Gruppo di pittori in un interno racconta la borghesia del ’600Al Louvre di Parigi una straordinaria mostra mette a confronto le tele dell’enigmatico maestro di Delft con quelle dei suoi contemporanei Francesco Poli Stampa 25 2 2017
Due quadri che rappresentano la stessa scena in un interno illuminato in modo soffuso da una finestra laterale. In piedi davanti a un tavolo, una giovane donna elegante e sobriamente velata, è intenta a pesare con un bilancino qualcosa di molto prezioso, in un caso dell’oro e nell’altro dei gioielli. Analogo è l’arredo, quasi identici sono i gesti. Stessa data di esecuzione intorno al 1664. Gli autori sono Pieter de Hooch e Johannes Vermeer. È probabile che quest’ultimo abbia ripreso il tema da de Hooch, che viveva anche lui a Delft (prima di trasferirsi ad Amsterdam) ma la cosa non ha poi molta importanza. Attraverso il confronto dei due dipinti, proprio perché così simili fra loro, risulta più evidente la straordinaria qualità specifica delle opere di Vermeer rispetto a quelle degli altri pur notevoli artisti suoi colleghi e diretti concorrenti. Non a caso questo confronto segna l’inizio dell’esposizione che il Louvre dedica a uno degli aspetti più significativi dell’arte olandese del Seicento, quello della pittura di genere elegante e raffinata (con rappresentazioni idealizzate ma estremamente verosimiglianti della vita privata della ricca borghesia), che si afferma a partire dalla seconda metà del secolo.
La mostra si sviluppa, in modo molto lineare attraverso una serie di sezioni dedicate ai soggetti e ai temi che ricorrono con maggior frequenza nei lavori dei vari artisti, che abitavano in varie città (Amsterdam, Leida, Deventer, Delft, Warmond) ma che erano più o meno tutti in relazione fra loro: dagli iniziatori come Gerard Dou e Gerard ter Borch, a cui era legato De Hooch, da Jan Steen che era amico di Frans van Mieris, a Samuel van Hoogstrat, da Gabriel Metsu a Vermeer. Quando alla fine dell’Ottocento lo storico francese Thoré-Bürger aveva riscoperto Vermeer lo aveva definito «la sfinge di Delft», descrivendolo romanticamente come un pittore enigmatico e solitario. Un’immagine che non corrisponde alla realtà, ma che è ancora in circolazione, anche per le scarse notizie che si hanno sulla sua breve vita (muore a 42 anni nel 1675) e per il ridottissimo numero di sue opere sicuramente autografe, solo 36. Questa esposizione dimostra molto bene quanto il pittore fosse strettamente legato a un ben preciso ambiente artistico. È anche vero però che i dodici dipinti di Vermeer disposti lungo il percorso espositivo, emergono con meravigliosa luminosità come gemme solitarie dal contesto dei comprimari. «Vermeer non è l’ideatore di queste scene di genere - precisa il curatore Blaise Ducos -. Egli interviene piuttosto alla fine: è quello che reagisce, trasforma per sottrazione, per purificazione. E tutto quello che è levato è rimpiazzato dalla luce e dallo spazio, che sono i veri soggetti della sua pittura».
Questo significa, in altri termini, che l’artista arriva a neutralizzare la troppo facile piacevolezza tipica delle scene di genere, creando un’incantata dimensione spazio-temporale sospesa. Le sue immagini purificate dall’aneddotica descrittiva irradiano un senso dell’assoluto come essenza luminosa della quotidianità. È noto che Vermeer utilizzava per le sue composizione una particolare camera oscura (come del resto tutti i suoi colleghi), ma questo non spiega la magia della sua luce pittorica, che nasce da un lato da una particolare tecnica di vibranti tocchi di colore e da una estrema sensibilità nella stesura di soffuse variazioni tonali, ma dall’altro lato deriva dalla capacità di impregnare la tela anche di una un altro tipo indefinibile di luce quella che per così dire nasce nella segreta camera oscura della mente. Il confronto fra i suoi dipinti e quelli degli altri artisti (oltre quello già citato) è di particolare interesse in tre sezioni. Nella prima, quella dedicata al tema delle missive d’amore, vediamo per esempio un bel dipinto di Metsu, Giovane donna che legge una lettera, accanto a La lettera di Vermeer. Il quadro di Metsu è narrativo, quello del maestro di Delft è enigmatico: ci mostra la protagonista che sta scrivendo, piena di dubbi non si sa cosa. Forse ancor più enigmatica è un’altra sua tela analoga, La lettera interrotta. Sul versante maschile sono di notevole interesse le figure di studiosi, dove per esempio un tenebroso astronomo (o astrologo) che studia a luce di candela, di Dou, contrasta decisamente con l’astronomo e il geografo di Vermeer avvolti in una affascinante atmosfera quasi metafisica.
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