Charles Dantzig:
Enciclopedia capricciosa di tutto e di niente, Archinto
Odori, amori, luoghi di perdizione Il demone della lista
Dialoghi Incontro con l’autore di un’ «Enciclopedia capricciosa»
16 nov 2015 Corriere della Sera di Claudio Magris
L’elenco diventa quasi un personaggio letterario, affascina o intimidisce come una sirena. Il catalogo, dice Charles Dantzig, è frutto di un’ossessione, ma anche del panico dinanzi all’informe Una spettatrice davanti a una versione di Flumequine di Damien Hirst (1965)
«Delle vecchie fa conquista/ pel piacer di porle in lista», canta Leporello nel Don Giovanni enumerando le tante donne e categorie di donne sedotte dal suo padrone. L’elenco, il catalogo, la contabilità dovrebbero essere al servizio dei beni schedati e della loro cura, ma a poco a poco finiscono per diventare essi stessi i protagonisti, gli oggetti del desiderio e del piacere — talora, come per don Giovanni, perfino nel campo dell’eros e del sesso, che sembrerebbe particolarmente legato alla fisicità concreta piuttosto che all’astrazione del sistema numerico. Forse pure il miliardario gode di più leggendo e palpando il suo estratto conto che non usufruendo dei tanti e svariati beni e piaceri che esso potrebbe mettere a sua disposizione.
La lista diventa così quasi personaggio, affascina e intimidisce come una dea o una sirena. La lista è l’eroe o l’eroina di una seducente e imprevedibile narrazione, divagante e insieme ordinatrice, l’Enciclopedia capricciosa di tutto e di niente di Charles Dantzig, scrittore francese autore di varie opere non facilmente classificabili, fra le quali un sorprendente e creativo Dizionario egoista della letteratura francese. L’Enciclopedia capricciosa si articola in centoquarantotto liste, raggruppate in varie sezioni. Lista dei luoghi (di perdizione, di raccoglimento e così via), degli odori delle città, di taxi parigini, del vizio, di coloro che sono stati belli per una settimana, del sexy, dei brontoloni, delle sculacciate mancate, delle regole per avere successo.
Ogni lista diventa potenziale racconto; traccia fulminei ritratti, sfuma in aforismi degni della letteratura moralistica francese classica, che squarciano l’esistenza come lampi di humour o di tragedia. Come nella grande tradizione barocca, l’erudizione diventa poesia, avventura ironica avida e melanconica; viaggio nella bislacca e disorganica prolissità del mondo. Non a caso la letteratura barocca, sottolineava tanti anni fa Giovanni Getto, ha amato le liste, i cataloghi; ha avuto il gusto di possedere il mondo nella sensuale proliferazione di parole. Ma, diversamente dai proliferanti testi barocchi, il libro di Dantzig è agile e lieve, incide a colpi essenziali di fioretto e non con tumultuose sciabolate. Il fascino della lista peraltro spesso sconfina nella mania. È forse anche dalla mania, chiedo a Dantzig, che nasce questo suo libro?
Charles Dantzig — Non si crede mai di avere dei difetti se non lusinghieri ( « io sono intransigente!») e tenderei a dire che non sono maniaco. Credo che la mia passione per la lista derivi dal panico dinanzi all’informe. La vita procede senza riflettere e le liste intervengono a mettere ordine. Prima di scrivere la mia Enciclopedia capricciosa non avevo alcuna particolare considerazione per le liste, a parte quella di Shônagon, la dama di corte giapponese dell’undicesimo secolo. In questo mio libro c’è una sfida estetica: come scrivere un volume composto interamente di liste letterarie (non conosco esempi del genere) facendone se possibile
un’opera d’arte? Per me una lista non è un elenco alla rinfusa o a
casaccio. È una riflessione, un tentativo di inquadrare il mondo in
categorie. Tentativo forse illusorio, ma che nasce dal desiderio di
controllare il mondo anche se non troppo. L’essenziale delle liste è che
esse lasciano dei buchi e io amo i libri che hanno dei buchi. Nel mio
secondo romanzo,
Nos vies hâtives, «Le nostre vite assillate», c’erano già delle liste e
ce ne sono in quello più recente da poco apparso in Francia, Histoire de
l’amour et de la haine, «Storia dell’amore e dell’odio». Anche il suo
Danubio, che d’altronde presenta molte liste, non è forse un modo di
stabilire il catalogo di una certa Europa a partire da un preciso
momento della sua storia?
Claudio Magris — Certo, ci sono molti maniaci nei miei libri, forse
perché anch’io… e la mania è spesso collegata alla lista. L’ingegner
Neweklowsky, in Danubio, dedica l’intera vita a catalogare tutto ciò che
riguarda «il Danubio superiore» e le 2.164 pagine del suo libro sono
liste di affluenti e subaffluenti, piroghe e vapori, utensili delle
barche, vortici e secche, guadi e costumi dei barcaioli, busti dei
capibarca e nomi degli osti sulle rive, bestemmie in uso fra i
battellieri, ambasciatori che hanno disceso il fiume. Un altro,
Ferdinand Thrän di Ulm, annota per anni tutte le villanie subite. E
pensi ai collezionisti, maniaci di totalità, desiderosi che il registro
delle loro collezioni contenga tutto… pure i musei, in fondo, sono
liste. L’elenco è anche una difesa, una legge o una Muraglia cinese che
protegge e insieme distrugge assorbendo la vita nell’elencazione,
volontà di potenza e autodistruzione. Ma le sue liste, pur percorse
anche dalle tragedie e soprattutto dalle insensatezze della vita, sono
soprattutto lievi, ilari; aiutano a percorrere l’esistenza anche
godendone le sue follie e bizzarrie, la sua comicità e la sua amabilità.
Charles Dantzig — Questa Enciclopedia composta come una clessidra,
liste generali poi liste più personali poi di nuovo generali, è la
descrizione della mia repubblica ideale — contiene parti di finzione
così come ci sono componenti saggistiche nei miei romanzi. La gaiezza
per me è un combattimento contro la tristezza. Se in questo libro c’è
della fantasia nel senso più elevato del termine, tanto meglio. La
fantasia è più esatta del realismo, che il più delle volte è solo un
pregiudizio della bruttezza. E se c’è della comicità, ancor meglio.
«Drôle», buffo, strano, in francese è una parola che ha una sfumatura di
anarchia. Quando si dice «è un tipo buffo, curioso » si vuol dire
qualcuno irrispettoso, provocatore. È stato un grande artista italiano a
risvegliare questo sentimento in me nella mia adolescenza e non è uno
scrittore, È Fellini.
Claudio Magris — Un libro altrettanto creativo e godibile è il suo
Dizionario egoista della letteratura francese. Una prospettiva
personalissima e insieme capace di cogliere fondamentali verità di
autori e di opere. C’è una straordinaria acutezza che scopre, nel
dettaglio di una frase o di una parola, la grandezza ma soprattutto le
cadute di scrittori e libri anche grandi. Affondi che mostrano come la
letteratura sia un’arte implacabile e rischiosa, in cui pure a un genio è
facile mettere un piede in fallo e restarne bollato per l’eternità. Un
vasto affresco che si affida alla microanalisi, alla lente
d’ingrandimento. Ma non si rischia in tal modo di perdere talora il
senso della grandezza, che proprio nei grandissimi scrittori abbraccia
spesso pure la banalità e la retorica in un grande respiro epico e
umano? Quasi tutti quelli della mia generazione e ancor più le
generazioni precedenti hanno letto Tolstoj o Dostoevskji in mediocri
traduzioni, talora perfino abbreviate, in cui tuttavia si afferrava quel
senso della totalità della vita che solo la grande arte può cogliere,
magari a spese della minuta perfezione di tanti particolari?
Charles Dantzig — La letteratura non si fa senza gli scrittori,
che grazie ai loro difetti donano umanità a ciò che potrebbe essere
freddo e noioso come una Venere di marmo. Come ho detto in un altro
libro, À propos des chefs-d’oeuvre non esistono opere d’arte perfette.
L’unica perfezione è quella di uno scheletro, bianco simmetrico e
immobile: è la morte. Viva dunque l’imperfezione dei capolavori, essa
dimostra che sono fatti da uomini; sacralizzare la letteratura e coloro
che la fanno — come me, che so di non essere un santo — porta a giudizi
deliranti. Il rispetto timorato mi fa orrore; amo solo la passione, che
mi sembra più ragionevole. Chi confonde gli scrittori con santi da
venerare e ha letto le cose feroci che ho scritto sulle star terroriste
alla Céline, che non amo più di quanto le ami lei, sono stati così
sorpresi da questa novità che hanno dimenticato come il mio Dizionario
egoista sia composto, in grandissima parte, da gridi d’amore.
Claudio Magris — A dire il vero amo molto Céline, il Voyage, anche
se capisco e respingo quel paradossale e anche patetico processo
autodistruttivo che ha portato lui e altri grandi scrittori del
Novecento a errori catastrofici e sostanzialmente ingenui, a credere che
il Male sia più autentico e vero del Bene… Il fascino della lista è
così grande, che si esprime pure nella negazione, nel catalogo negativo,
recentemente studiato in un bel saggio di Riccardo Castellana;
nell’elenco minuzioso di ciò che non c’è, che manca. Ovidio enumera
tutto ciò che non c’era prima che il Caos diventasse Mondo, d’Annunzio
scrive in Meriggio di «non bava di vento… non trema canna… non suona
voce»; Petrarca con i suoi «né… né–né» e tanti altri esempi. Forse solo
lei potrebbe scrivere una lista globale di tutto ciò che non c’è…
Charles Dantzig — Che bella idea! Nelle Metamorfosi, che lei ha
evocato, Ovidio dice, a proposito del Caos, che niente conservava la sua
propria forma e gli elementi si ostacolavano tra loro. Dare un ordine o
almeno una forma, ecco cosa ha fatto quel libro geniale. E la cosa più
geniale — lo si è dimenticato — è che uno dei miti che Ovidio canta l’ha
inventato lui: prima di lui Narciso non esisteva. Descrivere cose che
non esistono: non è questo che chiamiamo finzione, fiction? Immaginando
quelle cose, la finzione rivela ciò che è nascosto. La vita è un nastro
trasportatore che passa tra porte chiuse. La maggior parte degli uomini
se ne accontentano. Alcuni invece prendono le chiavi e aprono la porta —
sono i lettori che vedono la luce. Quelli che hanno portato quella luce
sono gli scrittori, non necessariamente amati. In latino, portatore di
luce si dice Lucifero, no?
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