TALMUD BABILONESE - Trattato Rosh haShanà, Giuntina
TALMUD dal rogo allo scaffaleANNA FOA Avvenire 5 aprile 2016
Cinquanta studiosi al lavoro In libreria il primo volumeCoordinati dal Miur e dal Cnr, curano l’inedita traduzione italiana Uno dei monumenti religiosi dell’Ebraismo, 5422 pagine di testo
Per la prima volta il Talmud Babilonese, opera fondamentale della
tradizione ebraica, viene tradotto in italiano. Il 5 aprile
all’Accademia dei Lincei a Roma, il primo volume sarà consegnato al
Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, alla presenza del
Ministro Giannini e del Rabbino israeliano Adin Steinsaltz, che ha
tradotto il Talmud in ebraico moderno.
Dal 2011
Nel 2011 con la firma del protocollo d’intesa da parte della Presidenza
del Consiglio dei Ministri, il Miur, il Cnr, e l’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane, prendeva il via il «Progetto di Traduzione del Talmud
Babilonese», di cui il Rabbino Shmuel Riccardo Di Segni e Clelia
Piperno (Direttore del Progetto) sono stati gli ideatori e i motori. Ci
sono voluti cinque anni per dare alla luce il primo trattato in
italiano, perché si tratta di un lavoro molto complesso: attualmente il
team di 50 studiosi sta traducendo 13 trattati in contemporanea, e la
road map prevede la traduzione di 2 o 3 volumi all’anno.
Il Talmud consiste in 5422 pagine di insegnamenti dei Maestri, a partire
da oltre 2000 anni fa. Il testo, suddiviso in ordini e trattati, è
diventato la fonte del diritto ebraico, ma anche di scienza, esegesi e
storia. Il primo volume in italiano (pubblicato da La Giuntina) contiene
il trattato di Rosh haShanà (Capodanno ebraico), ed è diviso in quattro
capitoli. Ogni capitolo inizia con una Mishnà (Torà orale) alla quale
segue la Ghemarà (commento). I temi centrali sono il calendario e il
capodanno.
I capodanni
Nella tradizione ebraica ci sono quattro capodanni, e ognuno ha la sua
funzione. Il trattato inizia con la descrizione e la discussione
rabbinica sui capodanni, dedicando una parte significativa al più
importante, quello di fine estate-autunnale, Rosh haShanà. Il calendario
ebraico si basa principalmente sul ciclo lunare: l’anno solare è più
lungo di quello lunare, e per evitare lo sfasamento di alcune festività,
come Pesach (la Pasqua ebraica, legata alla primavera) dopo alcuni anni
si aggiunge un mese, Adar Rishon (Primo Adar). Anticamente il Sinedrio,
l’autorità centrale di Gerusalemme, raccoglieva e verificava le
testimonianze di coloro che avvistavano la luna, per determinare
l’inizio del mese.
Dio sovrano
Il Capodanno cade nel calendario il primo del mese di Tishrì, giorno al
quale la tradizione attribuisce la creazione dell’uomo. La ricorrenza
celebra la sovranità di Dio sul creato, e l’unità del genere umano. Rosh
haShana è anche il Giorno del Giudizio, perché lo si celebra
dedicandosi all’esame e alla riflessione sui comportamenti tenuti
durante l’anno, pentendosi, invocando il perdono di Dio, e la Teshuvà
(ritorno o risposta), atto di coscienza, di consapevolezza, volto a
migliorare il futuro.
Così come Dio ha il potere di cominciare, l’uomo con la Teshuvà può
ricominciare. Nel Talmud si legge «Disse rabbi Yochanan: Grande è
l’efficacia della Teshuvà che annulla la sentenza negativa sull’uomo…».
Tra ricordo e futuro
Il trattato si concentra sul precetto principale di Rosh haShanà, il
suono dello Shofar (corno di ariete) e se ne discutono le
caratteristiche e i dettagli. Il suono del corno, che ricorda il
sacrificio di Isacco, ripercorre la storia dell’uomo, gli errori e le
azioni meritevoli. Il suono non si rivolge soltanto al passato, ma serve
anche per ricordare come deve essere il futuro. A rappresentare le due
dimensioni sono il suono iniziale e quello finale: entrambi diretti,
lineari e continui, senza inflessioni, che simboleggiano la perfezione
dell’atto della creazione e della redenzione messianica.
Il
rabbino Riccardo Di Segni: “Un progetto culturale grandioso reso
possibile anche grazie all’intervento delle istituzioni dello Stato”
di Elena Loewenthal La Stampa 20.3.16
In ebraico si chiama Torah she beal peh, «Torah che sta sulla bocca». Ma
la tradizione orale dei figli d’Israele è un immenso corpus scritto,
redatto lungo una catena di secoli. Il suo cuore è il Talmud, parola
ricavata da una radice che significa «imparare» e «insegnare»: «ho
imparato molto dai miei maestri», dice un rabbino, ma ho imparato di più
dai miei allievi».
Di Talmud ne esistono due, uno di Gerusalemme e uno di Babilonia, che è
quello per antonomasia, arrivato intorno al V-VI secolo nella sua forma
attuale: 5422 pagine fitte. Summa di fede scritta in due lingue, ebraico
e aramaico, il Talmud contiene prima di tutto materiale legale, ma non è
estraneo a nessun campo dell’antico sapere, dall’astronomia alla
medicina. La sua forma è quella del verbale di discussione, di un
«domanda e risposta» che parte dal versetto biblico e procede
all’infinito. Testo aperto per eccellenza, il Talmud si legge con un
metodo non dissimile da quello della pagina web con i suoi rimandi, cioè
i link, in un continuo cammino di interpretazione.
Il progetto della prima traduzione in italiano del Talmud è siglato in
un protocollo di intesa fra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Miur,
Cnr e Unione delle Comunità Ebraiche Italiane il 20 gennaio del 2011.
Riccardo Di Segni, rabbino capo della comunità di Roma, medico e
studioso, è il presidente del consiglio di Amministrazione nonché del
comitato di coordinamento di questa opera davvero immensa.
Come è nato questo progetto, rav Di Segni?
«Quasi per caso. Mi sono detto: proviamo a proporre la traduzione del
Talmud in italiano. Sotto sotto ero convinto che si trattasse di una
missione impossibile. Ho avviato sondaggi informali, e mi sono reso
conto che c’era un reale interesse da parte delle istituzioni dello
stato. Questo sostegno è stato fondamentale. Così ci siamo rimboccati le
maniche e abbiamo messo su uno staff capace. Ora abbiamo una squadra di
circa cinquanta studiosi fra traduttori esperti, traduttori in
formazione, istruttori, redattori. E’ davvero una operazione enorme, ma
anche innovativa. Abbiamo costruito un apparato di note e di schede
illustrative fatto apposta per entrare in questo universo religioso,
culturale, intellettuale».
Quale è stata la maggiore sfida traduttiva di un testo così antico, complesso?
«Malgrado la sua mole il Talmud è un testo terribilmente sintetico,
ricco di termini tecnici, senza interpunzione. E’ tutto fatto di domande
formulate in modo lapidario e di risposte altrettanto brevi: ogni frase
va sciolta. Quasi una stenografia. Abbiamo fornito una traduzione
parola per parola con una serie di inserimenti in neretto che danno
corpo alla prosa. La traduzione è insomma una continua parafrasi, un
commento al testo originario. Queste sono le difficoltà intrinseche del
Talmud. Che si riflettono anche nella lingua di destinazione,
ovviamente. Abbiamo anche dovuto “reinventare” l’italiano. Come ad
esempio nell’espressione “uscire d’obbligo”, che ricorre frequentemente
nel Talmud e che così abbiamo lasciato perché il suo senso è chiaro. Ma è
una sorta di neologismo fraseologico, a ben guardare. E poi c’è
naturalmente un ricco apparato di commento, approfondimenti,
spiegazioni».
Questa traduzione del Talmud si avvale non soltanto della competenza di
un folto gruppo di esperti – quasi un’evocazione di quei Settanta Saggi
confinati ciascuno in un’isoletta diversa del delta del Nilo e impegnati
alla traduzione in greco della Torah… E’ anche il frutto di una
tecnologia al servizio di un mestiere molto antico, non è vero?
«Il finanziamento pubblico stanziato per quest’opera ha implicato il
coinvolgimento di grandi strutture di ricerca, prime fra tutte il Cnr e
l’Istituto di linguistica. Così è stato elaborato un software apposito.
In parole povere, il traduttore non usa Word ma un sistema centralizzato
che sulla base dei dati ricevuti suggerisce la traduzione, la resa in
italiano di espressioni, frasi, modelli espressivi. Una resa che è
naturalmente non casuale ma frutto di lavoro, di grande approfondimento.
Dunque i nostri traduttori non sono affatto ognuno su un’isola deserta…
c’è una comunicazione continua, un passaggio di esperienze di lavoro e
scelte traduttive che diventa bagaglio lessicale. E’ davvero un metodo
nuovo di lavoro, che posso immaginare verrà esportato in altri campi».
I rabbini, gli studiosi, i talmudisti conoscono e frequentano il Talmud
nella sua versione originale? Qual è il destinatario di questa
traduzione italiana, la prima a circa millecinquecento anni dalla
redazione di questo testo?
Un’impresa titanica per un’opera titanica che ha superato i millenni, accompagnando le sorti degli ebrei. È la traduzione in italiano, la prima nella storia, del Talmud, il corpus di sapienza, usi, leggi e consuetudini ebraiche compilato in epoche diverse in due luoghi differenti. Testo sacro secondo soltanto alla Bibbia ( Torah, in ebraico, ovvero il Pentateuco), il trattato si divide nel Talmud di Gerusalemme, terminato alla fine del IV secolo, e nel Talmud Babilonese, concluso un secolo più tardi. «Noi — dice al “Corriere” rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma e presidente del progetto (mentre direttore è la professoressa Clelia Piperno) — abbiamo affrontato la traduzione del solo Talmud Babilonese, il più corposo, completo e studiato: un’impresa titanica, è vero. Ma in passato altri hanno trasferito l’opera in altre lingue, come l’inglese e il tedesco, dunque era possibile farlo anche in italiano».
Il 5 aprile il primo volume di un’opera che, alla fine, si svilupperà in oltre trenta tomi, tutti editi da Giuntina, verrà donato al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella sede dell’Accademia dei Lincei, a Roma: è il Trattato di Rosh haShanà (Capodanno), 450 pagine comprensive di note, indici e tabelle esplicative. Certo non un libro alla portata di tutti. «Però necessario — puntualizza rav Di Segni — anzi indispensabile, direi, per tutti gli studiosi, non soltanto di area ebraica, interessati ad approfondire la conoscenza di un universo culturale che nel Talmud ha il suo cuore».
Cuore che ha visto le stampe interamente per la prima volta a Venezia, nel 1523, a opera di Daniel Bomberg. E contiene migliaia di frasi che spesso pronunciamo senza saperne l’origine. Come «chi salva una vita, salva il mondo intero»; «la pace è per il mondo quello che il lievito è per la pasta»; «se io non sono per me, chi è per me? E se io sono solo per me stesso, cosa sono? E se non ora, quando?». Originale a fronte, la versione italiana del testo sacro ha avuto la sua genesi in un finanziamento di 5 milioni di euro del ministero dell’Istruzione (Miur) e nella fruttuosa collaborazione tra la presidenza del Consiglio, lo stesso Miur, il Cnr e l’Ucei, l’Unione delle comunità ebraiche italiane. Cinquanta esperti-traduttori hanno lavotacolo rato al volume, che comprende 70 pagine nell’originale del Talmud su un totale di oltre cinquemila. «Il Cnr ci ha fornito un programma che ha consentito di lavorare digitalmente non importa da che luogo, se in Italia o al di là dell’oceano», racconta rav Di Segni. Ne è scaturito un lavoro su carta. «Ma in futuro sarà a disposizione anche una versione digitale dell’opera».
Talmud, in ebraico «studio». È la summa della tradizione orale compilata per preservare caratteristiche e unità di un popolo che, dopo la Diaspora, rischiava di scomparire. Diviso sostanzialmente in Mishnah, insegnamento da ripetere, e Ghemarah, complemento, ovvero commenti vari al testo, nel suo insieme il Talmud è tutt’altro che un testo monolitico, anche se contiene la Halakah, ovvero la «via da seguire»: il codice penale e civile degli ebrei. Piuttosto, qualunque questione affrontata da rabbini e saggi del tempo viene esaminata e risolta attraverso i pareri (anche contrapposti) annotati a margine. In alcuni passi il Talmud sa essere anche oscuro, o ambiguo. Scritto in ebraico e in aramaico, non può certo essere affrontato Questo testo nei secoli passati ha suscitato dispute accanite tra israeliti e cristiani, a causa di alcuni passi molto controversi come si affronta un saggio qualunque.
Nella storia dei rapporti tra cristiani ed ebrei, il Talmud è stato motivo di dispute feroci. Che spesso si concludevano con il rogo pubblico del testo sacro (il primo nel 1244) o con il sequestro dei volumi trovati nei Ghetti. Questo perché frasi estrapolate dal contesto portavano ad accuse di «perfidia» e «blasfemia». Addirittura, siccome in alcuni brani sparsi qua e là («che messi insieme in totale non fanno più di 2 o 3 fogli, un millesimo dell’intera opera», spiega rav Di Segni), si parla di un certo «Yeshu» (Gesù) e di una certa «Miriam» (Maria) — con riferimenti molto dubbi ai personaggi del Vangelo —, nei secoli il Talmud ha subito censure e autocensure, e dunque le edizioni classiche sono state «espurgate» dei delicati riferimenti. Si parlerà di Yeshu nell’edizione italiana? «La nostra versione terrà conto dei testi originali e degli interventi censori, che anch’essi sono parte della storia — conferma il rabbino capo di Roma —. E lo studioso, o chiunque sarà interessato, troverà tutti i riferimenti o nel testo stesso o nelle note». L’intero lavoro sarà terminato nel giro di qualche anno: al momento i 50 esperti hanno trascritto un quarto del totale, anche se una data certa di «fine lavoro» non è prevedibile, considerata la complessità dell’opera. Ma, come è scritto nel Talmud: «Tu non sei tenuto a finire il lavoro ma non te ne puoi esimere».
«Il Talmud è un testo fondamentale per la cultura universale. È la summa del pensiero e della parola del popolo ebraico. Direi che questa traduzione si offre a diversi livelli di pubblico. Lo studente, il curioso, lo studioso. Se ho bisogno di leggere o consultare un passo della Patristica greca dispongo di traduzioni “storiche”, del corpus completo di questo patrimonio, vuoi in italiano vuoi in un’altra lingua moderna. Ho studiato il greco al liceo, ma non sono più in grado di affrontare questi testi nella loro lingua originale… Questo discorso vale non meno per il Talmud, che è un patrimonio universale di cui tutti devono poter disporre. E noi stiamo offrendo con questo testo non solo una traduzione accurata e moderna, ma anche un immenso thesaurus di sapere, di conoscenze ed esperienza intellettuale».
Se il Talmud non risponde hai sbagliato la domanda Parla Adin Steinsaltz, il più grande traduttore del testo ebraico che ora esce in italianoSUSANNA NIRENSTEIN Restampa 5 4 2016
ROMA Arriva direttamente da Tel Aviv al nostro appuntamento romano, piccolo, vestito in modo caotico di nero come gli ebrei ortodossi ashkenaziti, incorniciato dai capelli e la barba bianca disordinati, con una voce sottile, musicale, come abituata al ragionamento continuo tra sé e sé, e tra sé e i massimi sistemi. Il rabbino Adin Steinsaltz, massimo esperto di Talmud nel mondo (ieri un’edizione di “Parole semplici” è uscita a Taiwan e pochi giorni fa in Iran!), il suo traduttore per eccellenza, nonostante i suoi ottanta anni ha sorrisi e sguardi che tradiscono tutta la forza
vitale, mentale, incantano. È qui perché deve presentare oggi all’Accademia dei Lincei il volume del Talmud il Trattato di Rosh haShanà tradotto in italiano, il primo dell’intera opera che sarà pubblicata dalla Giuntina, un’impresa mastodontica (le pagine in tutto sono 5422, i trattati 36, gli ordini 6) voluta dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, presidente del Comitato in cui sono parte importante anche le istituzioni italiane.
Guarda un foglio dove abbiamo appuntato le nostre domande, e dice subito, ridacchiando, che non è disposto a stare dieci ore insieme a noi. È stanco? «Io non sono mai stanco» risponde. E prende una sua strada, molto personale, un diluvio di parole, per rispondere (estrapoliamo) innanzitutto che il Talmud Babilonese (ce n’è anche uno di Gerusalemme, meno ampio e frequentato) sunteggia la legge ebraica orale (la Mishnà, ovvero il codice normativo trasmesso sul Sinai a Mosè in ebraico ma non per scritto) e il suo commento redatto in aramaico-ebraico, una sintesi delle discussioni dei maestri, i chakhamim, sulla Mishnà stessa, perché il Talmud è l’unico libro sacro al mondo che non solo permette ma incoraggia ogni domanda, ogni dubbio, e accetta, anzi sprona, risposte discordanti, e le riporta pur cercando infine elementi in comune che non sempre arrivano.
Va bene, ma perché tradurlo, non perderemo parte del significato, i riferimenti all’uso della stessa parola in altri testi, o il suo valore numerico? Lei è stato il primo a trasporlo tutto in ebraico, ed è stato anche molto criticato.
«Conosco una bella frase in italiano, “il traduttore è un po’ un traditore”, ed è vero. Ma è alla base del rapporto tra le civiltà. Ogni traduzione perde qualcosa, ma se vuoi trasportarla nel mondo devi rischiare, anche se nel trasmetterla va via un po’ di bellezza, un po’ di sostanza. Rendere così accessibile il Talmud è un atto, un gesto che in qualche modo cambia una tradizione per cui, specie ai tempi della trasmissione orale, lo studio era ristretto a una cerchia limitata, al maestro e ai suoi discepoli. Qualcuno pensa ancora che sia questa la condizione migliore. Ma io no, e non solo io evidentemente. Ho letto una Divina Commedia in ebraico, e sicuramente non era la stessa cosa. È più facile tradurre la fisica, la matematica. Ed è ancor più facile farlo se mettiamo mano a un testo che appartiene alla stessa epoca e alla stessa cultura della lingua in cui lo trasponiamo, che so, un romanzo italiano in un romanzo francese del Novecento. Ma per i libri antichi e per di più provenienti da una tradizione diversa, sono guai. Inoltre il linguaggio del Talmud non era nemmeno allora comune, si tratta di una sorta di gergo tra aramaico e ebraico. Spero che l’italiano usato in questa opera comunque renda l’idea della sua bellezza».
Ma perché in italiano poi, una lingua parlata da pochi milioni di persone, un paese con una comunità ebraica piccolissima? È un testo universale? Cosa ci cercherà un non ebreo?
«Certo sarebbe meglio che uno studiasse la lingua e la cultura ebraica per affrontarlo. Ma chi ha tutto quel tempo? Vede, il Talmud è stato per secoli un grande mistero, la gente era sicura che dentro ci fossero dei segreti oscuri. Spesso lo prendevano e lo davano alle fiamme, dall’antichità giù giù fino ai nazisti, lo distruggevano: pensavano che attraverso quelle pagine gli ebrei mandassero non si sa quali maledizioni o evocassero strani poteri. Era più una leggenda che un fatto. E i miti, i pregiudizi, continuano ancora. In Italia spesso ad esempio si pensa che gli ebrei siano mezzo milione invece dei 35.000 che sono! Noi ora prendiamo la nostra scatola chiusa e l’apriamo: che guardino dentro. Se la Bibbia è la prima pietra del giudaismo, il Talmud ne è il pilastro centrale: leggano, non ci sono arcani. Al massimo potranno dire che siamo pazzi».
Qual è la caratteristica principale del
Talmud, invece?
«La sua essenza ha trasmesso al mondo il grande messaggio del pensiero dialettico. E il mondo ne ha un grande bisogno perché traversa un periodo di follia, di estremi. Occorre guardare, capire, porre e porsi molte domande. Tentare di rispondere. Tutto il Talmud è fatto di dibattito e pensiero, su qualsiasi argomento, scienza, uomini, donne, astronomia, economia, agricoltura, persino fecondazione artificiale... ».
Lei ha scritto che nel Talmud ci sono soggetti che è impossibile veder accadere nella realtà, come allora probabilmente era la fecondazione artificiale.
«È un modo meraviglioso per imparare a fare le domande migliori. Su tutto. La scienza ti risponderà sulla differenza tra la luce rossa e la luce blu, ma i veri punti interrogativi riguardano cosa c’è tra un uomo e un altro. La matematica non se ne occupa. Il Talmud dibatte di cosa è fatta la vita. E ogni allievo ebreo apprende come porre non una ma cento questioni, e cerca una risposta. Anche ai quesiti più assurdi, tipo immaginare un oggetto in quarta dimensione, e in quinta e magari in sesta. La teoria fisica delle stringhe molti secoli dopo ne ha parlato».
Un procedere per paradossi?
«No, una visione del mondo, il Talmud è vivo, è capace come un artista di scolpire nel marmo una fontana con l’acqua scrosciante. Penseresti che è impossibile e invece lo è. Studiare il Talmud, è come stare seduti a un tavolo lunghissimo e discutere con Mosè, i profeti, i maggiori maestri, e me, e lei. Al presente».
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Pur essendo molto lieta (anzi proprio felicissima) del progetto della Giuntina segnalo che la prima traduzione italiana del Talmud è disponibile dal 1958.
RispondiEliminaLaterza editrice.
La Giuntina ha pubblicato il Trattato dei Capodanni, mentre questa traduzione che le segnalo è il Trattato delle Benedizioni, ed è disponibile presso le biblioteche italiane (anche se non tutte).
http://www.coliseum.it/mostra-libri?libro=11122&titolo=Talmud%20babilonese.%20Trattato%20delle%20benedizioni&autore
Il fatto che non sia conosciuta ha a che fare con l'ottimo traduttore nonché grande conoscitore delle lingue semitiche e dell'ebraismo, conoscitore come pochi - oserei dire. Si tratta di Israel Eugenio Zolli.
Spero di aver fatto cosa gradita nell'inviarle questa comunicazione ad integrazione dell'articolo pubblicato.
Ritrovo solo ora questo commento. Grazie per le preziose informazioni.
RispondiEliminaSGA