lunedì 23 novembre 2015

Torna restaurato "Tragica alba a Dongo"

Tragica alba a Dongo (1950)
Regia: Vittorio Crucillà – Sceneggiatura: Ettore Camesasca [V. Crucillà] – Cronaca e commento: Vittorio Crucillà– Fotografia: Duilio Chiaradia - Musica: Martinelli – Produzione: Emilio Maschera e Ugo Zanolla per la National Film – Segretari di produzione: Milli Bahar, Antonio Zanni – Adattamento musicale: Ferruccio Martinelli - Durata: 37’
Interpreti e personaggi: attori non professionisti, tra i quali i coniugi De Maria, Ivan Kiorofilian, Nino Poli
Le ultime ore di Benito Mussolini in una ricostruzione asciutta ed efficace, girata nei luoghi reali degli eventi, con attori non professionisti che in molti casi furono testimoni dell’accaduto. Il film mette in scena il tentivo di fuga oltreconfine, la cattura da parte di una brigata partigiana, l’ultima notte presso la casa di una coppia di contadini, i coniugi De Maria, e infine la fucilazione. Il racconto è commentato e contestualizzato dalla voce del regista Vittorio Crucillà. I volti degli attori che interpretano Mussolini e Clara Petacci non vengono mai inquadrati se non fuggevolmente.
La pellicola non ottenne il nulla osta da parte Ufficio Centrale per la Cinematografia, malgrado i diversi tentativi nel corso dei primi anni Cinquanta. Inoltre, la diffida della famiglia Mussolini verso la casa produttrice condannò definivamente le possibilità di distribuzione del film in Italia.
La copia nitrato conservata dal Museo Nazionale del Cinema di Torino, di proprietà della Famiglia Paternò-Pelos, custodita per decenni con altri beni familiari e recentemente “ritrovata”, potrebbe essere l’unica copia d’epoca reperibile.
Il restauro: il restauro conservativo di Tragica alba a Dongo è stato realizzato dal Museo Nazionale del Cinema di Torino a partire da una copia positiva in supporto nitrato bianco e nero di 1.015 metri. Il film è stato restaurato a una risoluzione di 2K con un intervento di pulizia e stabilizzazione, nel rispetto delle caratteristiche del materiale d’epoca, sia per l’immagine sia per il suono originale mono.
La lavorazione è stata realizzata presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata di Bologna nel 2014.

Le ultime ore di vita di Benito Mussolini in anteprima al Torino Film Festival
La pellicola è una sorta di quello che oggi viene chiamato docufilm, ricostruzione di un fatto reale con attori




Su giornali conservatori come Il Giornale d’Italia o Il Tempo, i giudizi oscillavano tra l’ironico ridimensionamento delle figure degli antifascisti («rubagalline» e pronti solo ad andare in soccorso al vincitore) e le esplicite denigrazioni personali, con frammisti apprezzamenti sulla viltà («nascosti nei conventi vaticani») e ingiurie sulla loro mancanza «di onore». Era uno zoccolo duro di opinione su cui si plasmava fedelmente l’operato dell’intero apparato dello Stato, dei magistrati come dei prefetti, dei questori, di una intera burocrazia ministeriale, come quella dipendente dal ministero della Pubblica Istruzione che, per il decennale della Resistenza, il 25 aprile 1955, inviò una circolare solenne ai presidi di tutte le scuole italiane per invitarli a festeggiare, quel giorno, l’anniversario della nascita di Guglielmo Marconi.
Altro che Repubblica «fondata sulla Resistenza»! Per sopravvivere, l’antifascismo si costruì una sorta di nicchia difensiva, con una battaglia politico-culturale condotta all’insegna del «dovere di non dimenticare» che indusse molti ex-partigiani a farsi storici della propria memoria, a diventare «archivisti», gelosi custodi dei «documenti» che testimoniavano di una pagina di storia che troppo presto gli altri volevano cancellare.
Tragica alba a Dongo si inseriva in questo contesto. Il film era stato prodotto da una cooperativa di giornalisti, e la richiesta di autorizzazione per la proiezione aveva un tono dimesso («Narra obiettivamente e porta per la prima volta sullo schermo, nella nuda cronaca cinematografica dei fatti, cose, ambienti e uomini, così come apparvero e agirono in quelle tragiche giornate di aprile. Il tempo, i luoghi, i costumi e financo i gesti e le parole, caratterizzano il valore essenzialmente documentaristico di questa ricostruzione»), insistendo sulla sua oggettiva neutralità. Una successiva lettera ad Andreotti, il 2 marzo 1951, era quasi una supplica: «I giornalisti in questione non hanno esitato a sacrificare in questa impresa tutte le loro economie personali, sì che un rifiuto ripetuto significherebbe, per essi, e per le loro stesse famiglie, la certa rovina, essendosi essi stessi, tra l’altro, anche indebitati pur di realizzare questo film. Vostra eccellenza, che proviene dal giornalismo, non mancherà di valutare a pieno e con competenza la portata di questo rifiuto…». 
Niente da fare; Andreotti fu irremovibile. Contro la programmazione intervennero anche la famiglia Mussolini (con una diffida a «non alterare arbitrariamente nel detto film la realtà storica») e, successivamente il comune di Dongo («questa popolazione è sempre stata, per sé stessa, elemento di ordine sotto l’Alta guida di ben quattro Deputati, tre Senatori, più volte di un Ministro»). E il film fu cancellato. Andò meglio ad 
Achtung! Banditi
!, di Carlo Lizzani, che raccontava la lotta partigiana alle spalle di Genova, pure finanziato da una cooperativa di operai; giudicato in prima istanza «dannoso sia per i riflessi interni nel momento attuale, sia per i riflessi esterni in quanto ripropone, in tutta la sua asprezza, l’odio contro i tedeschi», in quello stesso 1951, pur tagliato e sforbiciato, il film arrivò comunque nelle sale. Pochi spettatori si accorsero che i partigiani combattevano con fucili di legno, abilmente riprodotti da artigiani locali; il ministero della Difesa aveva proibito che nelle riprese si usassero fucili veri, anche se disattivati.


ll film censurato sulla fine del Duce
Cinema. Al Torino Film Festival 33 tra archivi e sorprese spicca «Tragica alba a Dongo», girato nel 1950 dal giornalista Vittorio Crucilà che racconta la cattura di Mussolinidi Giuliana Muscio il manifesto 26.11.15
TORINO Tragica alba a Dongo era un film perduto prima ancora di esistere, nel senso che non era mai stato proiettato. Girato nel 1950 dal giornalista Vittorio Crucillà e restaurato ora dal Museo del Cinema di Torino, racconta la cattura di Mussolini (e di Claretta Petacci) a Dongo e la notte da loro trascorsa nella casa dei De Maria prima della fucilazione.
Questa «pagina di storia visiva» come dice la didascalia iniziale, è una docu-fiction rigorosa nella cronologia e nella messa in scena, visto che utilizza alcuni partigiani che avevano partecipato all’azione e gli stessi coniugi De Maria nella loro la casa. Sgradito sia alla famiglia di Mussolini poiché la donna accanto al Duce nell’ora fatale era la sua amante, che ai paesani di Dongo, in quanto la fucilazione era opera di partigiani venuti di fuori (per non parlare della sparizione del bottino che il duce si portava dietro, l’«oro di Dongo») il film, dalla strana durata di 38 minuti, non fu mai proiettato in sala.
La censura di Andreotti gli negò persino il visto per l’esportazione, con la motivazione che avrebbe portato disdoro alla patria. Così si era ridotto infatti in guerra fredda il ricordo della Resistenza, qui proposta senza retorica garibaldina (nella colonna sonora citazioni di canti risorgimentali) e con la scelta di mostrare Mussolini e Petacci solo di spalle o come ombre, per preservare la qualità documentaristica del film — un neorealismo alla De Santis, con monumentalizzanti primi piani sovietici, dal basso, dei partigiani, contrasti di luce e ombra e il dramma sentimentale della Petacci aggrappata al suo uomo (quando lo storico Giovanni De Luna ha ricordato invece come la pubblicazione del suo epistolario la riveli lucida compagna di strada.)
Prima che la vita cambi noi di Felice Pesoli racconta il cosmopolitismo del movimento hippy milanese prima degli anni di piombo, con materiali di repertorio, filmini amatoriali e interviste: il salotto alternativo di Pivano, le reazioni della stampa borghese ai «capelloni», la musica, le droghe, le comuni, i viaggi in India e soprattutto le attività di «Re Nudo», la rivista perno del movimento — una cultura che ha inciso sulla storia sociale molto più della «lotta armata» con cui ha finito per essere sussunta.
Per quel che concerne il concorso Torino 33, per ora niente di eccezionale, ma neppure da lamentare; fresco e ben scritto il messicano Sopladora de Hojas, in cui tre ragazzini (il grasso, il bello e il buono) cercano in un mucchio di foglie secche un mazzo di chiavi, svelando la loro inadeguatezza generazionale e il distacco emotivo dai «grandi»; e d’altro canto il cinema messicano ben figura al festival con Te prometo anarquia, già apprezzato a Locarno, o dovremmo dire il cinema latinoamericano, perché si distingue in concorso anche La patota Paulina che affronta con sensibilità nuova e provocatoria la violenza sulle donne.
L’americano God Bless the Child segue cinque bambini dall’infante alla teenager (strepitosi interpreti) lasciati a casa da soli da una mamma depressa, nelle loro esplosioni di violenza e in momenti di commovente tenerezza.

La prima tragica notte di Benito e Claretta
Il Duce e l'amante dormirono insieme una sola volta, in attesa di essere uccisi

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