La storia della geometria non euclidea tra le intuizioni di Beltrami e i dubbi di un certo ingegner Dostoevskij Quando Escher conobbe quelle teorie realizzò i suoi disegni più celebri
martedì 24 novembre 2015
Letteratura e matematica
La matematica dei fratelli Karamazov
La storia della geometria non euclidea tra le intuizioni di Beltrami e i dubbi di un certo ingegner Dostoevskij Quando Escher conobbe quelle teorie realizzò i suoi disegni più celebri
La storia della geometria non euclidea tra le intuizioni di Beltrami e i dubbi di un certo ingegner Dostoevskij Quando Escher conobbe quelle teorie realizzò i suoi disegni più celebri
di Piergiorgio Odifreddi Repubblica 23.11.15
Nella seconda parte dei “Fratelli Karamazov” Ivan e Alioscia hanno una
lunga conversazione teologica in trattoria, nel corso della quale il
primo se ne esce sorprendentemente con queste parole: «Posto che Dio
esista, e che abbia realmente creato la Terra, questa, come tutti
sappiamo, è stata creata secondo la geometria euclidea, e l’intelletto
umano è stato creato idoneo a concepire soltanto uno spazio a tre
dimensioni. Vi sono stati, invece, e vi sono pure ora, geometri e
filosofi, anche fra i più grandi, i quali dubitano che tutta la natura, o
più in generale tutto l’universo, siano stati creati secondo la
geometria euclidea. E s’avventurano perfino a supporre che due linee
parallele, che secondo Euclide non possono a nessun patto incontrarsi
sulla Terra, potrebbero anche incontrarsi prima o poi nell’infinito». La
sorpresa però svanisce
quando si tiene conto di due fatti. Anzitutto, che Dostoevskij era un
ingegnere, laureatosi nel 1843 all’Università Politecnica Militare di
San Pietroburgo. E poi, che la geometria non-euclidea alla quale egli
alludeva nel 1879 era un’invenzione russa del 1829, diventata nel
frattempo di dominio pubblico in tutta l’Europa, e certo non dimenticata
nel suo paese.
In realtà, fin dagli inizi dell’Ottocento i tempi erano ormai maturi per
la scoperta o l’invenzione della geometria non-euclidea: una geometria,
cioè, in cui «per un punto fuori di una retta passa
più di una parallela alla retta data », invece che una sola come nella
geometria euclidea. E, come spesso accade in matematica, quando i tempi
sono ormai maturi se ne accorge più di una persona, e non una sola. Ma
per la storia conta la prima che, oltre ad accorgersene, lo fa sapere al
resto del mondo.
Nel caso della geometria non-euclidea questa persona fu appunto un russo
di nome Nikolaj Lobachevskij, che nel 1826 tenne all’università di
Kazan, oltre gli Urali, un’Esposizione succinta dei princìpi della
geometria, con una dimostrazione rigorosa del teorema delle parallele.
Quasi un millennio prima un altro letterato, più sensibile alla
matematica dell’ingegner Dostoevskij, era già stato attratto dalla
possibilità di una geometria non-euclidea. Si trattava del poeta
persiano Omar Khayyam, autore delle famose Rubaiyat, “Quartine”, che
l’Occidente venne a conoscere soltanto nell’Ottocento, in una libera e
popolare traduzione inglese di Edward Fitzgerald. Khayyam intravide
l’esistenza di tre tipi di geometrie, distinte tra loro dal fatto che le
parallele a una retta data passanti per un punto fuori di essa sono
rispettivamente nessuna, una o più. O, se si preferisce, dal fatto che
la somma degli angoli di un triangolo è rispettivamente maggiore, uguale
o minore di 180 gradi. La seconda geometria, quella intermedia in cui
c’è una sola parallela e la somma degli angoli di un triangolo è uguale a
180 gradi, è ovviamente la geometria piana studiata ancor oggi nelle
scuole. La prima, quella in cui non c’è nessuna parallela e la somma
degli angoli di un triangolo è maggiore di 180 gradi, è la geometria
sferica. Le sue rette sono i meridiani, analoghi a quelli così chiamati
sulla sfera terrestre. E poiché due meridiani si incontrano sempre in
due poli opposti, non possono appunto mai essere paralleli. Il problema è
capire come raffigurarsi la terza geometria, quella in cui ci sono più
parallele e la somma degli angoli di un triangolo è minore di 180 gradi.
Lobachevskij ne aveva descritte le proprietà, ma c’era il rischio che
si trattasse della descrizione di un mondo puramente immaginario, senza
nessun modello reale. Il primo a capire come raffigurarsela in termini
concretamente visualizzabili fu Eugenio Beltrami nel 1868, nel suo
Saggio di interpretazione della geometria non- euclidea.
L’idea era che bisognava trovare qualcosa che fosse l’analogo, uguale e
contrario, della sfera. Beltrami lo individuò in quella che egli chiamò
pseudosfera: una strana superficie che in ogni punto aveva la stessa
curvatura negativa, esattamente come la sfera in ogni punto ha la stessa
curvatura positiva. E ne costruì a mano alcuni modelli, chiamati da un
giornale satirico dell’epoca “cuffie della nonna”, a causa del loro
aspetto ondulato come i bordi dei cappelli da notte di pizzo di una
volta.
Ad esempio, era noto fin dall’antichità che il piano si può pavimentare
con piastrelle triangolari regolari, raggruppate sei a sei attorno ai
vertici. I pitagorici avevano scoperto che se si raggruppano invece i
triangoli cinque a cinque, si ottiene una superficie che si chiude su se
stessa, e diventa un solido regolare chiamato icosaedro, così chiamato
perché ha venti facce triangolari, che approssima una sfera. Beltrami
capì che un’analoga approssimazione della pseudosfera si poteva ottenere
raggruppando invece i triangoli sette a sette.
In seguito si è scoperto che queste cose esistono già bell’e fatte in
natura. Molti organismi biologici, soprattutto marini, esibiscono
infatti una geometria non-euclidea, dalle alghe kelp ai nudibranchi, e
così fanno le foglie di lattuga e di cavolo nero. Ma proprio a causa dei
loro tipici bordi ondulati, questi modelli non si possono distendere
perfettamente sul piano. Beltrami inventò dunque altri modelli piani,
mettendo le piastrelle della pavimentazione dentro un cerchio, e
facendole diventare sempre più piccole man mano che si avvicinano al
bordo, in modo da farcene stare infinite. Oggi questi modelli sono
diventati famosi perché al Congresso Internazionale dei Matematici del
1954, che si tenne ad Amsterdam, il grafico Maurits Cornelis Escher ne
venne a conoscenza e se ne innamorò. Dedicò dunque quattro opere ai
Limiti del cerchio, la terza delle quali viene considerata la più bella
raffigurazione del piano non-euclideo prefigurato dal persiano Khayyam,
scoperto o inventato dal russo Lobachevskij, modellato dall’italiano
Beltrami e rappresentato dall’olandese Escher, in un lavoro collettivo e
millenario tipico delle imprese matematiche e scientifiche.
LA CONFERENZA Piergiorgio Odifreddi oggi sarà tra i relatori della
conferenza “ Dalla Neva alle Alpi: avventure del pensiero matematico che
scorrono attraverso la Scienza, l’Arte e la Musica”, organizzata a San
Pietroburgo nel Consolato Generale d’Italia. La sua lezione si
concentrerà sulla figura di Eugenio Beltrami
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