Risvolto
Il Giappone appare come un luogo di scambi e mescolanze, ma anche come un alambicco che distilla un'essenza più rara e sottile delle sostanze trasportate dalle correnti della storia".
"È un Levi-Strauss innamorato profondamente della civiltà giapponese quello che i lettori ritrovano in questo volume che raccoglie testi scritti tra il 1979 e il 2001. Molto sappiamo delle antiche civiltà egizia, greca e romana ma ancora pochissimo delle tradizioni e i costumi delle popolazioni delle isole nipponiche. Levi-Strauss ci mostra come il Giappone sia stato e sia un ponte culturale tra l'Europa e l'area del Pacifico, conducendoci attraverso fatti storici, miti e abitudini di una terra lontana.
Il Giappone a rovescio dove si sale a cavallo da destra
I cinque viaggi orientali del grande antropologo in una civiltà che usa gesti opposti rispetto alla Francia
Marco Belpoliti Tuttolibri 5 12 2015
Tra il 1977 e il 1988 Claude Lévi-Strauss visitò il Giappone cinque volte. Vi tenne varie conferenze e si dedicò all’esplorazione di quel paese nei momenti liberi dagli incontri pubblici. S’interessò in particolare all’attività degli artigiani e ai loro metodi di lavoro. Non era il primo intellettuale francese cui interessava così tanto il paese del Sol Levante. Roland Barthes ci ha lasciato uno straordinario resoconto del suo viaggio in Giappone, L’impero dei segni, e anche Michel Foucault aveva avvertito il fascino di quella civiltà fondata sulle maschere, il culto del rituale e della negazione di sé, come ricorda Patrik Wilcken nella biografia dell’antropologo, Il poeta in laboratorio (il Saggiatore).
Per Lévi-Strauss, attento a cogliere analogie e permanenze, il Giappone appare l’esatto opposto della Francia, il suo rovescio. Nelle interviste e negli interventi pubblici, ora raccolti in L’altra faccia della Luna. Scritti sul Giappone (tr.it di S. Facioni) rimarca come i gesti del lavoro siano inversi rispetto a quelli operati nella sua Francia: sarte e sarti invece di spingere il filo nella cruna dell’ago indirizzano la cruna sul filo che resta fermo, i falegnami usano la sega tirandola verso di sé, e non spingendola, e la stessa cosa fanno con la pialla; anche il modo di salire a cavallo appare è inverso: nel Giappone antico si saliva da destra e si faceva entrare l’animale nella stalla all’indietro.
Un’altra cosa che lo colpisce è «l’arte dell’imperfetto» che si manifesta nella ceramica raku e in molti aspetti estetici di quella civiltà. L’Occidente, dichiara, è centripeto, il Giappone centripeto. Caso raro tra i pensatori del XX secolo, il padre della antropologia strutturale ha evitato lo scoglio dell’eurocentrismo e in questi resoconti e conferenze giapponesi affronta alcune fondamentali questioni attuali. Lo conferma un altro recente volume, Siamo tutti cannibali (tr.it. di R. Ferrara, il Mulino, pp. 166, € 14), curato da Marino Niola, cui si deve la limpida e utile prefazione. Si tratta della raccolta di una serie d’interventi pubblicati sul quotidiano «La Repubblica» tra il 1989 e il 2000 quando l’antropologo aveva già ottant’anni, legati a fatti di cronaca, o almeno sollecitati da avvenimenti contemporanei come la mucca pazza, la morte di Diana Spencer, le discussioni sui gender studies, la sessualità femminile, l’organizzazione famigliare, il pensiero scientifico, il tipo di sviluppo possibile e altro ancora.
Coloro che oggi discutono intorno al «matrimonio omosessuale» dovrebbero leggere le pagine che Lévi-Strauss dedica alla struttura delle famiglie, dove cita casi esemplari tratti dallo studio di popolazioni extraeuropee. Contrariamente a quello che si ritiene, scrive, non è la consanguineità a fondare la famiglia. Ci sono società in cui questa è composta da fratello e sorella e nessun padre: tutti i figli avuti dalla donna con partner diversi ne fanno integralmente parte. O altre società in cui la donna sterile può essere considerata un uomo e sposare una donna allevando con lei i suoi figli. Altre società aboliscono la categoria del marito, e si affidano ad altre forme di struttura escludendo quella biologica, puntando piuttosto su quella sociale.
Detto questo, Lévi-Strauss, da vecchio saggio, sottolinea come sia necessario per ogni società attenersi ai valori su cui è costruita: «Il nostro sistema di valori, che va rispettato come qualunque altro, sarebbe profondamente compromesso se, sullo stesso suolo, potessero esistere liberamente usanze percepite come incompatibili». Così scrive esaminando il problema della escissione del clitoride attuata sul suolo francese insieme alla procreazione assistita. Discorsi complessi, ma resi chiari ed evidenti da una prosa limpida e cartesiana; invita i legislatori a non aver fretta, a riflettere bene prima di legiferare. La sua idea, tratta dalla permanenza presso i Bororo del Brasile negli anni Trenta, come dai viaggi in Giappone quarant’anni dopo, è che la nascita di una civiltà mondiale rende molto duro lo scontro tra le differenze esterne e nel contempo incentiva anche quelle interne che vanno esplodendo. Il suo lascito ironico in questo contesto è: «gli etnologi avranno pane per i loro denti». Osservazione molto vera, quanto disattesa.
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