Jean Birnbaum:
Un silence religieux. La gauche face au djihadisme, Seuil
Risvolto
Alors que la violence
exercée au nom de Dieu occupe sans cesse le devant de l’actualité, la
gauche semble désarmée pour affronter ce phénomène. C’est qu’à ses yeux,
le plus souvent, la religion ne représente qu’un simple symptôme
social, une illusion qui appartient au passé, jamais une force politique
à part entière.
Incapable de prendre
la croyance au sérieux, comment la gauche comprendrait-elle l’expansion
de l’islamisme ? Comment pourrait-elle admettre que le djihadisme
constitue aujourd’hui la seule cause pour laquelle un si grand nombre de
jeunes Européens sont prêts à aller mourir à des milliers de kilomètres
de chez eux ? Et comment accepterait-elle que ces jeunes sont loin
d’être tous des déshérités ?
Là où il y
a de la religion, la gauche ne voit pas trace de politique. Dès qu’il
est question de politique, elle évacue la religion. Voilà pourquoi,
quand des tueurs invoquent Allah pour semer la terreur en plein Paris,
le président socialiste de la France martèle que ces attentats n’ont «
rien à voir » avec l’islam.
Éclairant
quelques épisodes de cet aveuglement (de la guerre d’Algérie à
l’offensive de Daech en passant par la révolution islamique d’Iran), ce
livre analyse, de façon vivante et remarquablement documentée, le sens
d’un silence qu’il est urgent de briser.
Jean Birnbaum dirige Le Monde des livres. Il est l’auteur de plusieurs essais, tous parus chez Stock, parmi lesquels : Leur jeunesse et la nôtre. L’espérance révolutionnaire au fil des générations (2005) et Les Maoccidents. Un néoconservatisme à la française (2009).
“La sinistra non capisce l’islam”
“Abbiamo perso la speranza e non vediamo quella degli altri a cui resta solo la religione” La provocazione di Birnbaum
FABIO GAMBARO Restampa 15 4 2016
PARIGI «Anche se motivato da lodevoli intenzioni, e cioè dalla volontà di non condannare tutta una comunità, è un errore dire che i terroristi del Califfato non hanno nulla a che fare con l’islam». Parte da qui la riflessione di Jean Birnbaum, studioso francese, nonché responsabile del supplemento libri di “Le Monde”, che ha da poco mandato in libreria “Un silence religieux” (Seuil), un saggio controcorren-te, il cui sottotitolo recita: “La sinistra di fronte al jihadismo”. Secondo l’autore, troppi esponenti della sinistra tendono a rimuovere il movente religioso dei terroristi per ingenuità e senso di colpa, ma anche perché sono figli del razionalismo illuminista, motivo per cui non riescono a comprendere la religione come forza autonoma capace di diventare un vero agente politico. «Solo la verità è rivoluzionaria, si diceva una volta. Quindi dobbiamo avere il coraggio di guardare in faccia la realtà, senza edulcorarla. Possiamo sempre cercare di rassicurarci, dicendoci che i giovani jihadisti sono solo pazzi, mostri o emarginati che vengono manipolati, ma la realtà è ben diversa. Se un terrorista, il cui discorso si rifa di continuo al Corano, uccide in nome di Allah, non possiamo dire che le sue azioni non hanno nulla a che fare con l’islam. Chi siamo noi per negare il suo rapporto con la fede? Purtroppo l’islamismo si esercita in nome dell’islam, anche se per fortuna non tutto l’islam è islamista. I fanatici del califfato hanno origini sociali e culturali molto diverse, l’unico elemento che li unisce è il loro rapporto particolare con la religione. E per sconfiggerli dobbiamo capire che la motivazioni autenticamente religiosa delle loro scelte. Il che evidentemente non significa giustificarli».
Non riconoscere la dimensione religiosa del terrorismo islamico è un errore strategico?
«Perché significa pugnalare alla schiena tutti coloro che nell’islam sanno benissimo che questa relazione esiste e cercano ogni giorno di combatterla. All’interno del mondo musulmano si sta svolgendo un’aspra battaglia tra due diverse concezioni dell’islam. Dobbiamo prenderne atto e sostenere tutti coloro che cercano di sottrarre la fede ai fanatici che la deturpano, rifiutando un islam violento, intollerante e omicida. Solo riconoscendo il pericolo si può combatterlo. Il problema è che la violenza jihadista non rientra nelle nostre griglie concettuali e in particolare in quelle della sinistra francese che ha completamente rimosso la dimensione religiosa. Parlare solo di povertà o emarginazione — dimensioni importanti — escludendo la religione, è un modo per ricondurre il problema alle nostre abitudini mentali».
Perché la sinistra non riesce a pensare la dimensione religiosa?
«La sinistra, in particolare quella francese, si è costruita nel solco della tradizione cartesiana, illuminista e marxista, inseguendo il fantasma dello sradicamento della religione, considerata solo un’illusione, una chimera. Il famoso “oppio dei popoli”, di cui parlava Marx e che l’emancipazione sociale avrebbe dovuto far scomparire. Fedele a questa visione, la sinistra ha rinunciato a pensare la religione e la sua forza. Ma la fede non è sempre il sintomo di qualcos’altro. Seguendo le tracce di uno studioso come Christian Jambet, penso che occorra riconoscere una sorta di materialismo spirituale, nel senso che la fede, lungi dall’essere solo un’illusione o un riflesso, può diventare una forza materiale».
A questo proposito lei rende omaggio a Michel Foucault che fu uno dei primi a sottolineare la valenza politica dell’islam, quando si recò in Iran all’inizio della rivoluzione islamica...
«Foucault ha saputo sottolineare la forza propria del messianesimo religioso, tanto che ha parlato di “politica spirituale”. In Iran capì che l’energia che stava dando fuoco alle polveri era la speranza religiosa, riconoscendo tra l’altro che in occidente non sappiamo più cosa sia la politica infiammata dalla fede. Non inseguiamo più “la storia sognata”, che invece in passato è stata importante anche per noi. Proprio perché abbiamo rimosso questa dimensione, oggi ci sembrano impossibili le motivazioni religiose del jihad».
Perché tali motivazioni religiose danno luogo all’iperterrorismo?
«L’islamismo è una reazione alla modernità occidentale e al tentativo di modernizzare l’islam. Al contempo è anche una reazione alle umiliazioni che il mondo occidentale ha inflitto al mondo musulmano. Come ha detto Derrida, tutte le comunità sono attraversate dalla pulsione di morte, quindi anche le comunità religiose, che, prima o poi, sono costrette a fare i conti con i problemi identitari, il fondamentalismo e la violenza. Nell’islam oggi però c’è qualcosa di particolare, come sottolineano Mohammed Arkoun o Abdennour Bidar. L’islam si propone come un’alternativa radicale al mondo contemporaneo, quindi — come ogni volta che s’intende farla finita con un certo mondo — si pone la questione della violenza. I jihadisti non vogliono cambiare il mondo, vogliono distruggerlo».
Insomma secondo lei i giovani che oggi vanno in Siria a combattere sarebbero mossi da una spinta ideale che non sappiamo capire?
«Non voglio assolutamente banalizzare il male o giustificarlo, ma non si può pensare che questi giovani siano mossi all’inizio solo dall’odio e dal desiderio di annientare gli altri. Quando ascoltiamo le loro motivazioni, scopriamo che sono indignati dal mondo contemporaneo, che non si riconoscono nella democrazia e che desiderano raggiungere i fratelli del Califfato. Insomma, all’inizio sono motivati dal bisogno di giustizia e di fratellanza, da una forma di speranza per noi incomprensibile che poi si manifesta con un volto odioso e violento. Se non capiamo questa speranza radicale, non possiamo capire quello che sta accadendo ».
Solo che per loro la speranza non si realizza in terra ma nell’aldilà...
«I jihadisti vogliono farla finita con la storia, con la politica e soprattutto con la vita. Da qui il desiderio e l’elogio della morte. Ma tutto ciò nasce da una speranza. La sola questione che conta è quella posta a suo tempo da Kant: che cosa ci è lecito sperare? La sinistra però non capisce più il bisogno di speranza dei giovani e non ha nulla da proporre loro. Di conseguenza, più la speranza radicale profana — quella della sinistra che vuole cambiare il mondo — diserta la realtà, più si afferma una speranza radicale religiosa, che poi produce le tragedie che abbiamo conosciuto. Oggi la sinistra sa solo proporre la gestione del presente».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
«Noi di sinistra non capiamo nulla di islam»
Jean
Birnbaum, firma di «Le Monde», confessa a «Repubblica»: «È un errore
negare che i terroristi siano musulmani. Anzi, per sconfiggerli dobbiamo
capire le motivazioni autenticamente religiose delle loro scelte»
Libero 16 Apr 2016 FRANCESCO BORGONOVO
(...)
hanno mostrato di non credere, ci auguriamo che almeno prendano in
considerazione ciò che scrivono Le Monde e Repubblica, cioè due dei
principali quotidiani progressisti del Vecchio Continente. Ieri il
giornale di Mario Calabresi ospitava una commovente intervista con Jean
Birnbaum, il giornalista francese che dirige il supplemento di Le Monde
dedicato ai libri. Commovente nel senso che, per una volta, si sentono
provenire da sinistra considerazioni serie e coraggiose in materia di
islam.
Birnbaum ha dedicato un libro al
rapporto tra la sua parte politica e il mondo musulmano (intitolato «Un
silence religieux»), e non le manda a dire. Il suo ragionamento inizia
col botto: «Anche se motivato da lodevoli intenzioni, e cioè dalla
volontà di non condannare tutte una comunità, è un errore dire che i
terroristi del Califfato non hanno nulla a che fare con l’islam». Viene
quasi da piangere. Sono serviti anni di battaglie culturali, i linciaggi
di Michel Houellebecq e Oriana Fallaci, gli insulti piovuti su Charlie
Hebdo, persino gli appelli di intellettuali musulmani illuminati, ma
alla fine qualcuno l’ha capito: non si può spiegare il terrorismo senza
far riferimento alla religione musulmana.
Resta
solo un rammarico: a sinistra potevano arrivarci prima. Forse ci
saremmo risparmiati qualche massacro. Forse il pavimento e i muri del
Bataclan di Parigi non si sarebbero macchiati di sangue. Forse i
jihadisti non avrebbero fatto il bello e il cattivo tempo circolando
liberamente in Europa. Ma bisogna fare un sforzo e superare la rabbia.
La prima reazione, infatti, sarebbe quella di correre nella redazione di
Le Monde o in quella di Repubblica e gridare: «Lo avete capito adesso?
Avanti, chiedete scusa». L’atteggiamento, tipico degli intellettuali
progressisti, di chi arriva sempre dopo di tutti e poi pretende di dar
lezioni è insopportabile. Eppure bisogna ingoiare l’amaro boccone e
sperare che le parole di Jean Birnbaum giungano a quanti più lettori
possibile.
«Dobbiamo avere il coraggio di
guardare in faccia la realtà, senza edulcorarla», spiega il giornalista.
«Possiamo sempre cercare di rassicurarci, dicendoci che i giovani
jihadisti sono solo pazzi, mostri o emarginati che vengono manipolati,
ma la realtà è ben diversa. Se un terrorista, il cui discorso si rifà di
continuo al Corano, uccide in nome di Allah, non possiamo dire che le
sue azioni non hanno nulla a che fare con l’islam». È una considerazione
di puro buonsenso. Ma ancora oggi c’è chi si ostina a negare
l’evidenza, chi sostiene che islam e terrorismo non abbiano nulla a che
spartire. Abbondano i sociologi da operetta, i quali s’indignano a
sostenere che chi entra nelle file del Califfato lo fa per via della
«povertà» o della «emarginazione sociale». Giusto ieri mattina, in un
talk show, un esponente del centrosinistra italiano ripeteva che per
battere il terrorismo bisogna aumentare il sostegno economico alle
«periferie». Bene, Birnbaum fa piazza pulita di tutte queste teorie da
quattro soldi: «I fanatici del califfato hanno origini sociali e
culturali molto diverse», ha detto a Repubblica. «L’unico elemento che
li unisce è il loro rapporto particolare con la religione. E per
sconfiggerli dobbiamo capire le motivazioni autenticamente religiose
delle loro scelte».
Ma perché la sinistra è
così restia ad accettare il movente religioso? Birnbaum lo spiega con
una certa onestà (stilando una sorta di mea culpa): «Il problema è che
la violenza jihadista non rientra nelle nostre griglie concettuali e in
particolare in quelle della sinistra francese che ha completamente
rimosso la dimensione religiosa. Parlare solo di povertà o emarginazione
- dimensioni importanti - escludendo la religione, è un modo per
ricondurre il problema alle nostre abitudini mentali». Insomma, con la
consueta rigidità di pensiero, la sinistra - non considerando la
religione meritevole di attenzione - ritiene che la sua visione del
mondo debba valere per tutti.
Ora, finalmente, c’è un intellettuale che ha il coraggio di spazzar via qualche luogo comune. Amaramente, dobbiamo
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