domenica 20 marzo 2016

Game over: lo spazio politico a sinistra del PD si è prosciugato per una lunga fase. Non c'è alternativa a 20 anni di lavoro oscuro e ingrato




Sondaggio Ipsos impietoso con chi spera nella scissione
La sinistra radicale non convince gli elettori. Ipotetica formazione nata da scissione si fermerebbe sotto il 9%

L’Huffington Post 20.3.16


Solo un elettore di Pd su dieci crede che ci sarà la scissione 
La sinistra radicale non sfonda: se nascesse una formazione si fermerebbe sotto al 9% 

di Nando Pagnoncelli Corroere
Il tema dello spazio politico a sinistra del Pd è da tempo presente nel dibattito politico. Renzi e la sua modalità di condurre l’azione di governo e di gestire il partito, le sue scelte spesso criticate da quell’area hanno provocato un progressivo e in qualche caso risentito allontanamento della minoranza pd (non di tutta). È un pezzo di ceto politico che ha avuto un ruolo rilevante nella storia recente, ma non solo, del Paese, spesso proveniente dalla tradizione postcomunista. Oggi quel ceto vede fortemente ridimensionato il proprio ruolo. 


Le linee di frattura
Numerose sono le linee di frattura tra minoranza e maggioranza del Pd: dal Jobs act alla scuola, dalla riforma del Senato a quella elettorale, tutti i principali atti di governo sono stati criticati e a fatica sostenuti dalla sinistra. La scorsa settimana c’è stato un incontro a San Martino in Campo, in Umbria, in cui la minoranza ha cercato di definire il proprio posizionamento nel Pd. Convegno preceduto da un’intervista fortemente critica di Massimo D’Alema su questo giornale, anche se l’ex premier ha poi negato che essa preannunciasse ipotesi di scissione. Tuttavia abbiamo voluto testare l’impatto di una possibile forza di sinistra alimentata anche dalla minoranza proveniente dal Pd. 
Uno su cinque immagina la scissione
La previsione di una scissione è molto contenuta: solo il 19% degli intervistati la accredita. Lo fanno soprattutto gli elettorati lontani dal Pd, mentre gli elettori di questo partito sono profondamente scettici: solo il 12% vede all’orizzonte questa possibilità. Ammesso che questa scissione si verifichi, emergono diffusi dubbi sulle effettive potenzialità elettorali di una nuova forza che aggreghi la sinistra. Solo per il 13% potrebbe raccogliere una messe importante di voti dai delusi di Renzi. Un terzo pensa che forse la scissione potrebbe portare qualche voto in più rispetto a quelli già consolidati dalla sinistra (lo credono un po’ di più gli elettori del Pd), mentre altrettanti sono certi che un’operazione di questo genere è destinata a non avere risultati di sorta. 
Lo spazio a sinistra
Che oramai lo spazio a sinistra si sia sensibilmente ridotto è confermato anche dai dati relativi alla simpatia che una formazione di questo genere riscuoterebbe tra gli elettori. Oggi solo il 6% degli intervistati guarderebbe con consistente simpatia a un’operazione simile. Una percentuale dimezzata rispetto al gennaio 2015, che segnò la vittoria di Tsipras in Grecia e inferiore anche alla simpatia suscitata dalla presentazione della coalizione sociale di Landini, esattamente un anno fa. Anche il gruppo che guarderebbe con qualche simpatia a questa realtà si contrae: oggi è il 17% contro il 31% degli inizi di gennaio. Non cresce il rifiuto netto: la percentuale degli apertamente antipatizzanti (47%) non è molto diversa dalle rilevazioni precedenti. Cresce il «non so», che manifesta freddezza. L’elettorato pd mostra qualche simpatia in più, ma nessuna passione: la percentuale di chi esprime molta simpatia è all’8%, nella media, mentre cresce il numero di chi guarda con qualche attenzione. 
Tra astensione e M5S
È quindi basso l’appeal elettorale di una forza che nascesse dalla scissione a sinistra del Pd: il 2% dichiara che la voterebbe sicuramente, il 7% potrebbe farlo. Convertire in voto effettivo questa probabilità non è affatto facile: sostanzialmente un bacino potenziale del 9%, che si dimezza o più all’atto del voto. Il perimetro del consenso della sinistra in questi ultimi anni, senza segnali di allargamento. La sinistra oggi ha uno spazio limitato nel Paese. Da un lato chi è uscito a sinistra dal Pd difficilmente ha poi deciso effettivamente di votare una forza di sinistra. Molti si sono rifugiati nell’astensione, una parte ha deciso di dare il voto ai 5 Stelle. Dall’altro lato se l’insofferenza verso Renzi è molto chiara, non altrettanto sono i programmi politici conseguenti. Il dibattito appare molto chiuso nel ceto politico. E non conquista elettori.

Undici occasioni più una
L'assemlea. «Una primavera per la democrazia», dai temi istituzionali a quelli sociali. Legge elettorale, scuola, estrazioni, ambiente, lavoro. Parte la stagione referendaria. Da aprile a luglio, si aprono i banchetti per raccogliere le firme. Rodotà: democrazia da rivitalizzare, finalmente una chance di Andrea Fabozzi il manifesto 19.3.16
All’assemblea di Roma che riunisce il nuovo movimento referendario circolano già i moduli per i due quesiti abrogativi dell’Italicum – capilista bloccati e premio di maggioranza -, sono pronti ma non saranno portati nelle cancellerie dei tribunali prima dell’inizio di aprile. La «primavera per la democrazia», slogan che comprendere tutte le iniziative referendarie contro le principali «riforme» renziane, è così articolata da richiedere uno sforzo di coordinamento, ora che è giunta a un passo dalla partenza.
Tre mesi dal giorno in cui i moduli vengono «bollati» è il tempo che la legge del 1970 concede ai promotori per raccogliere le 500mila firme dei cittadini necessarie a chiedere i referendum abrogativi. L’idea è quella di partire nella prima settimana di aprile, possibilmente il 4, al più tardi il 9, per finire nei primi giorni di luglio. Ben nove referendum «sociali» dovrebbero aggiungersi ai due contro l’Italicum. Alcuni sono sicuri. Quattro quesiti contro la legge 107 sulla scuola: contro il preside manager, il bonus scuola, l’obbligo dell’alternanza scuola-lavoro e il potere discrezionale del preside di premiare economicamente i docenti; sono stati messi a punto dal movimento per la scuola pubblica e già depositati in Cassazione (giovedì). Depositato anche un referendum per l’opzione «trivelle zero», studiato da un gruppo di attivisti per lo più proveniente dalle regioni adriatiche e riuniti nella campagna «stop devastazioni» con la consulenza dell’ex giudice costituzionale Paolo Maddalena, agirebbe sulla legge del 1991 attuativa del piano energetico nazionale. Più indietro gli altri. Un referendum contro gli inceneritori e più precisamente l’articolo del decreto sblocca Italia con il quale nel 2014 i termovalorizzatori sono stati definiti «insediamenti strategici» rendendone facile la costruzione e il funzionamento. E infine tre possibili referendum contro il jobs act che dovrebbero essere annunciati lunedì dalla Cgil al termine della consultazione con i lavoratori. Non è detto che tutte le raccolte di firme riusciranno a partire contemporaneamente, né che tutti i promotori si impegneranno ugualmente su tutti i quesiti. Per esempio tra i promotori dei referendum sulla scuola non tutte le organizzazioni sono disposte a impegnarsi per i referendum contro l’Italicum. La Cgil non darà un’indicazione nazionale in favore di tutti i quesiti, ma lascerà liberi dirigenti e iscritti sul territorio di aderire alle varie raccolte di firme. Un po’ come sta accadendo, su un altro piano, per il referendum contro le trivellazioni entro le 12 miglia, quello del 17 aprile. A proposito del quale non è mancata qualche discussione tra i promotori dei nuovi referendum e il comitato No Triv, la cui rappresentante ha chiesto di non far partire la raccolta di firme proprio nei giorni in cui più intenso dovrebbe essere l’impegno finale per portare gli elettori alle urne del 17 aprile.
Non è stata ascoltata, meglio partire subito per evitare il rischio di dover raccogliere le ultime firme in estate ormai inoltrata. E poi i banchetti possono essere anche un veicolo di informazione e mobilitazione, tant’è che dalla seconda metà di aprile si aggiungerà anche la raccolta delle firme per la richiesta di referendum sulla riforma costituzionale. Questo referendum «confermativo», il solo nel quale si chiederà di votare No e per il quale non è previsto quorum, è l’unico che si terrà certamente entro la fine di quest’anno (gli altri, c’è da augurarselo, nel 2017) perché sarà richiesto dai parlamentari sia di maggioranza che (più ragionevolmente) di opposizione non appena il parlamento approverà la riforma. Auspicabile, ma assai difficile come ha spiegato il presidente del comitato del No Alessandro Pace, il frazionamento dei quesiti. Bisognerà invece votare sul complesso della riforma costituzionale che riscrive più di un terzo della Costituzione: prendere o lasciare. «Non voglio dire che questa campagna referendaria è la nostra ultima occasione – ha detto Stefano Rodotà – ma di certo è la prima che ci si presenta per rivitalizzare la democrazia e tentare una ricomposizione sociale». E il segretario della Fiom Maurizio Landini ha sostenuto che «stiamo già pagando una restrizione degli spazi democratici, non si tratta di un rischio ma di una condizione attuale».

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