Clima Così il mare inonderà l’Italia
Da Venezia a Cagliari sono trentatré le zone costiere che potrebbero finire sott’acqua entro la fine del secolo Secondo
l’ultimo studio dell’Enea anche il rischio desertificazione per le
regioni meridionali: le temperature saranno uguali a quelle del Nord
Afric
di Antonio Cianciullo Repubblica 4.12.15
PARIGI L’artista danese Olafour Eliasson ha disposto davanti al Panthéon
cento tonnellate di blocchi di iceberg provenienti dalla Groenlandia
componendo il disegno di un orologio. E ha aspettato. Non molto perché
in una Parigi dalla temperatura mediterranea, la composizione ha
resistito poche ore: un messaggio chiaro, rivolto ai delegati della
conferenza Onu, sulle conseguenze del cambiamento climatico. Conseguenze
che per il nostro paese sarebbero drammatiche: intere aree costiere
verrebbero sommerse.
Lo chiarisce uno studio appena aggiornato dai ricercatori del
Laboratorio di modellistica climatica dell’Enea. Se le emissioni serra
non verranno fermate, l’Italia perderà a fine secolo 5.500 chilometri
quadrati di territorio sul litorale e 60 all’interno, solo nell’area che
va da Trieste a Ravenna. Ma in tutto sono 33 le zone costiere in cui le
acque, se continueremo a bruciare combustibili fossili e a tagliare
foreste, penetreranno allagando terra fertile e strade, case e
fabbriche. Andranno sott’acqua, assieme a Venezia, anche Ravenna,
Ferrara, Cagliari e Oristano.
«Abbiamo aggiornato i dati tenendo conto degli studi più recenti e
misurando i vari fattori: risalite dei mari, movimenti tettonici,
aggiustamenti del livello del suolo», spiega Fabrizio Antonioli, il
ricercatore Enea che ha coordinato lo studio. «La nostra stima mostra
cosa succederebbe se si ignorasse ogni politica di difesa della
stabilità climatica».
Nell’area del Nord Adriatico la risalita delle acque andrebbe, al 2100,
da un minimo di 95 a un massimo di 130 centimetri. Tra Cagliari e
Oristano si oscilla tra 92 e 130 centimetri. A Taranto si va da 90 a 125
centimetri. A rischio anche la foce del Tevere, la Versilia, le saline
di Trapani, la piana di Catania.
«La risalita delle acque è uno dei fenomeni che sono stati più a lungo
sottovalutati», aggiunge Stefano Caserini, docente di mitigazione dei
cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. «Erano 0,9 millimetri
l’anno nel 1920, 2 millimetri nel 1990, ora sono più di 3 millimetri
l’anno. E il vero problema è l’inerzia del sistema atmosfera-oceani: dal
momento in cui riusciremo a fermare le emissioni serra dovremo
aspettarci una risalita dei mari e delle temperature che durerà decenni.
Purtroppo gli studi degli ultimi tre anni danno un quadro della
situazione molto più grave di quanto si riteneva: nell’arco di alcuni
secoli si potrebbe verificare un aumento del livello dei mari di 4 metri
a causa della fusione dei ghiacci antartici».
Ma il cambiamento climatico — precisa un altro studio Enea pubblicato su
Nature Scientific Reports — accelererebbe anche la spinta verso la
desertificazione che colpirebbe in particolare le regioni meridionali.
Il clima del Sud Italia diventerebbe quello del Nord Africa, con estati e
inverni sempre più aridi e secchi e una crescente carenza di acqua che
determinerà il progressivo inaridimento dei suoli, con ripercussioni che
vanno dalla salute all’agricoltura. Se il Sud Italia rischia di avere
un clima nordafricano, il Nord Europa tenderà a «mediterraneizzarsi »;
in particolare Europa nord-occidentale, Gran Bretagna e Scandinavia
avranno estati molto più secche ed inverni più piovosi rispetto a oggi.
Le proiezioni realizzate attraverso i modelli climatici mostrano che le
aree mediterranee si espanderanno anche verso le regioni europee
continentali, coinvolgendo i Balcani settentrionali e la parte
sud-occidentale di Russia, Ucraina e Kazakistan, dove prevarrà un clima
sempre più mite con un aumento delle temperature invernali. Lo stesso
fenomeno potrebbe interessare il Nord America, in particolare nella
parte nord occidentale.
Istruzioni per l’uso del clima impazzito
Nei prossimi anni cambierà la nostra vita ecco come difendersi
di Jared Diamon Repubblica 4.12.15
I CAMBIAMENTI climatici globali sono una delle forze che condizioneranno
maggiormente la vita di tutti gli esseri umani che vivranno nei
prossimi decenni. Quasi tutti ne hanno sentito parlare, ma è una materia
così complicata e ricca di paradossi che poche persone, al di fuori
degli addetti ai lavori, la capiscono davvero. Cercherò di spiegarla nel
modo più chiaro possibile, con l’aiuto di un diagramma di flusso della
catena di causa/effetto, che può essere usato per seguire la mia
spiegazione.
Il punto di partenza è la popolazione mondiale di esseri umani e
l’impatto medio di ciascun essere umano (cioè la quantità media di
risorse consumate e scarti prodotti per persona e per anno). Tutte
queste quantità stanno aumentando, anno dopo anno, e di conseguenza sta
aumentando l’impatto umano complessivo sul pianeta: l’impatto pro
capite, moltiplicato per il numero di persone che ci sono al mondo, dà
come risultato l’impatto complessivo.
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UNO scarto importante è il biossido di carbonio o anidride carbonica
(abbreviato in CO2), che provoca i cambiamenti climatici quando viene
rilasciato nell’atmosfera, principalmente a causa del nostro consumo di
combustibili fossili. Il secondo gas più importante all’origine dei
cambiamenti climatici è il metano, che esiste in quantità molto più
ridotte e al momento rappresenta un problema meno grave della CO2, ma
che potrebbe diventare importante per effetto di un anello di
retroazione positiva: il riscaldamento globale scioglie il permafrost,
che rilascia metano, che provoca ancora più riscaldamento, che rilascia
ancora più metano e così via.
L’effetto primario della CO2, quello di cui più si discute, è la sua
azione di gas a effetto serra. Significa che la CO2 assorbe una parte
delle radiazioni a infrarossi della Terra, facendo crescere la
temperatura dell’atmosfera. Ma ci sono altri due effetti primari del
rilascio di CO2 nell’atmosfera. Uno è che la CO2 che produciamo viene
immagazzinata anche dagli oceani, non solo dall’atmosfera. L’acido
carbonico che ne risulta fa aumentare l’acidità degli oceani, che già
adesso è al livello più alto negli ultimi 15 milioni di anni. Questo
processo scioglie lo scheletro dei coralli uccidendo le barriere
coralline, che sono un vivaio di riproduzione per i pesci dell’oceano e
proteggono le coste delle regioni tropicali e subtropicali da onde e
tsunami. Attualmente, le barriere coralline del mondo si stanno
riducendo dell’1-2 per cento ogni anno, il che significa che alla fine
di questo secolo saranno in gran parte scomparse. L’altro effetto
primario del rilascio di CO2 è che influenza direttamente (in modo
positivo o negativo) la crescita delle piante.
L’effetto del rilascio di CO2 di cui più si discute, in ogni caso, è
quello che ho citato per primo: il riscaldamento dell’atmosfera. È
quello che chiamiamo «riscaldamento globale», ma l’effetto è talmente
complesso che questa definizione è inadeguata: è preferibile
«cambiamenti climatici globali ». Innanzitutto, le catene di causa ed
effetto fanno sì che il riscaldamento atmosferico finirà,
paradossalmente, per rendere alcune aree di terre emerse (fra cui il
Sudovest degli Stati Uniti) più fredde, anche se la maggior parte delle
regioni (fra cui quasi tutto il resto degli Stati Uniti) diventerà più
calda. In secondo luogo, un’altra tendenza è l’incremento della
variabilità del clima: tempeste e inondazioni sono in aumento, i picchi
di caldo stanno diventando più caldi e i picchi di freddo più freddi;
questo spinge quei politici scettici che non capiscono nulla dei
cambiamenti climatici a pensare che tali fenomeni siano la prova che i
cambiamenti climatici non esistono. In terzo luogo, c’è l’aspetto dello
sfasamento temporale: gli oceani immagazzinano e rilasciano CO2 molto
lentamente, tanto che se stanotte tutti gli esseri umani sulla Terra
morissero o smettessero di bruciare combustibili fossili, l’atmosfera
continuerebbe comunque a riscaldarsi ancora per molti decenni. Infine,
c’è il rischio di effetti amplificatori non lineari di vasta portata,
che potrebbero provocare un riscaldamento del pianeta molto più rapido
delle attuali, prudenti proiezioni. Fra questi effetti amplificatori c’è
lo scioglimento del permafrost e il possibile collasso delle calotte di
ghiaccio dell’Antartide e della Groenlandia.
Venendo alle conseguenze della tendenza al riscaldamento medio del
pianeta, ne citerò quattro. La più evidente per molte parti del mondo è
la siccità. Per esempio nella mia città, Los Angeles, questo è l’anno
più secco della storia da quando si sono cominciati a raccogliere i dati
meteorologici, nel primo decennio dell’Ottocento. La siccità è un
problema per l’agricoltura. Le siccità causate dai cambiamenti climatici
globali sono distribuite in modo disuguale nel pianeta: le aree più
colpite sono il Nordamerica, il Mediterraneo e il Medio Oriente,
l’Africa, le terre agricole dell’Australia meridionale e l’Himalaya.
Una seconda conseguenza della tendenza al riscaldamento medio del
pianeta è il calo della produzione alimentare, per la siccità e
paradossalmente per l’aumento delle temperature sulla terraferma, che
può favorire più la crescita delle erbe infestanti che la crescita di
prodotti destinati al consumo alimentare. Il calo della produzione
alimentare è un problema perché la popolazione umana e il tenore di vita
del pianeta, e di conseguenza il consumo di cibo, stanno aumentando
(del 50 per cento nei prossimi decenni secondo le previsioni): ma già
adesso abbiamo un problema di cibo, con miliardi di persone denutrite.
Una terza conseguenza del riscaldamento del pianeta è che gli insetti
portatori di malattie tropicali si stanno spostando nelle zone
temperate. Fra i problemi sanitari conseguenza di questo fenomeno al
momento possiamo citare la trasmissione della febbre dengue e la
diffusione di malattie portate dalle zecche negli Stati Uniti, lo sbarco
della febbre tropicale Chikungunya in Europa e la diffusione della
malaria e dell’encefalite virale.
L’ultima conseguenza del riscaldamento medio globale che voglio citare è
l’innalzamento del livello dei mari. Stime prudenti al riguardo
prevedono che il livello dei mari salirà nel corso di questo secolo di
circa un metro, ma in passato i mari sono saliti anche di dieci metri:
la principale incertezza in questo momento riguarda il possibile
collasso e scioglimento delle calotte di ghiaccio dell’Antartide e della
Groenlandia. Ma anche un aumento medio di solo un metro, amplificato da
tempeste e maree, sarebbe sufficiente a compromettere la vivibilità
della Florida, dei Paesi Bassi, dei bassopiani del Bangladesh e di molti
altri luoghi densamente popolati. Gli amici a volte mi chiedono se i
cambiamenti climatici stiano avendo qualche effetto positivo per le
società umane. Sì, qualche effetto positivo c’è, per esempio la
prospettiva di aprire rotte navali sgombre dai ghiacci nell’estremo
Nord, per lo scioglimento dei ghiacci artici, e forse l’incremento della
produzione di grano nella wheat belt del Canada meridionale e in
qualche altra area. Ma la stragrande maggioranza degli effetti sono
enormemente negativi per noi.
Ci sono rimedi tecnologici rapidi per questi problemi? Forse avrete
sentito parlare di ipotesi di geoingegneria, per esempio iniettare
particelle nell’atmosfera o estrarre CO2 dall’atmosfera per
raffreddarla. Ma non esiste nessun approccio geoingegneristico già
sperimentato e che funzioni con certezza; inoltre gli approcci proposti
sono molto costosi e sicuramente richiederanno molto tempo e
provocheranno effetti collaterali negativi imprevisti, tanto che
dovremmo distruggere la Terra sperimentalmente dieci volte prima di
poter sperare che la geoingegneria, all’undicesimo tentativo, produca
esattamente gli effetti positivi desiderati. È per questo la maggior
parte degli scienziati considera gli esperimenti geoingegneristici
qualcosa di pericolosissimo, da evitare a tutti i costi.
Significa che il futuro della civiltà umana è segnato e che i nostri
figli vivranno certamente in un mondo in cui non vale la pena di vivere?
No, naturalmente no. I cambiamenti climatici sono provocati
principalmente dalle attività umane, perciò tutto quello che dobbiamo
fare per ridurli è ridurre queste attività. Vuol dire bruciare meno
combustibili fossili e ricavare una fetta maggiore della nostra energia
da fonti rinnovabili come il nucleare, il vento e il sole. Se anche solo
Stati Uniti e Cina raggiungessero un accordo bilaterale sulle emissioni
di CO2, coprirebbe il 41 per cento delle emissioni attuali. Se
l’accordo diventasse pentalaterale, con l’adesione dell’Unione Europea,
dell’India e del Giappone, coprirebbe il 60 per cento delle emissioni
mondiali. L’ostacolo è solo uno: la mancanza di volontà politica.
Il premio Pulitzer Jared Diamond è professore di geografia
all’Università della California. Ha scritto, tra gli altri, “ Da te solo
a tutto il mondo”, “ Collasso” e “ Armi, acciaio e malattie” ( Einaudi)
Questo articolo è uscito su Le Monde ( traduzione di Fabio Galimberti)
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