrecciano la riflessione politica radicale con quella estetica, antropologica o economica: ad esempio, il croato Srecko Horvat, il francese Jacques Rancière o l’antropologo Eduardo Viveiros de Castro, gli scritti di Elvio Fachinelli.
I lettori esistono e cambiano. E cambia l’idea di indipendenza rispetto ai suoi usi e alla sua storia recente. «Di solito con indipendenza s’intende una posizione in una rete di rapporti commerciali che non si avvale di puntelli in altri passaggi della filiera come la proprietà di librerie o di distributori a valle e della finanza, delle assicurazioni o dell’immobiliare a monte» sostiene Ilaria Bussoni che dirige la casa editrice con Sergio Bianchi. Indipendenza non è solo un assetto proprietario, né un ritorno all’artigianato dopo l’estinzione del modello fordista che nell’editoria ha coinciso con la cultura liberale e borghese del Novecento. «C’è anche un modo di essere indipendenti interrogandosi sulla propria collocazione nel bacino del lavoro autonomo e in quello della conoscenza che sono molto più estesi rispetto a quello in cui noi siamo immersi – aggiunge Bussoni — Da vent’anni cerchiamo alleanze con chi ha pratiche simili alle nostre in un bacino che con Marx chiamiamo “General Intellect”: oggi lo facciamo interloquendo con il cinema o con il rinnovamento della terza pagina tradizionale rappresentato dalle riviste culturali online e sui social network».
Mantenere questo spazio è un dovere civile, ancor prima che imprenditoriale. «Serve per sfuggire alla riorganizzazione disciplinare e ai sistemi di valutazione accademici in vigore in Italia — conclude Bussoni — È importante perché questo non sia l’unico stile attraverso il quale si scrive di filosofia, politica, letteratura o scienze umane».
A Repubblica arriva Mario Calabresi
Concentrazioni? Timori sbagliati
Oltre la crisi, si può fare. DeriveApprodi rilancia sull’indipendenza Editoria. La difficile arte di essere indipendenti in Italia tra monopoli e crisi: la casa editrice romana rilancia la produzione e scommette sulle alleanze con il lavoro autonomo e quello della conoscenzaRoberto Ciccarelli il Manifesto 26.11.2015, 8:52
Il 2015 si chiude con un mercato editoriale dominato da due concentrazioni oligopolistiche – una editoriale (Mondadori che acquista Rcs libri), l’altra nella distribuzione con la fusione tra Pde e Messaggerie. Un processo che ha provocato di riflesso un ritorno di fiamma del concetto di indipendenza. L’Adelphi di Roberto Calasso l’ha riacquistata e si è sottratta da «Mondazzoli». Come indipendente è stata presentata la nuova casa editrice «La Nave di Teseo», guidata da Elisabetta Sgarbi e supportata da un nutrito numero di autori Bompiani che, con Umberto Eco o Sandro Veronesi, avevano già espresso perplessità rispetto alla fusione. «Non nasciamo contro nulla e nessuno – ha detto Elisabetta Sgarbi — ma con un’idea di editoria che mi corrisponde, e che penso di aver tentato di interpretare».
A conferma della vivacità delle pratiche indipendenti, e a dispetto della crisi e dai limiti imposti dalle concentrazioni, uno degli editori che ha creato una cultura dell’indipendenza nell’editoria ha annunciato un’operazione anti-ciclica. Attiva come rivista dal 1992, e come casa editrice dal 1998, DeriveApprodi rilancerà la sua produzione di titoli per il 2016. I nuovi libri saranno 40, venti nei primi quattro mesi dell’anno. Una nuova collana sulla filosofia delle passioni si aggiunge a un catalogo che intreccia il pensiero post-operaista con la cultura materiale o la letteratura. Gli autori, noti e meno noti al pubblico italiano, intrecciano la riflessione politica radicale con quella estetica, antropologica o economica: ad esempio, il croato Srecko Horvat, il francese Jacques Rancière o l’antropologo Eduardo Viveiros de Castro, gli scritti di Elvio Fachinelli.
I lettori esistono e cambiano. E cambia l’idea di indipendenza rispetto ai suoi usi e alla sua storia recente. «Di solito con indipendenza s’intende una posizione in una rete di rapporti commerciali che non si avvale di puntelli in altri passaggi della filiera come la proprietà di librerie o di distributori a valle e della finanza, delle assicurazioni o dell’immobiliare a monte» sostiene Ilaria Bussoni che dirige la casa editrice con Sergio Bianchi. Indipendenza non è solo un assetto proprietario, né un ritorno all’artigianato dopo l’estinzione del modello fordista che nell’editoria ha coinciso con la cultura liberale e borghese del Novecento. «C’è anche un modo di essere indipendenti interrogandosi sulla propria collocazione nel bacino del lavoro autonomo e in quello della conoscenza che sono molto più estesi rispetto a quello in cui noi siamo immersi – aggiunge Bussoni — Da vent’anni cerchiamo alleanze con chi ha pratiche simili alle nostre in un bacino che con Marx chiamiamo “General Intellect”: oggi lo facciamo interloquendo con il cinema o con il rinnovamento della terza pagina tradizionale rappresentato dalle riviste culturali online e sui social network».
Mantenere questo spazio è un dovere civile, ancor prima che imprenditoriale. «Serve per sfuggire alla riorganizzazione disciplinare e ai sistemi di valutazione accademici in vigore in Italia — conclude Bussoni — È importante perché questo non sia l’unico stile attraverso il quale si scrive di filosofia, politica, letteratura o scienze umane».
A Repubblica arriva Mario Calabresi
Tutti d’accordo La designazione da parte del cda del Gruppo l’Espresso decisa all’unanimitàdi Andrea Biondi Il Sole 26.11.15
«A Natale dopo 6 anni e mezzo lascerò @la_stampa e un pezzo di cuore: è stata un’avventura bellissima. A gennaio ricomincio a @repubblicait». Mario Calabresi ha voluto annunciarlo con un tweet il suo addio a la Stampa. Rimarrà alla guida del quotidiano torinese fino al prossimo 17 dicembre, mentre dal 15 gennaio diventerà il nuovo direttore di Repubblica. Il Gruppo l’Espresso ha confermato ieri con un comunicato la designazione «all’unanimità», da parte del Cda, di Mario Calabresi alla guida di Repubblica. Sarà quindi lui, «figura di primo piano del nostro giornalismo, cresciuto all’interno di Repubblica, ove ha ricoperto i ruoli di caporedattore centrale e di corrispondente da New York», a ricevere il testimone da un Ezio Mauro che solo per poco non ha eguagliato il record di Eugenio Scalfari.
Si parla però pur sempre di quasi vent’anni, che si chiuderanno a metà gennaio. Ma Ezio Mauro, almeno stando a quel che avrebbe raccontato ieri durante la riunione del mattino dando la notizia ai responsabili di settore, avrebbe confessato che il pensiero aveva iniziato ad accarezzarlo ai tempi del rapimento in Afghanistan di Daniele Mastrogiacomo, nel 2007. Ora proseguirà il suo «prezioso lavoro giornalistico», recita a proposito di Mauro la stessa nota del Gruppo L’Espresso.
Da metà gennaio però si apre un altro capitolo in cui rientra un pezzo di quella storia. Perché Mario Calabresi, classe 1970, dopo una parentesi come cronista parlamentare all’Ansa, già nel 1999 aveva fatto parte della redazione politica del quotidiano del Gruppo L’Espresso. Dal 2000 al 2002 l’approdo alla Stampa dove, da inviato, racconta gli attentati a New York. Poi un primo ritorno a Repubblica, come caporedattore centrale prima e inviato dagli Usa poi.
Carriera veloce quella di Calabresi, che nel 2009 va a sostituire Giulio Anselmi alla direzione della Stampa ma che nel tempo si impone anche come scrittore. Come con “Spingendo la notte più in là” (2007) in cui ha raccontato la tragica morte del padre, il commissario Luigi Calabresi, con la storia della sua famiglia e di altre famiglie vittime del terrorismo.
Oggi Mario Calabresi lascia un giornale a 205.769 copie cartacee più digitali diffuse di media ogni giorno (dato Ads a settembre) che insieme con il Secolo XIX è andato a creare un’unica realtà editoriale in Itedi (controllata da Fca). E in questa fase il lavoro di Calabresi è stato un lavoro importante giudicato da più parti positivamente.
Allo stesso tempo La Stampa ha voluto scommettere sull’alleanza con i giganti del web sul fronte editoriale, come dimostra l’adesione alla “Dni” (Digital news initiative) con Google e vari editori europei e anche l’adesione al progetto “Amp” (piattaforma open source per rendere più veloce la lettura di siti e articoli su smartphone). Attenzione al digitale che ha portato nelle file della Stampa anche Massimo Russo, attuale vicedirettore ed ex direttore di Wired.
«A Natale dopo 6 anni e mezzo lascerò @la_stampa e un pezzo di cuore: è stata un’avventura bellissima. A gennaio ricomincio a @repubblicait». Mario Calabresi ha voluto annunciarlo con un tweet il suo addio a la Stampa. Rimarrà alla guida del quotidiano torinese fino al prossimo 17 dicembre, mentre dal 15 gennaio diventerà il nuovo direttore di Repubblica. Il Gruppo l’Espresso ha confermato ieri con un comunicato la designazione «all’unanimità», da parte del Cda, di Mario Calabresi alla guida di Repubblica. Sarà quindi lui, «figura di primo piano del nostro giornalismo, cresciuto all’interno di Repubblica, ove ha ricoperto i ruoli di caporedattore centrale e di corrispondente da New York», a ricevere il testimone da un Ezio Mauro che solo per poco non ha eguagliato il record di Eugenio Scalfari.
Si parla però pur sempre di quasi vent’anni, che si chiuderanno a metà gennaio. Ma Ezio Mauro, almeno stando a quel che avrebbe raccontato ieri durante la riunione del mattino dando la notizia ai responsabili di settore, avrebbe confessato che il pensiero aveva iniziato ad accarezzarlo ai tempi del rapimento in Afghanistan di Daniele Mastrogiacomo, nel 2007. Ora proseguirà il suo «prezioso lavoro giornalistico», recita a proposito di Mauro la stessa nota del Gruppo L’Espresso.
Da metà gennaio però si apre un altro capitolo in cui rientra un pezzo di quella storia. Perché Mario Calabresi, classe 1970, dopo una parentesi come cronista parlamentare all’Ansa, già nel 1999 aveva fatto parte della redazione politica del quotidiano del Gruppo L’Espresso. Dal 2000 al 2002 l’approdo alla Stampa dove, da inviato, racconta gli attentati a New York. Poi un primo ritorno a Repubblica, come caporedattore centrale prima e inviato dagli Usa poi.
Carriera veloce quella di Calabresi, che nel 2009 va a sostituire Giulio Anselmi alla direzione della Stampa ma che nel tempo si impone anche come scrittore. Come con “Spingendo la notte più in là” (2007) in cui ha raccontato la tragica morte del padre, il commissario Luigi Calabresi, con la storia della sua famiglia e di altre famiglie vittime del terrorismo.
Oggi Mario Calabresi lascia un giornale a 205.769 copie cartacee più digitali diffuse di media ogni giorno (dato Ads a settembre) che insieme con il Secolo XIX è andato a creare un’unica realtà editoriale in Itedi (controllata da Fca). E in questa fase il lavoro di Calabresi è stato un lavoro importante giudicato da più parti positivamente.
Allo stesso tempo La Stampa ha voluto scommettere sull’alleanza con i giganti del web sul fronte editoriale, come dimostra l’adesione alla “Dni” (Digital news initiative) con Google e vari editori europei e anche l’adesione al progetto “Amp” (piattaforma open source per rendere più veloce la lettura di siti e articoli su smartphone). Attenzione al digitale che ha portato nelle file della Stampa anche Massimo Russo, attuale vicedirettore ed ex direttore di Wired.
Ezio Mauro, il grande «traghettatore»di Raffaele Liucci Il Sole 26.11.15
Ha portato il post-comunismo dal Sol dell’Avvenire all’economia di mercato
Non era un compito facile, per Ezio Mauro, raccogliere quasi vent’anni fa l’eredità di Eugenio Scalfari. Scalfari è stato un grande fondatore, direttore e comproprietario di giornali: il settimanale «L’Espresso», lanciato nel ’55 insieme ad Arrigo Benedetti, cui subentrerà alla direzione nel ’63; e «la Repubblica», nata nel ’76 e diventata, nel giro di pochi anni, uno dei due più diffusi quotidiani italiani, in un serrato testa a testa con il «Corriere».
Ezio Mauro, invece, quando il 14 gennaio 1996 succedette a Scalfari aveva un passato di giornalista puro. Dapprima cronista e inviato speciale nei quotidiani torinesi «La Gazzetta del Popolo» e «La Stampa». Poi, alla fine degli anni Ottanta, una breve parentesi alla «Repubblica», in cui racconterà da Mosca la perestrojka di Gorbaciov. Infine, il ritorno alla «Stampa» nel 1990, come condirettore e poi, dal settembre 1992, direttore. Lo attenderà il biennio di Tangentopoli (1992-’94), forse il periodo più fortunato attraversato dalla carta stampata italiana, finalmente affrancata dalla «tutela» dei potentati politici ed economici che avevano dominato la prima Repubblica, e condizionato l’informazione.
Se Scalfari è un personaggio formatosi nel crogiolo del «Mondo» di Mario Pannunzio, e lo ha fatto sentire nella sua lunga direzione, Mauro ha portato in dote a «Repubblica» una solida cultura torinese e “azionista”. Un bagaglio che gli tornerà utile negli anni del berlusconismo trionfante, quando il suo quotidiano difenderà la Costituzione e l’eredità antifascista ispirandosi alla lezione di due grandi maestri sabaudi come Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone.
Inflessibile nel respingere il revisionismo anti-antifascista, la «Repubblica» di Mauro ha dovuto traghettare il variopinto arcipelago del post-comunismo italiano dalla poesia alla prosa, ossia dal sole dell’avvenire all’economia di mercato quale unico orizzonte possibile (in sintonia con l’editore Carlo De Benedetti). Per molti anni le sue pagine hanno fatto da cassa di risonanza allo psicodramma della sinistra italiana, uscita malconcia dal crollo del muro di Berlino (autunno ’89).
È innegabile che i periodi giornalisticamente più felici di «Repubblica», probabilmente anche dal punto di vista della tiratura, siano stati quando a Palazzo Chigi c’era l’esecrato Cavaliere. Mauro poteva contare su un buon parterre di ‘inchiestisti’, a partire da Giuseppe D’Avanzo, capaci di fare le pulci ai governi in carica. Quando invece l’esecutivo era guidato dalle traballanti coalizioni di centro-sinistra, diventava senz’altro più difficile confezionare un foglio accattivante per i suoi fedeli lettori. Storicamente, lo zoccolo duro della sinistra italiana ha sempre preferito stare all’opposizione piuttosto che bere l’amaro calice del potere.
Con Mauro, le pagine culturali di «Repubblica» sono invece parse meno legate all’attualità politica, dando frequente spazio a molti autori adelphiani, quasi sempre estranei alla tra.dizione laica e illuminista incarnata dal quotidiano romano.
Probabilmente, gli storici del giornalismo ricorderanno Ezio Mauro come uno dei più longevi direttori, insieme a Luigi Albertini, Giulio De Benedetti e, ovviamente, Eugenio Scalfari. Lascerà il 14 gennaio in coincidenza con il suo ventennale. Come commentatore, Mauro è stato piuttosto parco durante il suo “ventennio”. Interveniva soltanto nei momenti acuti, con prese di posizione incisive e capaci di lasciare un segno, mentre Scalfari continuava (e continua) a firmare la sua tradizionale riflessione domenicale.
La rotta della nave di TeseoIl neo editore: non sarà una Bompiani due, non sarà di sinistra né di destra, sarà aperta a tutti i generi letterari. Non sarà radical chic. Ma saprà essere radicalElisabetta Sgarbi Domenicale 29 11 2015
Una casa editrice non si fonda contro qualcuno. Se non altro perché le energie da investire sono tali, che ogni dispersione è bandita.
La nave di Teseo non sarà la Bompiani, perché una Bompiani c’è già.
La nave di Teseo non sarà una Bompiani 2. Perché non sarà seconda e perché sarà unica.
La nave di Teseo non è una cooperativa di autori. La loro presenza nella costruzione del capitale è solo (ed è moltissimo) il segno tangibile che le case editrici vivono degli e per gli autori.
La nave di Teseo non è una casa editrice di sinistra o di destra. È una casa editrice.
La nave di Teseo non è la casa editrice di Umberto Eco e “della Sgarbi”. Essa è amministrata da un consiglio di amministrazione in cui siedono, tra gli altri, illustri rappresentanti dell’imprenditoria e della società civile, rappresentanti degli autori e degli editori. Che guarderanno alla bontà delle proposte e alla salute economica della casa editrice.
La nave di Teseo non è guidata da un consiglio di amministrazione. È guidata da un Publisher.
La nave di Teseo non è primariamente una azienda. O meglio, lo è, ma continuerà a chiamarsi e a pensarsi come casa editrice. E a definirsi tale.
La nave di Teseo non avrà preclusioni di generi letterari, né di forme letterarie.
La nave di Teseo non è una casa editrice radical chic. Saprà essere radical, però.
La nave di Teseo non si occuperà solo di libri. Parteciperà, idealmente, a «La Milanesiana Letteratura Musica Cinema Scienza Arte Filosofia Teatro».
La nave di Teseo non è una follia. La follia è di pochi, i soggetti coinvolti in questa impresa sono molti e tutti, sinora, hanno dato segno di grande lucidità. Alcuni di essi, come Messaggerie e Feltrinelli, che offrono i servizi di distribuzione e promozione, includono centinaia di persone, tutte in pieno possesso delle loro facoltà mentali.
La nave di Teseo, benché ancora tale mi sembri, non è un sogno: è una realtà concreta, che ini zierà le sue pubblicazioni nel mese di aprile 2016. E ho un po’ di nostalgia, già, della Bompiani. Ma in fondo la nostalgia c’era già prima. Quindi la addebito al mio carattere.
Non era un compito facile, per Ezio Mauro, raccogliere quasi vent’anni fa l’eredità di Eugenio Scalfari. Scalfari è stato un grande fondatore, direttore e comproprietario di giornali: il settimanale «L’Espresso», lanciato nel ’55 insieme ad Arrigo Benedetti, cui subentrerà alla direzione nel ’63; e «la Repubblica», nata nel ’76 e diventata, nel giro di pochi anni, uno dei due più diffusi quotidiani italiani, in un serrato testa a testa con il «Corriere».
Ezio Mauro, invece, quando il 14 gennaio 1996 succedette a Scalfari aveva un passato di giornalista puro. Dapprima cronista e inviato speciale nei quotidiani torinesi «La Gazzetta del Popolo» e «La Stampa». Poi, alla fine degli anni Ottanta, una breve parentesi alla «Repubblica», in cui racconterà da Mosca la perestrojka di Gorbaciov. Infine, il ritorno alla «Stampa» nel 1990, come condirettore e poi, dal settembre 1992, direttore. Lo attenderà il biennio di Tangentopoli (1992-’94), forse il periodo più fortunato attraversato dalla carta stampata italiana, finalmente affrancata dalla «tutela» dei potentati politici ed economici che avevano dominato la prima Repubblica, e condizionato l’informazione.
Se Scalfari è un personaggio formatosi nel crogiolo del «Mondo» di Mario Pannunzio, e lo ha fatto sentire nella sua lunga direzione, Mauro ha portato in dote a «Repubblica» una solida cultura torinese e “azionista”. Un bagaglio che gli tornerà utile negli anni del berlusconismo trionfante, quando il suo quotidiano difenderà la Costituzione e l’eredità antifascista ispirandosi alla lezione di due grandi maestri sabaudi come Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone.
Inflessibile nel respingere il revisionismo anti-antifascista, la «Repubblica» di Mauro ha dovuto traghettare il variopinto arcipelago del post-comunismo italiano dalla poesia alla prosa, ossia dal sole dell’avvenire all’economia di mercato quale unico orizzonte possibile (in sintonia con l’editore Carlo De Benedetti). Per molti anni le sue pagine hanno fatto da cassa di risonanza allo psicodramma della sinistra italiana, uscita malconcia dal crollo del muro di Berlino (autunno ’89).
È innegabile che i periodi giornalisticamente più felici di «Repubblica», probabilmente anche dal punto di vista della tiratura, siano stati quando a Palazzo Chigi c’era l’esecrato Cavaliere. Mauro poteva contare su un buon parterre di ‘inchiestisti’, a partire da Giuseppe D’Avanzo, capaci di fare le pulci ai governi in carica. Quando invece l’esecutivo era guidato dalle traballanti coalizioni di centro-sinistra, diventava senz’altro più difficile confezionare un foglio accattivante per i suoi fedeli lettori. Storicamente, lo zoccolo duro della sinistra italiana ha sempre preferito stare all’opposizione piuttosto che bere l’amaro calice del potere.
Con Mauro, le pagine culturali di «Repubblica» sono invece parse meno legate all’attualità politica, dando frequente spazio a molti autori adelphiani, quasi sempre estranei alla tra.dizione laica e illuminista incarnata dal quotidiano romano.
Probabilmente, gli storici del giornalismo ricorderanno Ezio Mauro come uno dei più longevi direttori, insieme a Luigi Albertini, Giulio De Benedetti e, ovviamente, Eugenio Scalfari. Lascerà il 14 gennaio in coincidenza con il suo ventennale. Come commentatore, Mauro è stato piuttosto parco durante il suo “ventennio”. Interveniva soltanto nei momenti acuti, con prese di posizione incisive e capaci di lasciare un segno, mentre Scalfari continuava (e continua) a firmare la sua tradizionale riflessione domenicale.
Una casa editrice non si fonda contro qualcuno. Se non altro perché le energie da investire sono tali, che ogni dispersione è bandita.
La nave di Teseo non sarà la Bompiani, perché una Bompiani c’è già.
La nave di Teseo non sarà una Bompiani 2. Perché non sarà seconda e perché sarà unica.
La nave di Teseo non è una cooperativa di autori. La loro presenza nella costruzione del capitale è solo (ed è moltissimo) il segno tangibile che le case editrici vivono degli e per gli autori.
La nave di Teseo non è una casa editrice di sinistra o di destra. È una casa editrice.
La nave di Teseo non è la casa editrice di Umberto Eco e “della Sgarbi”. Essa è amministrata da un consiglio di amministrazione in cui siedono, tra gli altri, illustri rappresentanti dell’imprenditoria e della società civile, rappresentanti degli autori e degli editori. Che guarderanno alla bontà delle proposte e alla salute economica della casa editrice.
La nave di Teseo non è guidata da un consiglio di amministrazione. È guidata da un Publisher.
La nave di Teseo non è primariamente una azienda. O meglio, lo è, ma continuerà a chiamarsi e a pensarsi come casa editrice. E a definirsi tale.
La nave di Teseo non avrà preclusioni di generi letterari, né di forme letterarie.
La nave di Teseo non è una casa editrice radical chic. Saprà essere radical, però.
La nave di Teseo non si occuperà solo di libri. Parteciperà, idealmente, a «La Milanesiana Letteratura Musica Cinema Scienza Arte Filosofia Teatro».
La nave di Teseo non è una follia. La follia è di pochi, i soggetti coinvolti in questa impresa sono molti e tutti, sinora, hanno dato segno di grande lucidità. Alcuni di essi, come Messaggerie e Feltrinelli, che offrono i servizi di distribuzione e promozione, includono centinaia di persone, tutte in pieno possesso delle loro facoltà mentali.
La nave di Teseo, benché ancora tale mi sembri, non è un sogno: è una realtà concreta, che ini zierà le sue pubblicazioni nel mese di aprile 2016. E ho un po’ di nostalgia, già, della Bompiani. Ma in fondo la nostalgia c’era già prima. Quindi la addebito al mio carattere.
Concentrazioni? Timori sbagliati
Severino Salvemini Domenicale 29 11 2015
Non fui sorpreso questa primavera dall’appello degli scrittori contrari all’accordo di fusione tra Rcs Libri e Mondadori. Da sempre il mondo della cultura diffida delle grandi dimensioni e delle logiche industriali: “il prototipo è meglio della serie”; “le economie di scala appiattiscono la qualità dell’offerta artistica, massificandola”; “vi è più orgoglio per il formato artigianale che per quello standardizzato”; “l’azienda imprenditoriale è più affidabile di quella condotta da una tecnostruttura manageriale”, e così via.
Nel campo editoriale poi permangono i miti dei grandi padroni degli anni Sessanta, come gli Einaudi, i Garzanti, i Bompiani, i Fabbri, i Rusconi e c’è molta nostalgia per questi galantuomini, riusciti allora a conciliare profitti con vocazione intellettuale. Se poi ci aggiungiamo le sinergie conseguenti alle concentrazioni (brutta parola le sinergie, quasi equivalente al marketing nella sua valenza dispregiativa!) che richiamano tagli di teste, cure dimagranti e razionalizzazione dei portafogli prodotti, l’atteggiamento non può che essere tiepido o contrario da parte dell’intellighenzia nostrana.
Il fatto che la fusione di “Mondazzoli” (ma quando verrà fuori il nuovo nome?) sia stato preparato da due attori non ingenui e impreparati, attenti a impostare una fase di non posticipabile stop loss, sembra che sia ininfluente per capire le ragioni di quanto è avvenuto. In un mercato piccolo - quale è quello editoriale in Italia per un problema linguistico - atomizzato e in declino, la frammentazione è comunque un pericolo per tutto il settore. Vale l’esempio di quanto è successo in questo comparto quando emerse la grande forza di Amazon all’inizio di questo secolo: le imprese reagirono mettendo in piedi diverse società per l’online e per l’e-commerce, con il risultato di non fare massa critica e di essere ininfluenti nella lotta contro il gigante americano. Risultato, oggi Amazon comanda la distribuzione libraria.
La concentrazione favorisce miglioramenti produttivi, distributivi, tecnologici e di acquisto dei diritti (male che vada il problema si porrà per gli autori esteri che verranno comprati a prezzi più bassi, mentre gli autori italiani potranno essere ceduti a prezzi più alti sul mercato internazionale). Perché è proprio sul mercato globale che l’attore concentrato è più forte. E ciò potrebbe addirittura consentire all’Italia e agli scrittori di casa di alzare di più la voce oltre confini. Conclusione: il timore è sbagliato. La preoccupazione di eccessiva dominanza è una reazione comprensibile, ma poco competente. Parlare di monopolio e crisi della libera concorrenza vuol dire non conoscere cosa sta succedendo nei settori in crisi (è normale che le aziende in difficoltà si aggreghino ad altre aziende per tentare un turnaround).
Inoltre ciò che è successo da allora ad adesso ha prodotto una sana reazione da parte di collettivi imprenditoriali di carattere che hanno deciso di intraprendere strade autonome, come nel caso di Adelphi e oggi di La Nave di Teseo. Ottima notizia. Intellettuali “animal spirits” che con nuova passione e azzardo innovativo si ritagliano nuovi spazi di mercato per la sopravvivenza di nuovi marchi. Viva Shumpeter e il suo disordine creativo! Se i libri e gli autori saranno buoni, i prodotti emergeranno. Piccoli o grandi che siano gli editori.
«Non chiamateci Mondazzoli E crescere fa bene ai libri» Ernesto Mauri: autori via da Bompiani? Peccato. I nostri scrittori sono liberi3 dic 2015 Corriere della Sera Paolo Conti © RIPRODUZIONE RISERVATA
«Non è una fusione ma un’acquisizione: i marchi di Rcs Libri resteranno autonomi» «La nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi? Dico che la nostra mossa ha stimolato l’ambiente».
Non fui sorpreso questa primavera dall’appello degli scrittori contrari all’accordo di fusione tra Rcs Libri e Mondadori. Da sempre il mondo della cultura diffida delle grandi dimensioni e delle logiche industriali: “il prototipo è meglio della serie”; “le economie di scala appiattiscono la qualità dell’offerta artistica, massificandola”; “vi è più orgoglio per il formato artigianale che per quello standardizzato”; “l’azienda imprenditoriale è più affidabile di quella condotta da una tecnostruttura manageriale”, e così via.
Nel campo editoriale poi permangono i miti dei grandi padroni degli anni Sessanta, come gli Einaudi, i Garzanti, i Bompiani, i Fabbri, i Rusconi e c’è molta nostalgia per questi galantuomini, riusciti allora a conciliare profitti con vocazione intellettuale. Se poi ci aggiungiamo le sinergie conseguenti alle concentrazioni (brutta parola le sinergie, quasi equivalente al marketing nella sua valenza dispregiativa!) che richiamano tagli di teste, cure dimagranti e razionalizzazione dei portafogli prodotti, l’atteggiamento non può che essere tiepido o contrario da parte dell’intellighenzia nostrana.
Il fatto che la fusione di “Mondazzoli” (ma quando verrà fuori il nuovo nome?) sia stato preparato da due attori non ingenui e impreparati, attenti a impostare una fase di non posticipabile stop loss, sembra che sia ininfluente per capire le ragioni di quanto è avvenuto. In un mercato piccolo - quale è quello editoriale in Italia per un problema linguistico - atomizzato e in declino, la frammentazione è comunque un pericolo per tutto il settore. Vale l’esempio di quanto è successo in questo comparto quando emerse la grande forza di Amazon all’inizio di questo secolo: le imprese reagirono mettendo in piedi diverse società per l’online e per l’e-commerce, con il risultato di non fare massa critica e di essere ininfluenti nella lotta contro il gigante americano. Risultato, oggi Amazon comanda la distribuzione libraria.
La concentrazione favorisce miglioramenti produttivi, distributivi, tecnologici e di acquisto dei diritti (male che vada il problema si porrà per gli autori esteri che verranno comprati a prezzi più bassi, mentre gli autori italiani potranno essere ceduti a prezzi più alti sul mercato internazionale). Perché è proprio sul mercato globale che l’attore concentrato è più forte. E ciò potrebbe addirittura consentire all’Italia e agli scrittori di casa di alzare di più la voce oltre confini. Conclusione: il timore è sbagliato. La preoccupazione di eccessiva dominanza è una reazione comprensibile, ma poco competente. Parlare di monopolio e crisi della libera concorrenza vuol dire non conoscere cosa sta succedendo nei settori in crisi (è normale che le aziende in difficoltà si aggreghino ad altre aziende per tentare un turnaround).
Inoltre ciò che è successo da allora ad adesso ha prodotto una sana reazione da parte di collettivi imprenditoriali di carattere che hanno deciso di intraprendere strade autonome, come nel caso di Adelphi e oggi di La Nave di Teseo. Ottima notizia. Intellettuali “animal spirits” che con nuova passione e azzardo innovativo si ritagliano nuovi spazi di mercato per la sopravvivenza di nuovi marchi. Viva Shumpeter e il suo disordine creativo! Se i libri e gli autori saranno buoni, i prodotti emergeranno. Piccoli o grandi che siano gli editori.
«Non è una fusione ma un’acquisizione: i marchi di Rcs Libri resteranno autonomi» «La nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi? Dico che la nostra mossa ha stimolato l’ambiente».
Ernesto Mauri, amministratore delegato del Gruppo Mondadori e presidente di Mondadori libri: cosa vi ha portato all’acquisto di Rcs Libri?
«La ragione è semplice. La rivoluzione digitale ha stravolto il mercato dei periodici. Nel 2008 oltre il 55% dei ricavi di Mondadori proveniva proprio dai periodici che contribuivano per il 70% alla redditività totale, una quota dovuta soprattutto alla Francia. In Italia nel 2013 i magazine Mondadori hanno perso oltre 20 milioni di euro. Dovevamo spostare il core business. Abbiamo studiato
il mercato: Rcs Libri era in vendita. Conosciamo profondamente l’editoria libraria, ha un modello di business consolidato anche nella sua evoluzione, in cui l’impatto del digitale è chiaro e meno incerto rispetto ai periodici».
Vi accusano di voler monopolizzare il mercato.
«Cinque anni fa avevamo il 31%, con i libri di Rcs avremo il 35% del trade, il non scolastico. Non abbiamo compiuto aggressioni fino a oggi, non vedo perché dovremmo cominciare ora. Il problema è il mercato italiano: in decrescita, frammentato, di piccole dimensioni, 1,2 miliardi per il trade. È essenziale poter contare su una massa critica per essere competitivi, economicamente sani e assicurare un traino al settore. Mondadori nel 2014 ha ricavato dal trade oltre 200 milioni, Rizzoli 110: e a loro non sono bastati per una gestione efficiente. Insieme arriveremo a un giro di affari intorni ai 330 milioni. Egemonia? Hachette in Francia nel 2014 ha fatturato il doppio di noi in un mercato da oltre 3 miliardi. In Germania Random House ha registrato ricavi per 630 milioni in un mercato da 3,8 miliardi».
Molti sono preoccupati per l’identità dei marchi, per l’autonomia editoriale dei direttori e degli autori.
«Se un marchio perde specificità, quindi libertà, perde anche valore. Abbiamo tutto l’interesse a tutelare l’identità dei brand. Nel 1994 abbiamo acquisito Einaudi in una situazione economicamente disastrosa. Oggi è il fiore all’occhiello del gruppo: è rimasta se stessa e produce utili. E così Piemme e Sperling & Kupfer. Lo stesso criterio adotteremo, adesso, per i marchi di Rcs Libri».
C’è una responsabilità etica di un editore: produrre utili, ma anche assicurare spazio alla libertà intellettuale.
«Chiunque faccia impresa ha una responsabilità etica, soprattutto se fa libri. In Italia si tende a separare nettamente tra cultura e impresa. Io dico che un’impresa sana può garantire autonomia e libertà proprio perché produce profitti. Nelle situazioni economicamente malsane avviene il contrario».
Come si chiamerà la nuova casa editrice? Mondazzoli?
«Una volta per tutte: non c’è stata una fusione, ma un’acquisizione! I marchi restano quelli che sono. Autonomi, con la loro peculiarità. E il loro nome».
Elisabetta Sgarbi ha lasciato Bompiani e fondato una nuova casa editrice, La Nave di Teseo, portando con sé autori come Umberto Eco, Furio Colombo, Sandro Veronesi, Vittorio Sgarbi, Susanna Tamaro. Si è parlato di una «assoluta incompatibilità» tra Elisabetta Sgarbi e Marina Berlusconi, presidente del gruppo Mondadori. Non è la prova che la libertà editoriale dei marchi è in pericolo?
«Elisabetta Sgarbi ha avuto le più ampie assicurazioni di piena e totale libertà per le future scelte, e grandi manifestazioni di stima, da Marina Berlusconi e da me, cioè dai vertici del gruppo. Ma cosa radicalmente diversa era la sua richiesta di acquistare Bompiani. Sarebbe stato assurdo rivenderla subito dopo l’acquisto. È stato legittimo rispondere di no».
Non crede che in questa vicenda pesi il cognome Berlusconi?
«Vorrei che fossimo giudicati solo e soltanto in base ai comportamenti della casa editrice, a cominciare dai suoi azionisti, alla qualità dei titoli e alla libertà che garantiamo agli autori e alle scelte degli editor. Questo davvero conta, non altro. La nostra storia parla per noi».
Per alcuni di questi autori non può esserci libertà editoriale in un gruppo come quello che si sta configurando.
«Mi chiedo: ma in questi anni gli autori hanno o non hanno lavorato per un editore che aveva le stesse logiche industriali della Mondadori, in un gruppo che appartiene a importanti industriali e a istituti bancari? Come si fa a giudicare senza nemmeno aver provato? Mondadori è trasparente, quotata in Borsa, è il leader del settore, ha eccellenti professionalità e assicura da sempre autonomia ai marchi».
Non vi preoccupa l’esodo di tanti autori? E come vede il futuro della Nave di Teseo?
«Non c’è un editore al mondo felice di perdere autori. Ma non si può nemmeno impedire a qualcuno di realizzare una nuova casa editrice. Dico solo che il mercato avrebbe bisogno di minor frammentazione. Comunque noto che l’acquisizione ha già stimolato il mercato: basti pensare a La Nave di Teseo, ad Adelphi, a Giunti che intende ampliare la varia».
Non teme un giudizio negativo dell’Antitrust?
«Naturalmente ci rimetteremo alle eventuali indicazioni dell’Autorità, ma non mi aspetto misure restrittive del mercato, che lo indebolirebbero, ma favorevoli. Con l’acquisizione di Rcs Libri restiamo sotto la soglia del 35% dei libri trade. Un fatturato più importante riduce i costi fissi e consente di investire di più sui libri, a vantaggio di tutta la filiera: gli autori, cui viene garantita uguale pluralità; la distribuzione, dove esistono operatori più grandi di noi; i librai, perché potranno contare su un editore forte che spingerà ancora di più il mercato».
C’è chi dice: tra poco arriverà un grande editore straniero e si comprerà tutto, Mondadori più Rcs Libri.
«Invece avverrà il contrario. Un’azienda sana e forte sa contrastare gli editori stranieri. Realtà frammentate e economicamente incerte invece li attirano».
In Italia si legge pochissimo. Lei sa che il 39% dei dirigenti e professionisti italiani non legge libri, rispetto al 17% di Francia e Spagna? Non è preoccupato?
«E’ un dato che ha colpito il mio orgoglio di italiano. Metteremo il massimo impegno per far leggere di più. Per spiegare che un libro è un piacere straordinario. Sarà un impegno essenziale per un grande editore quale è Mondadori».
Piccoli editori: il 2015 ha il segno piùMotta (Aie): «Primi spiragli di uscita dal tunnel». Selva (Mondadori): «Siamo un unico mercato» 5 dic 2015 Corriere della Sera Di Edoardo Sassi © RIPRODUZIONE RISERVATA
La metafora ricorrente ieri — giorno d’inaugurazione al Palazzo dei Congressi dell’Eur di Roma della quattordicesima edizione di «Più libri più liberi», fiera della piccola e media editoria — ruotava tutta intorno al concetto di luce. Ea usarla per primo è stato il presidente dell’Associazione Italiana Editori, Federico Motta: «Si intravvedono i primi segnali di uscita dal tunnel», ha detto commentando i dati diffusi in mattinata e relativi al mercato di settore.
Un mercato del libro che infatti potrebbe presentare un segno positivo a fine anno: «Se consideriamo anche gli ebook e i canali non censiti — ha aggiunto Motta — possiamo essere cautamente ottimisti». Dunque, un assai probabile segno più, ovvero qualcosa che comunque non si vedeva da anni. Assai probabile perché a oggi, calcolando i primi mesi del 2015, il dato certificato regista ancora un calo, pari però solo a un 1,6 per cento di fatturato, un numero «minimo» che per gli esperti si annulla, di fatto, aggiungendo una serie di dati non censiti e relativi sopratutto alle vendite tramite il colosso Amazon (che non fornisce dati), alla diffusione degli ebook e ai libri italiani commercializzati all’estero.
A certificare il «cauto ottimismo» è stata l’annuale indagine Nielsen, studio che tradizionalmente si presenta durante la kermesse romana e che per conto dell’Aie certifica ogni dodici mesi l’andamento di un comparto (finora) in forte crisi. In dettaglio, il «quasi certo» segno più per l’intero settore — di fatto una sostanziale tenuta del mercato del libro di carta in generale nei canali trade, con 14 milioni di euro in meno rispetto allo stesso periodo del 2014 e con un calo di copie vendute pari un meno 4,4 per cento — si trasforma in un «doppio segno più», sempre per i primi dieci mesi del 2015, proprio per i «piccoli editori» protagonisti della fiera; ovvero per quei marchi con un venduto «a valore di copertina» sotto i 13 milioni annui.
Il lieve calo generale (1,6) relativo all’intero mercato si trasforma infatti già oggi, nel loro caso, in un più 1,7 per cento di copie vendute e in un più 2 per cento di fatturato. Timidi segnali di ripresa trainati da piccole e medie aziende perciò, salutati con soddisfazione da Dario Franceschini che ieri ha inaugurato «Più libri»: «È un grande piacere tornare qui — ha detto — io sono venuto diverse volte non da ministro, ed è bellissimo vedere la sala così affollata, i corridoi rumorosi, brulicanti di voci, energie, piccole case editrici che hanno attraversato con testardaggine appassionata questi anni di crisi, che forse ci stiamo finalmente lasciando alle spalle». Un forse, quello del ministro, seguito da un accenno su un mondo dei libri in grado di rendere «il Paese più ricco, più vivace, più aperto al mondo».
Prima di lui erano state le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a colpire l’uditorio. Il capo dello Stato ha infatti inviato un messaggio di auguri alla Fiera, parlando di un «necessario adoperarsi per garantire la maggiore libertà editoriale possibile». I libri, ha scritto Mattarella, «sono un fondamentale strumento di crescita e di conoscenza e la conoscenza ci rende persone libere, come giustamente ricorda il titolo della rassegna, e cittadini consapevoli. I libri sono, insieme, un bene privato e un bene pubblico, perché generano sapere condiviso. Sono il patrimonio che lasciamo alle giovani generazioni, le radici sulle quali continuare a costruire il futuro della nostra comunità. È necessario adoperarsi per garantire la maggiore libertà editoriale possibile».
Altra caratteristica ricorrente dell’edizione di quest’anno, un generale e più volte ripetuto richiamo all’unità del settore: «Questo è il momento in cui lavorare ancora di più, tutti insieme», ha detto Motta. «Dopo cinque anni di mercato editoriale con il segno meno, l’emorragia si sta fermando», gli ha fatto eco Antonio Monaco, presidente del gruppo Piccoli editori di Aie, il quale ha anche evocato la necessità di «riattivare un forte attivismo civile». E mai come quest’anno i cosiddetti grandi editori si sono visti a «Più libri», a partire dall’amministratore delegato di «Mondadori Libri» Enrico Selva Coddè, presente ieri all’Eur: «Piccoli e grandi editori sono un unico mondo — ha detto — non ci sarebbero gli uni senza gli altri e il mercato non potrebbe farne a meno» (oltre a lui, ieri al Palacongressi, anche Stefano Mauri, presidente e amministratore delegato di Gems, e Alessandro Monti, direttore operativo di Feltrinelli e presidente del gruppo «Varia» dell’Aie).
I «piccoli» editori intanto festeggiano quello che definiscono il «loro anno», con una crescita che relativamente ai generi fa registrare un buon incremento della fiction italiana (più 14,7 per cento a copie, pari a un più 23,5% per fatturato) e del settore bambini e ragazzi (più 8,9 a copie e più 11,1 per fatturato). Variazioni in negativo, invece, più o meno significative, per fiction straniera, saggistica, manuali, guide, testi su viaggi, tempo libero e lifestyle.
Nell’editoria in crisi solo i piccoli stanno a galla
Il settore continua a perdere, ma i marchi di nicchia aumentano vendite e fatturato catturando le nuove tendenze, dalla graphic novel ai volumi per ragazzi. Ecco quelli che ci hanno colpito di più
«La ragione è semplice. La rivoluzione digitale ha stravolto il mercato dei periodici. Nel 2008 oltre il 55% dei ricavi di Mondadori proveniva proprio dai periodici che contribuivano per il 70% alla redditività totale, una quota dovuta soprattutto alla Francia. In Italia nel 2013 i magazine Mondadori hanno perso oltre 20 milioni di euro. Dovevamo spostare il core business. Abbiamo studiato
il mercato: Rcs Libri era in vendita. Conosciamo profondamente l’editoria libraria, ha un modello di business consolidato anche nella sua evoluzione, in cui l’impatto del digitale è chiaro e meno incerto rispetto ai periodici».
Vi accusano di voler monopolizzare il mercato.
«Cinque anni fa avevamo il 31%, con i libri di Rcs avremo il 35% del trade, il non scolastico. Non abbiamo compiuto aggressioni fino a oggi, non vedo perché dovremmo cominciare ora. Il problema è il mercato italiano: in decrescita, frammentato, di piccole dimensioni, 1,2 miliardi per il trade. È essenziale poter contare su una massa critica per essere competitivi, economicamente sani e assicurare un traino al settore. Mondadori nel 2014 ha ricavato dal trade oltre 200 milioni, Rizzoli 110: e a loro non sono bastati per una gestione efficiente. Insieme arriveremo a un giro di affari intorni ai 330 milioni. Egemonia? Hachette in Francia nel 2014 ha fatturato il doppio di noi in un mercato da oltre 3 miliardi. In Germania Random House ha registrato ricavi per 630 milioni in un mercato da 3,8 miliardi».
Molti sono preoccupati per l’identità dei marchi, per l’autonomia editoriale dei direttori e degli autori.
«Se un marchio perde specificità, quindi libertà, perde anche valore. Abbiamo tutto l’interesse a tutelare l’identità dei brand. Nel 1994 abbiamo acquisito Einaudi in una situazione economicamente disastrosa. Oggi è il fiore all’occhiello del gruppo: è rimasta se stessa e produce utili. E così Piemme e Sperling & Kupfer. Lo stesso criterio adotteremo, adesso, per i marchi di Rcs Libri».
C’è una responsabilità etica di un editore: produrre utili, ma anche assicurare spazio alla libertà intellettuale.
«Chiunque faccia impresa ha una responsabilità etica, soprattutto se fa libri. In Italia si tende a separare nettamente tra cultura e impresa. Io dico che un’impresa sana può garantire autonomia e libertà proprio perché produce profitti. Nelle situazioni economicamente malsane avviene il contrario».
Come si chiamerà la nuova casa editrice? Mondazzoli?
«Una volta per tutte: non c’è stata una fusione, ma un’acquisizione! I marchi restano quelli che sono. Autonomi, con la loro peculiarità. E il loro nome».
Elisabetta Sgarbi ha lasciato Bompiani e fondato una nuova casa editrice, La Nave di Teseo, portando con sé autori come Umberto Eco, Furio Colombo, Sandro Veronesi, Vittorio Sgarbi, Susanna Tamaro. Si è parlato di una «assoluta incompatibilità» tra Elisabetta Sgarbi e Marina Berlusconi, presidente del gruppo Mondadori. Non è la prova che la libertà editoriale dei marchi è in pericolo?
«Elisabetta Sgarbi ha avuto le più ampie assicurazioni di piena e totale libertà per le future scelte, e grandi manifestazioni di stima, da Marina Berlusconi e da me, cioè dai vertici del gruppo. Ma cosa radicalmente diversa era la sua richiesta di acquistare Bompiani. Sarebbe stato assurdo rivenderla subito dopo l’acquisto. È stato legittimo rispondere di no».
Non crede che in questa vicenda pesi il cognome Berlusconi?
«Vorrei che fossimo giudicati solo e soltanto in base ai comportamenti della casa editrice, a cominciare dai suoi azionisti, alla qualità dei titoli e alla libertà che garantiamo agli autori e alle scelte degli editor. Questo davvero conta, non altro. La nostra storia parla per noi».
Per alcuni di questi autori non può esserci libertà editoriale in un gruppo come quello che si sta configurando.
«Mi chiedo: ma in questi anni gli autori hanno o non hanno lavorato per un editore che aveva le stesse logiche industriali della Mondadori, in un gruppo che appartiene a importanti industriali e a istituti bancari? Come si fa a giudicare senza nemmeno aver provato? Mondadori è trasparente, quotata in Borsa, è il leader del settore, ha eccellenti professionalità e assicura da sempre autonomia ai marchi».
Non vi preoccupa l’esodo di tanti autori? E come vede il futuro della Nave di Teseo?
«Non c’è un editore al mondo felice di perdere autori. Ma non si può nemmeno impedire a qualcuno di realizzare una nuova casa editrice. Dico solo che il mercato avrebbe bisogno di minor frammentazione. Comunque noto che l’acquisizione ha già stimolato il mercato: basti pensare a La Nave di Teseo, ad Adelphi, a Giunti che intende ampliare la varia».
Non teme un giudizio negativo dell’Antitrust?
«Naturalmente ci rimetteremo alle eventuali indicazioni dell’Autorità, ma non mi aspetto misure restrittive del mercato, che lo indebolirebbero, ma favorevoli. Con l’acquisizione di Rcs Libri restiamo sotto la soglia del 35% dei libri trade. Un fatturato più importante riduce i costi fissi e consente di investire di più sui libri, a vantaggio di tutta la filiera: gli autori, cui viene garantita uguale pluralità; la distribuzione, dove esistono operatori più grandi di noi; i librai, perché potranno contare su un editore forte che spingerà ancora di più il mercato».
C’è chi dice: tra poco arriverà un grande editore straniero e si comprerà tutto, Mondadori più Rcs Libri.
«Invece avverrà il contrario. Un’azienda sana e forte sa contrastare gli editori stranieri. Realtà frammentate e economicamente incerte invece li attirano».
In Italia si legge pochissimo. Lei sa che il 39% dei dirigenti e professionisti italiani non legge libri, rispetto al 17% di Francia e Spagna? Non è preoccupato?
«E’ un dato che ha colpito il mio orgoglio di italiano. Metteremo il massimo impegno per far leggere di più. Per spiegare che un libro è un piacere straordinario. Sarà un impegno essenziale per un grande editore quale è Mondadori».
La metafora ricorrente ieri — giorno d’inaugurazione al Palazzo dei Congressi dell’Eur di Roma della quattordicesima edizione di «Più libri più liberi», fiera della piccola e media editoria — ruotava tutta intorno al concetto di luce. Ea usarla per primo è stato il presidente dell’Associazione Italiana Editori, Federico Motta: «Si intravvedono i primi segnali di uscita dal tunnel», ha detto commentando i dati diffusi in mattinata e relativi al mercato di settore.
Un mercato del libro che infatti potrebbe presentare un segno positivo a fine anno: «Se consideriamo anche gli ebook e i canali non censiti — ha aggiunto Motta — possiamo essere cautamente ottimisti». Dunque, un assai probabile segno più, ovvero qualcosa che comunque non si vedeva da anni. Assai probabile perché a oggi, calcolando i primi mesi del 2015, il dato certificato regista ancora un calo, pari però solo a un 1,6 per cento di fatturato, un numero «minimo» che per gli esperti si annulla, di fatto, aggiungendo una serie di dati non censiti e relativi sopratutto alle vendite tramite il colosso Amazon (che non fornisce dati), alla diffusione degli ebook e ai libri italiani commercializzati all’estero.
A certificare il «cauto ottimismo» è stata l’annuale indagine Nielsen, studio che tradizionalmente si presenta durante la kermesse romana e che per conto dell’Aie certifica ogni dodici mesi l’andamento di un comparto (finora) in forte crisi. In dettaglio, il «quasi certo» segno più per l’intero settore — di fatto una sostanziale tenuta del mercato del libro di carta in generale nei canali trade, con 14 milioni di euro in meno rispetto allo stesso periodo del 2014 e con un calo di copie vendute pari un meno 4,4 per cento — si trasforma in un «doppio segno più», sempre per i primi dieci mesi del 2015, proprio per i «piccoli editori» protagonisti della fiera; ovvero per quei marchi con un venduto «a valore di copertina» sotto i 13 milioni annui.
Il lieve calo generale (1,6) relativo all’intero mercato si trasforma infatti già oggi, nel loro caso, in un più 1,7 per cento di copie vendute e in un più 2 per cento di fatturato. Timidi segnali di ripresa trainati da piccole e medie aziende perciò, salutati con soddisfazione da Dario Franceschini che ieri ha inaugurato «Più libri»: «È un grande piacere tornare qui — ha detto — io sono venuto diverse volte non da ministro, ed è bellissimo vedere la sala così affollata, i corridoi rumorosi, brulicanti di voci, energie, piccole case editrici che hanno attraversato con testardaggine appassionata questi anni di crisi, che forse ci stiamo finalmente lasciando alle spalle». Un forse, quello del ministro, seguito da un accenno su un mondo dei libri in grado di rendere «il Paese più ricco, più vivace, più aperto al mondo».
Prima di lui erano state le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a colpire l’uditorio. Il capo dello Stato ha infatti inviato un messaggio di auguri alla Fiera, parlando di un «necessario adoperarsi per garantire la maggiore libertà editoriale possibile». I libri, ha scritto Mattarella, «sono un fondamentale strumento di crescita e di conoscenza e la conoscenza ci rende persone libere, come giustamente ricorda il titolo della rassegna, e cittadini consapevoli. I libri sono, insieme, un bene privato e un bene pubblico, perché generano sapere condiviso. Sono il patrimonio che lasciamo alle giovani generazioni, le radici sulle quali continuare a costruire il futuro della nostra comunità. È necessario adoperarsi per garantire la maggiore libertà editoriale possibile».
Altra caratteristica ricorrente dell’edizione di quest’anno, un generale e più volte ripetuto richiamo all’unità del settore: «Questo è il momento in cui lavorare ancora di più, tutti insieme», ha detto Motta. «Dopo cinque anni di mercato editoriale con il segno meno, l’emorragia si sta fermando», gli ha fatto eco Antonio Monaco, presidente del gruppo Piccoli editori di Aie, il quale ha anche evocato la necessità di «riattivare un forte attivismo civile». E mai come quest’anno i cosiddetti grandi editori si sono visti a «Più libri», a partire dall’amministratore delegato di «Mondadori Libri» Enrico Selva Coddè, presente ieri all’Eur: «Piccoli e grandi editori sono un unico mondo — ha detto — non ci sarebbero gli uni senza gli altri e il mercato non potrebbe farne a meno» (oltre a lui, ieri al Palacongressi, anche Stefano Mauri, presidente e amministratore delegato di Gems, e Alessandro Monti, direttore operativo di Feltrinelli e presidente del gruppo «Varia» dell’Aie).
I «piccoli» editori intanto festeggiano quello che definiscono il «loro anno», con una crescita che relativamente ai generi fa registrare un buon incremento della fiction italiana (più 14,7 per cento a copie, pari a un più 23,5% per fatturato) e del settore bambini e ragazzi (più 8,9 a copie e più 11,1 per fatturato). Variazioni in negativo, invece, più o meno significative, per fiction straniera, saggistica, manuali, guide, testi su viaggi, tempo libero e lifestyle.
Nell’editoria in crisi solo i piccoli stanno a galla
Il settore continua a perdere, ma i marchi di nicchia aumentano vendite e fatturato catturando le nuove tendenze, dalla graphic novel ai volumi per ragazzi. Ecco quelli che ci hanno colpito di più
9 dic 2015 Libero RICCARDO PARADISI FOLLA ALL’EUR
Piccoli editori crescono; e non è un modo di dire, sono proprio i numeri
del mercato che registrano un incremento di copie vendute e di
fatturato. Dati che emergono dall’indagine Nielsen per l’Associazione
Italiana Editori presentata a Roma nella giornata di apertura di «Più
libri più liberi», la fiera nazionale della piccola e media editoria che
ieri ha chiuso i battenti al Palazzo dei Congressi dell’Eur. Numeri in
positivo che segnano una controtendenza rispetto alla perdurante crisi
generale del settore che segna ancora un 1,6% di vendite in meno
rispetto all’anno scorso. I piccoli e medi editori fanno invece
registrare un +1,7% di copie vendute e un +2% di fatturato e riescono a
segnare un’egemonia su particolari settori come la graphic novel, dove
le vendite aumentano del 14,7% e il settore bambini e ragazzi con un
incremento dell’8,9%.
Il fatto è che piccoli e medi editori si dimostrano
all’avanguardia nel saper cogliere le nuove tendenze, nell’intercettare
nicchie di mercato e di interesse, nella capacità di andare incontro a
sensibilità particolari. E il segreto del loro successo è proprio in
questa capacità di concentrare il fuoco su poche, mirate e curate
collane. Manuel Orazi, che per la Quodlibet cura la collana di
architettura, parte proprio da una riflessione sulla manifestazione
dell’Eur per spiegare le ragioni della crescita dei piccoli e medi
editori. «Il Palazzo dei Congressi è un capolavoro, un luogo perfetto
per una manifestazione culturale, qui la circolazione interna è
effettiva ed efficace perché gli spazi sono disposti senza un vero
centro e quindi chi ha voglia di passeggiare piano piano vede tutti gli
espositori senza essere distratto da attività collaterali. Soprattutto –
ecco il punto - il pubblico che viene alla fiera è interessato allo
specifico del nostro lavoro che è il prodotto editoriale: ossia ai libri
e non a cantanti, cuochi, comici o maschere televisive come avviene
altrove».
E in effetti passeggiando per i padiglioni sono i libri i
protagonisti dell’evento: volumi che colpiscono per cura, originalità o
per il fatto che tagliano i temi del momento da angolature molto
particolari. Per dire: l’editore Zambon pubblica testi sulla crisi
ucraina e siriana in funzione antioccidentale con una nostalgia
manifesta per la vecchia Unione sovietica. Tra i suoi titoli spiccano
titoli come Ucraina tra golpe neonazisti, riforme e futuro di Enrico
Vigna o La Russia di Putin di Paolo Borgognone che contengono analisi
demistificatorie credibili della cosiddetta crisi ucraina e
dell’opposizione democratica a Putin. Le cattoliche Edizioni Paoline
mettono invece in mostra L’Insurrezione del filosofo Marco Guzzi, che
non è l’apologia della rivolta politica ma un’attualissima riflessione
sulla società dei selfie sospesa tra disperazione e speranza. Ogni
svolta d’angolo è un incontro e così allo stand delle edizioni Giubilei
Regnani – titoli scelti e accattivanti sulla storia e l’attualità
italiana – ti imbatti in Pino Scaccia, il decano degli inviati speciali
sui teatri di guerra, a presentare il suo Giornalismo, ritorno al
futuro. Istruzioni per nuovi giornalisti digitali, una messa a punto su
ciò che vivo e ciò che è morto del mestieraccio. Allo stand delle
edizioni il Cerchio di Rimini trovi invece il suo fondatore Adolfo
Morganti, uno sulla breccia ormai da qualche decennio. Il Cerchio nel
2014 ha compiuto 35 anni di presenza continuativa nel mondo editoriale
italiano, oggi ha all’attivo oltre 500 titoli incentrati su una serie di
temi forti, che poi, spiega Morganti, «sono il cardine di una tenuta e
di una crescita graduale ma costante. Il tema del sacro, una profonda
attenzione alle culture non occidentali, la ricerca sulle radici
dell’Europa, un punto di vista mai scontato su questioni ed eventi».
Come quello offerto dall’appena uscito Grande Guerra: le radici e gli
sconfitti. Europei, Cattolici, Operatori di pace. Una raccolta di saggi
che, recuperando la trascurata figura di Benedetto XV e il suo impegno
per la pace, restituisce al di là delle retoriche il vero volto della
Grande Guerra. Ma poi ci sono case editrici assolutamente settoriali
come Penne e papiri, che ti raccontano tutto sui Templari, da come
pregavano a come mangiavano, o come Simmetria, con titoli sceltissimi
sulla tradizione pitagorica e il proto cristianesimo, o ancora le
edizioni Victrix, sulla tradizione religiosa degli antichi romani.
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