domenica 20 marzo 2016

Antistatalismo autolesionistico di sinistra con spunti trotzkisti: neoliberalismo come neoburocrazia secondo Graeber

BurocraziaDavid Graeber: Burocrazia, Saggiagtore

Risvolto
Siamo sommersi dalle scartoffie. Bollette, multe, moduli per l’iscrizione in palestra: è l’età della burocratizzazione totale. Ma come ci siamo arrivati? Di solito si pensa che la deregolamentazione sia un cambiamento positivo: meno lungaggini e meno regole che soffocano l’innovazione, il commercio e l’iniziativa individuale. E invece le riforme volte alla liberalizzazione del mercato e alla riduzione della burocrazia incrementano esponenzialmente le norme da interpretare, i moduli da riempire e le code da sopportare.
La cultura burocratico-aziendale, nata nel mondo della finanza americana degli anni settanta, ha progressivamente invaso gli uffici pubblici, le università, ogni ambito della vita quotidiana. Il potere pubblico si è alleato con l’interesse privato e si è fatto strumento di un sistema sempre più arbitrario, che usa la lingua della razionalità e dell’efficienza per nascondere obiettivi irrazionali: estrarre ricchezza per il profitto dei privati.
Ma c’è un problema ulteriore: perché le regole ci attraggono? I rapporti burocratici – freddi, meccanici e impersonali – sono anche facili e prevedibili, e ci offrono l’opportunità unica di sperimentare situazioni in cui tutta l’ambiguità e la complessità della vita – la comprensione delle dinamiche di una discussione in famiglia o di una rivalità sul lavoro – vengono spazzate via. È l’utopia delle regole. Il motivo ultimo e nascosto del fascino della burocrazia è la paura della libertà. Come immaginare, dunque, una società davvero libera?
Dopo Debito, pubblicato dal Saggiatore e già diventato un classico, David Graeber spiega le ragioni profonde della nostra ambiguità nei confronti della burocrazia e delle regole, a cui non riusciamo a sottrarci nonostante la loro evidente stupidità. O forse proprio per questo.

David Graeber (1961) ha insegnato a Yale e ora è professore di Antropologia alla London School of Economics. Il Saggiatore ha pubblicato Debito (2012) e Progetto democrazia (2014).
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"Oltre il potere e la burocrazia" di David Graeber Elèuthera, 127 pp., 12 euro
Foglio 09 Marzo 2014 

Elena Molinari Avenire 18 novembre 2015

Quel mostro planetario che chiamano burocrazia 
FRANCESCA BOLINO Restampa 20 3 2016
Pensavate che fossero l’economia, la politica, o magari l’amore. No, la forza che tiene insieme il mondo è la burocrazia. Anche se non ci piace ricordarlo, essa influenza ogni aspetto della nostra esistenza, anzi è «l’aria che respiriamo». David Graeber, antropologo con cattedra a Yale fino al 2005 (quando le venne tolta per evidenti ragioni politiche) è stato militante di Occupy Wall Street. In questo saggio rovescia molti luoghi comuni della burocrazia salvo uno: quello di un’entità soffocante e impunita, con capacità di autodifesa e autoriproduzione contro le quali nessun governo né movimenti antagonisti hanno mai potuto far nulla. Anche perché, a sorpresa, nella burocrazia Graeber scopre un fascino sinistro: «La burocrazia ci incanta quando diventa una sorta di tecnologia poetica». In Germania lo Stato nazione è stato creato dalle Poste, ammirate da Mark Twain e da Lenin, al punto che l’Urss venne modellata sul servizio postale tedesco. Ed è il caso di Internet, nato per riprodurre il sistema postale con l’efficienza consentita dalla tecnologia digitale. Anche i giochi sono un’utopia delle regole. Perduta l’illusoria battaglia degli anni Sessanta contro il conformismo dello Stato sociale, la burocrazia diventa il rifugio della sinistra moderata in difesa di quel che resta dello stato sociale con tanti saluti alla convivialità spontanea cui tendevano le antiche battaglie. Diceva Max Weber: «Ogni burocrazia si adopera per rafforzare la superiorità della sua posizione mantenendo segrete le sue informazioni e le sue intenzioni. L’amministrazione burocratica tende sempre ad essere un’amministrazione di sedute segrete». Inventore dello slogan «Siamo il 99 per cento», Graeber racconta come simbolico l’assedio del World Trade Meeting di Seattle nel 1999: «Abbiamo portato alla luce un mondo che doveva rimanere nascosto, una vasta burocrazia internazionale di organizzazioni intrecciate l’una con l’altra. Era la dimostrazione che tutto ciò che ci era stato raccontato sulla globalizzazione era una bugia: non un processo naturale di liberi scambi globali, ma la consapevole realizzazione del primo sistema amministrativo burocratico su scala planetaria».
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La macchina estrattiva di David Graeber 
TEMPI PRESENTI. Si moltiplicano dispositivi istituzionali e apparati normativi; l’intersezione tra capitalismo e cooptazione è ormai chiaro. «Burocrazia», dell’antropologo anarchico David Graeber, per il Saggiatore. Regole e mercato non sono antitetiche, corrispondono invece a una strategia neoliberista precisa
Massimiliano Guareschi Manifesto 28.4.2016, 0:30 
La polemica nei confronti della burocrazia è un luogo classico dell’apologetica vetero e neoliberista. All’interno di quelle narrazioni, il ricorso ai meccanismi decentrati del mercato, alla loro razionalità orientata alla concorrenza e all’efficienza, costituirebbe il naturale antidoto alla superfetazione di scartoffie e procedure in cui risiederebbe l’essenza paralizzante dello statalismo. La realtà che ci consegnano gli ultimi decenni, trascorsi all’insegna del new public management e dell’assunzione dell’azienda come modalità organizzativa universale è ben diversa. 
Un lessico mefitico 
E così come le cosiddette deregulation si traducono immancabilmente in un incremento dei quadri normativi e delle tipologie contrattuali (si veda, in proposito, il mercato del lavoro), le politiche volte allo snellimento e alla semplificazione sono notoriamente sinonimo di complessificazione delle procedure, di introduzione di nuovi livelli di controllo, di proliferazione pratiche di auto ed eterovalutazione.
Si tratta di un dato ben noto, per esempio, a chi lavora nel comparto istruzione, dalle scuole alle università. Nella quotidianità del docente, lo spazio dedicato all’insegnamento o alla ricerca è sempre più eroso dall’incremento del lavoro burocratico, dalla compilazione di moduli, cartacei o online, da esercitazioni a soggetto da eseguire rigorosamente nel mefitico lessico pedagogico-aziendalista fatto di obiettivi, competenze, step, qualità ecc. 
Al diritto amministrativo propriamente detto, con i suoi adempimenti, se ne aggiunge un altro, di origine privata, legato alla circolazione globale di benchmark, best practices, protocolli di iscrizione, normative Iso ecc. Non diversamente si presentano le cose nel settore privato, nonostante le pretese di razionalità ed efficienza miticamente giocate contro l’idolo negativo del pubblico. Del resto, la burocrazia non è certo monopolio degli apparati statali, come attesta la sua duplice genesi non solo pubblica ma anche privata, nello scenario delle grandi corporations. 
Regole ferree 
Il tema della burocrazia e della sua crescente invasività è al centro del recente volume di David Graeber The Utopia of Rules, tradotto da il Saggiatore con il titolo di Burocrazia (pp. 218, euro 21) e un discutibile sottotitolo da manuale di self-help: Perché le regole ci preseguitano e perché ci rendono felici. Si tratta di una tematica che permette all’antropologo anarchico, noto per la militanza in Occupy!, di tematizzare da un differente punto di vista rispetto al fortunato Debito. I primi 5000 anni i meccanismi estrattivi e di rendita di quel capitalismo contemporaneo troppo spesso semplicisticamente definito, con implicito riferimento al suo canone di autolegittimazione, in termini di neoliberismo.
La superfetazione burocratica, infatti, viene vista come una componente non accidentale ma strategicamente decisiva dei processi di cooptazione, alleanza e redistribuzione della ricchezza verso l’alto che caratterizzano la strutturazione globale della società dell’1 percento. 
Graeber apre con la sua analisi con l’enunciazione di una «regola ferrea del liberalismo», in base alla quale «qualsiasi iniziativa di governo volta a ridurre la burocrazia e a favorire le forze di mercato avrà l’effetto ultimo di incrementare il numero complessivo delle norme, la quantità complessiva delle pratiche cartacee e il numero dei burocrati». Da un simile punto di vista, mercato e burocrazia lungi dal costituire polarità antitetiche appaiono implicarsi reciprocamente. Contro la riduzione della società a sommatoria di contratti, il Durkheim di La divisione del lavoro sociale puntualizzava come «non tutto nel contratto sia contratto». Muovendosi sulla scia di quell’intuizione, Graeber evidenzia la proliferazione di dispositivi istituzionali e apparati normativi e valutativi che si accompagna alla consegna ai cosiddetti meccanismi della contrattazione individuale e della domanda-offerta di un crescente numero di ambiti di azione. 
Ogni contratto, infatti, fa riferimento a un formulario, a clausole, definizioni e quantificazioni, a diritti e doveri, ad autorità che si fanno garanti delle obbligazioni e ne sanzionano la violazione. Il fatto che oggi tali dispositivi non siano ascrivibili in maniera esclusiva o preponderante allo stato non deve indurre a pensare alla concretizzazione di uno scenario fatto solo di accordi individuali che si autoregolano. Al contrario, ci troviamo di fronte non a meno ma a più governo, anche se si deve registrare come la trama istituzionale e normativa chiamata a regolare le relazioni sociali e a consolidare i rapporti di forza promani in maniera crescente da soggetti privati o da autority di statuto anfibio, fra pubblico e privato. 
Snobismi critici 
Un’ulteriore regola del liberismo, secondo Graeber, vuole che «quando si comincia a parlare di libero mercato è buona norma guardarsi intorno e cercare l’uomo con la pistola». Il riferimento è all’accresciuto ricorso alla minaccia e alla coercizione che si accompagna all’ispessirsi del tessuto burocratico-normativo che costituisce il non paradossale portato delle tendenze alla «deregulation».
Nonostante la presenza capillare di telecamere e sistemi di sorveglianza, di guardie e vigilanti, si tratta di una tendenza in genere scarsamente percepita sia per la tendenza, in sede analitica, a sopravvalutare la funzione della componente «simbolica» nelle forme di esercizio del potere sia per il fatto che anche le funzioni repressive e preventive lungi dall’essere riconducibili monopolisticamente agli apparati di stato costituiscono il core business di soggetti imprenditoriali privati. Si potrebbe restare delusi dal libro di Graeber. 
Del resto, come ammette il suo stesso autore, il testo non ambisce al rango di trattazione esaustiva sul tema della burocrazia ma si propone il compito più limitato di segnalare l’urgenza teorica e politica di una tematica colpevolmente ignorata dal pensiero critico. Se la destra ha posto la mobilitazione antiburocratica, seppur mistificatoriamente, al centro della propria agenda, la sinistra non sarebbe stata in grado di proporre un approccio all’altezza dei tempi al fenomeno burocratico, oscillando fra la subalternità alle posizioni mercatiste e una difesa dello statalismo sempre più anacronistica. 
Violenza in figure 
Al fine di promuovere un dibattito sulla funzione della burocrazia nell’era della finanziarizzazione, l’antropologo newyorkese propone numerosi spunti di riflessione attraverso un procedere volutamente rapsodico in cui la dimensione microsociologica si ibrida con questioni più generali quali l’attitudine delle scienze sociali nei confronti del fenomeno burocratico, l’orientamento imposto allo sviluppo tecnologico dalla priorità attribuita alle esigenze di controllo e disciplinamento sociale, i «diritti di prelievo» acquisiti dagli attori in grado di ritagliarsi posizioni di gatekeeper, per esempio nell’ambito delle certificazioni e della valutazione, intercalate da costanti puntualizzazioni riguardo le vicende e le impasse dei movimenti degli ultimi decenni. 
Particolare spazio è dedicato alla lettura, alla luce della problematica del libro, di alcuni momenti significativi della cultura popolar-mediatica, da quelle figure all’intersezione fra burocrazia e violenza che sono il poliziotto, l’investigatore, la spia, fino all’immaginario fantasy o ai supereroi. Si tratta di un esercizio che in genere approda a esiti banali e scontati e che, invece, Graeber conduce con notevole arguzia senza mai perdere di vista il suo tema ispiratore. Sullo sfondo delle varie digressioni, infatti, emerge la questione, non solo teorica ma anche politica, della razionalità della burocrazia e il costante invito, teorico e politico, a coglierla nel decisivo contributo che essa offre, unitamente agli strumenti giuridici, finanziari e coercitivi, allo strutturarsi delle macchine estrattive del capitalismo contemporaneo.

David Graeber e il punto di fusione della gabbia d’acciaio 
Saggi. Un pamphlet di David Graeber critico con il neoliberismo e la «sinistra globale». In nome di uno «antistatalismo» programmatico. La burocrazia diventa flessibile e certifica la capacità del corpo sociale nel garantire la governance globale
Benedetto Vecchi  Manifesto 28.4.2016, 0:25 
Il primo link che il volume di David Graeber sulla Burocrazia (Il Saggiatore) produce è agli storici studi Max Weber sul tema, cioè quelle procedure messe in atto nella modernità per un buon governo della società. Weber ha usato l’immagine della gabbia d’acciaio, volta a stabilire norme e principi che imbrigliassero le passioni dei singoli e di quell’indistinto pulsare di interessi che si è soliti chiamare società civile. Ma se per il sociologo tedesco la burocrazia era un fattore limitante, eppure necessario della libertà, per l’antropologo britannico la gabbia d’acciaio non ha nulla di necessario. Quel che è evidente è la limitazione della capacità di autorganizzare il vivere in comune che caratterizza la specie umana. Per un libertario come Graeber questo è il punto di partenza e di arrivo della sua riflessione, come è evidente in tutti i suoi scritti, compreso il monumentale affresco storico sul Debito, sempre pubblicato da il Saggiatore. 
Ma se nel debito lo Stato, e le sue istituzioni, l’esempio afferiva alla capacità degli uomini e delle donne di regolare la loro vita in comune – fossero anche messe all’angolo in nome di un interesse di una parte della società a scapito della maggioranza della popolazione-, in questo ambizioso saggio sulla burocrazia Graeber punta l’indice contro l’incapacità della sinistra politica globale di fare propria la critica antiautoritaria, assumendo la difesa dello Stato e della sua burocrazia come tratto distintivo in nome di quella forma storica contingente di regolazione del conflitto tra capitale e lavoro vivo che è stato il welfare state. Chi invece ha prosperato nella critica antistatale è stato il pensiero conservatore neoliberista, che è diventato egemone ammaliando anche le burocrazie politiche dello schieramento avverso, cioè i partiti politici progressisti. 
Il punto di avvio della riflessione di Graeber è dunque polemico sia verso la sinistra che la destra. Per un verso, la difesa delle conquiste del movimento operaio è stata tradotta come conservazione di un assetto istituzionale. I conservatori neoliberisti, invece, hanno «giocato» a fare gli innovatori, puntando a demolire quella gabbia d’acciaio la cui necessità storica è venuta meno una volta che gli spiriti animali del mercato hanno conquistato il centro della scena. A suo tempo, Antonio Gramsci si dilungò parecchio sul sovversivismo delle classi dirigenti per spiegare la crescita del fascismo storico. Nell’era neoliberista, non c’è sovversivismo dall’alto, ma una banale eppur potente capacità dell’élite di mettere a nudo il potere coercitivo della burocrazia nel negare bisogni e desideri, indicando nel mercato il regno indiscusso non della necessità, bensì della libertà. 
Graeber ha molte frecce nel suo arco nel provare a cercare a demistificare l’assunto neoliberista del «meno stato». La più micidiale è la successione di esempi che costellano le pagine del suo libro, laddove emerge il fatto che con il neoliberismo la burocrazia non è diminuita, bensì aumentata, quasi a diventare proprio quella gabbia d’acciaio weberiana senza però nessuna aura della sua necessità: la burocrazia è solo potere di un gruppo sociale che «cattura» la ricchezza prodotta dalla cooperazione sociale. 
C’è nella riflessione dell’antropologo britannico un afflato polemico condivisibile, ma un eccesso di semplificazione che pregiudica l’intero impianto teorico. A partire da quell’evocazione della servitù volontaria che anima il corpo sociale quando vive in stato di precarietà. Più che servitù volontaria, la burocrazia contemporanea ha sì quella dimensione impersonale, astratta (le procedure da rispettare alla lettera), ma invece di funzionare come una tecnologia del controllo agisce come una governance che richiede più che un atto di servitù, l’attiva partecipazione del corpo sociale: i burocrati sono solo i guardiani di tale «cattura» da parte dell’élite della ricchezza socialmente prodotta. Il neoliberismo ha prodotto una superfetazione di norme, procedure tendenti a regolamentare l’insieme delle relazioni sociali: la burocrazia serve solo a regolamentare il loro funzionamento, a certificare l’adesione del corpo sociale alle procedure stabilite e a legittimare la loro modifica, promuovendo un’innovazione just in time di tali dispositivi al fine di garantire l’appropriazione privata della ricchezza da parte della élite. 
Nel libro di Graeber non vanno certo cercate analisi sulle classi sociali, né sul regime di accumulazione capitalista. La forza dell’esposizione di Burocrazia sta poggia semmai nelle pagine dove l’autore evidenzia contraddizioni, aporie tra quanto afferma il mantra liberista sul ruolo negativo esercitato dallo stato e la sua traduzione operativa. È da questo punto di vista un pamphlet riuscito, da prendere in mano come antidoto all’ideologia dominante; e alle retoriche di uno statalismo ormai privo della sua base materiale. L’esito «antistatalista» del volume non scioglie alcuni nodi, infatti una volta distrutta la gabbia della burocrazia, il dispositivo da mettere in campo è la produzione di istituzioni che contemplino non l’assenza della burocrazia, bensì la sua revoca, la sua sottomissione alla cooperazione sociale che crea le sue istituzioni. In fondo la differenza tra una giocosa attitudine libertaria e quella altrettanto giocosa marxiana passa proprio sul cambiare la prospettiva rispetto il «fattore organizzazione»: per i libertari è il fine da evitare, per i marxiani è solo un mezzo.

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