Scene da un abisso il racconto del Male in cerca d’autore FRANCO MARCOALDI Repubblica 3 1 2016
Basta leggere le prime righe del romanzo di Sandor Weltmann, Città di mare con nebbia, per capire cosa ci attende: «Come è triste, la sera, l’estuario del fiume, quando i vapori delle acque, sipario immobile e lugubre, nascondono alla vista ogni cosa». Altrettanto indicativa è la copertina del libro, che riprende un particolare del quadro Chiaro di luna sul mare del pittore romantico Caspar David Friedrich. Senza contare, infine, la ripetuta citazione dell’Isola dei morti di Böklin: «Fu in una sera così, nel tempo che i padri dei nostri padri erano giovani, che una barca misteriosa, stretta, lunga, nera come una gondola, come una bara, scivolò silenziosa verso il mare». Abbiamo letto appena due pagine e già siamo finiti mani e piedi dentro un’atmosfera gotica, nordica, cupa — dove il fantastico e l’orrore regnano sovrani, muovendosi nell’impalpabilità nebbiosa di una indefinita località affacciata sul mar Baltico. È l’inverno del 1888 e una rapida successione di eventi terribili e inspiegabili — commenta Veidt, il capo della polizia — tiene «questa nostra povera città sotto l’ombra della paura». Come potrebbe essere altrimenti? Nella cappella della cattedrale sono state rivenute «le carogne decapitate di sette ratti di chiavica disposte a raggiera ». Svariati cittadini, con il petto squarciato, sono stati trovati per strada in un lago di sangue. Giovani vergini fanno sogni funesti e premonitori, mentre una mano sconosciuta continua a strappare il cuore di corvi e gabbiani.
I maggiorenti della città cercano di venire a capo di questo incubo senza soluzione, via via che alcune ombre fuoriescono a stento dalla nebbia e prendono corpo: una specie di nano di rara possanza fisica, giovani gitani vestiti d’arancione, il vecchio barone Bajazzo dal volto grifagno. Infine, ecco affacciarsi il mostro, la bestia, l’indefinibile creatura demoniaca che qualcuno ha risvegliato e che ora reclama di essere nutrita, col sangue. «Perché se uno crede all’Abisso, e lo invoca, già perciò stesso l’Abisso esiste».
Come nella migliore tradizione degli Hoffmann e dei Poe, in questa nera vicenda sul Male (misterioso, assoluto, inafferrabile) nulla è chiaro, eppure tutto è pertinente. Nulla segue la nostra lineare logica diurna, ma fitta e cogente è la trama di rimandi notturni di ordine simbolico, misteriosofico, occultista, che vengono ripresi con sapienza nella postfazione di Hans Tuzzi, il quale compare qui come traduttore e curatore del volume. A meno che non sia il segreto demiurgo di una storia che pare tagliata su misura per lui — raffinato bibliofilo attratto dall’uso di pseudonimi, scrittore di gialli, amante dei giochi di specchi e mise en abyme. Tutti elementi che giocano un ruolo decisivo in questa misteriosa vicenda. L’identità dell’autore (Sandor Weltmann) rimane infatti oscura, essendo quel nome nient’altro che «la maschera di una maschera», una delle «tante false identità» del Mabuse di Fritz Lang. Quanto al romanzo, la sua pubblicazione italiana sarebbe dovuta a un rocambolesco ritrovamento del curatore nella biblioteca di una signora tedesca. E il gioco di specchi non finisce qui, visto che in avvio della storia a parlarci è una voce che a sua volta fa riferimento a un altro ritrovamento, di un altro manoscritto, da cui tutto ha preso piede: «La veridica relazione degli strani eventi accaduti nella nostra città l’inverno 1888».
Resterebbe infine da dire qualcosa sui dotti rimandi di Tuzzi alle infinite citazioni sottotraccia presenti nel romanzo: il Pessoa dedito all’occultismo, il «budino agli amaretti » così frequente in casa Buddenbrook, il cinema espressionista tedesco. Un libro nel libro, per l’appunto. Un labirinto di ingegnosi stratagemmi letterari.
Ma tutto questo viene dopo, leggendo la postfazione del curatore. Prima, per il lettore, è garantito il brivido di una storia di nebbie, orrori e fantasmi. Una storia sulla Bestia, l’Ombra e il Male: folle, eppure plausibile. Perché folle può essere la fantasia umana, a maggior ragione nei frangenti storici più bui.
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