mercoledì 23 marzo 2016
Il colpo di scena situazionista di Umberto Eco
Quando una parte politica nasce malriuscita e reattiva e deve criticare per pregiudizio non c'è niente da fare [SGA].
Nelle sue ultime volontà, lo scrittore e semiologo “vieta” i convegni sulla sua opera: "Un'idea geniale"
22 marzo 2016
Nel testamento dello scrittore la sorpresa per il mondo accademico
Lucio Di Marzo - Mar, 22/03/2016
La vanità misantropa del professor Eco che vieta i convegni
23 mar 2016 Libero GIORDANO TEDOLDI RIPRODUZIONE RISERVATA
Di certo Umberto Eco, con la sua vasta e, a dir la verità, esibita erudizione, conosceva Thomas Bernhard, lo scrittore e drammaturgo austriaco che disse: «Non c’è nulla da celebrare, nulla da condannare, nulla da denunciare, ma c’è solo da ridere, tutto è ridicolo quando si pensa alla morte». Bernhard fu così fedele a questo credo da vietare, nel suo testamento, ogni pubblicazione, rappresentazione, o lettura pubblica delle sue opere, in territorio austriaco, per la durata dei diritti d’autore. Era disgustato all’idea di come i suoi lavori e la sua memoria avrebbero potuto essere manipolati dai detestati compatrioti.
Eco non è stato così radicale, ma con eguale spirito antiretorico, e sconcertando i colleghi accademici, nel suo testamento impone di non promuovere né autorizzare convegni a lui dedicati per dieci anni. Una decisione che può avere una spiegazione, come sosteneva Ilaria Venturi su Repubblica (edizione Bologna), in quanto Eco scrisse in una “Bustina di Minerva”: «C’è da considerare, almeno per rispetto alle persone defunte, che intitolare a qualcuno una strada è il modo per condannarlo alla pubblica dimenticanza e a un fragoroso anonimato». Ma l’idea del professor Eco che, per vanità, stabilisce di vietare convegni sulla sua figura, allo scopo di essere meglio ricordato in futuro, e dunque di farsi da parte ora per essere ancora più al centro del dibattito dopo, ci intristisce un po’, ci sembra sì una goliardata, in linea col suo gusto del paradosso, ma in fondo un desiderio fatuo.
Vogliamo credere che Eco, dietro i suoi funambolismi culturali, le sue passeggiate interdisciplinari un po’ scapestrate, mantenesse un fondo di gravità, di serietà persino tragica, quello stesso atteggiamento, additato a volte come crudele severità, che viene testimoniato da alcuni suoi allievi, i quali stentavano, a lezione, a riconoscere quel santino di bonario Aristotele della società di massa, che lui stesso, e soprattutto i suoi amici, divulgavano. Insomma, nella decisione di Eco vediamo più di un sintomo della misantropia, che è qualità misteriosa e spesso accompagnata al genio, e un esorcismo contro l’enfasi indistinta delle celebrazioni, che inevitabilmente avvicinano - troppo - celebrante e celebrato, mettendoli quasi sullo stesso piano. «Io ero un’altra cosa da voi», sembra dire dall’Aldilà Eco a colleghi e discepoli. E quindi si attendano 10 anni, altre generazioni potranno parlare di me. Uno scherzo molto serio, per l’addio.
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