Il nuovo libro dello scrittore è la storia di un sacerdote attratto dai bambini tra immagini shock, il corpo di Aylan e un’ambigua dedica a don Milani
di MICHELA MARZANO Rep 13 4 2017
Ieri sulla Repubblica Michela Marzano ha stroncato il nuovo romanzo di Walter Siti Bruciare tutto (Rizzoli, pg. 372, euro 20) definendolo "inacettabile". Ma davvero un libro può essere tale?
Luigi Mascheroni Giornale
- Ven, 14/04/2017 -
Massimo Arcangeli Giornale
- Ven, 14/04/2017
Fa discutere il nuovo romanzo sul prete pedofilo. Più che scandaloso è brutto
Camillo Langone Giornale
- Ven, 14/04/2017
L'ex allievo di Barbiana: "Don Milani pedofilo? Siti dice una scemenza"Indignano le insinuazioni dell'autore sottintese nella dedica del libro e spiegate in un'intervista

Matteo Sacchi Giornale Ven, 21/04/2017
Avvenire lunedì 24 aprile 2017
Video messaggio inviato a Tempi di Libri a Milano, per la presentazione dell'opera omnia del sacerdote di Barbiana
Siti contro Marzano? Un pareggio più che annunciato

Eleonora Barbieri Giornale
- Lun, 24/04/2017
Walter Siti vs. Michela Marzano mezzogiorno e mezzo di fuoco

Alberto Mattioli Stampa 24 4 2017
Per veder scorrere un po’ di sangue letterario si è dovuto aspettare l’ultimo giorno. Faccia a faccia, lo stroncato e la stroncatrice più commentati a Tempo di libri: Walter Siti con il suo romanzo Bruciare tutto (Rizzoli) e la filosofa Michela Marzano come suo recensore, e proprio su Repubblica di cui entrambi sono collaboratori. In mezzo, il nostro Bruno Ventavoli. Per la verità, in origine il responsabile di Tuttolibri aveva pensato a una colta chicca, proporre agli autori la difficile arte dell’«autostroncatura», come in una remota rubrica dell’inserto della Stampa. Ma è troppo forte il baccano sul romanzo di Siti, che in effetti si presta per il soggetto, un prete pedofilo, per la dedica a don Milani, per il dibattito sui giornali e le risse sui social che ne sono seguiti. Così fatalmente il caso Bruciare tutto ha davvero bruciato tutto il resto, autostroncature incluse.
Dunque, appuntamento ieri alle 12,30. E, scelta insensata dell’organizzazione, in sala Bodoni, la più piccola, 49 posti in tutto, che infatti diventa subito pienissima e caldissima, zeppa di gente in piedi, e spesso su quelli degli altri.



Vale anche per le discussioni, però. Siti è più ironico, Marzano sembra la quintessenza della professoressa democratica, diciamo una prof-dem al quadrato (e forse ne è consapevole: «Diranno che sono insopportabile, moralista, professoressa»), quindi alla fine prende più applausi lui di lei. Però si è parlato di letteratura, in un salone dove di regola si è disquisito molto più di ciò di cui parlano i libri che del modo in cui lo fanno. Quanto all’autostroncatura, sarà per la prossima volta.
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Francesco: don Milani la scuola che apre la mente
Papa Francesco Stampa 24 4 2017





Lascio la conclusione, come l’apertura, ancora a don Lorenzo, riportando le parole scritte a uno dei suoi ragazzi: a Pipetta, il giovane comunista che gli diceva «se tutti i preti fossero come Lei, allora …», don Milani rispondeva: «Il giorno che avremo sfondato insieme la cancellata di qualche parco, installato la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordati Pipetta, quel giorno ti tradirò, quel giorno finalmente potrò cantare l’unico grido di vittoria degno di un sacerdote di Cristo, beati i poveri perché il regno dei cieli è loro. Quel giorno io non resterò con te, io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso» (Lettera a Pipetta, 1950).

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«Perché voglio fare scuola»
–di Lorenzo Milani Domenicale 21 aprile 2017
Se mi domandate perché faccio scuola, rispondo che faccio scuola perché voglio bene a questi ragazzi. Come voi mandate a scuola i vostri figlioli, così io ci tengo che i miei figlioli abbiano scuola: questa è una cosa affettiva, naturalissima. Mi pare non ci sia neanche da perdersi a spiegarla. Dal punto di vista proprio di parroco, ho l’incarico di predicare il Vangelo.
Predicarlo in greco non si può perché non intendono. Sicché, bisogna predicarlo in italiano. Resta da dimostrare che i miei parrocchiani intendano l’italiano. Questa è quella cosa che io nego. Quantunque i miei parrocchiani siano toscani, quantunque usino espressioni dantesche ogni poco, non son capaci di un discorso lungo, di un discorso complesso, di una lingua che non sia quella che serve per vendere i polli al mercato di Vicchio il giovedì, o nei pettegolezzi delle famiglie. Una lingua così povera non è assolutamente sufficiente per ricevere la predicazione evangelica. Questa è la condizione, direi di ordine pastorale, che non dovrebbe direttamente interessarvi, ma vi spiega un po’ perché mi occupo di questa cosa. Su questa premessa, cioè considerandomi un missionario in un paese straniero di cui non conosco la lingua, io avevo ancora la possibilità di studiare la loro lingua e parlare il loro linguaggio, ma mi dispenso dal dimostrarvi che questo linguaggio non esisteva.
Non si può parlare la loro lingua perché è una lingua di basso interesse, di bassi vocaboli. Non bassi in senso cattivo, ma non elevati. Ed io non mi ci abbasso a livello dei miei parrocchiani. Abbassarsi al loro linguaggio e non dire più cose alte, a me non va. Io seguito il mio linguaggio alto e quindi o loro vengono al mio linguaggio o non ci si parla. Ecco perché io ho iniziato il mio apostolato dalla scuola, con l’insegnare la grammatica italiana. Alla fine è successa questa disgrazia d’innamorarmi di loro ed ora mi sta a cuore tutto quello che sta a cuore a loro. Ecco perché questa scuola poi è diventata una scuola, diciamo così, laica, severamente laica. Sono partito con l’idea di fare della scuola il mezzo di intendersi e di predicare, poi nel far scuola gli ho voluto bene ed ora mi sta a cuore tutto di loro, tutto quello che per loro è bene, persino l’aritmetica che a me non piace e il loro bene è fatto di tante cose: della preparazione politica, sociale, religiosa, della cura della salute. Insomma c’è di tutto. Né più né meno quello che voi fareste e fate per i vostri figli.
Quale ideale potreste propormi che io dessi alla scuola? Le gioie infinite della cultura, per esempio? Io potrei far amare il Leopardi perché è Leopardi. Per la gioia per tutti che è di poter intendere un canto di Leopardi, ma per grande che sia il Leopardi, quando una gioia è individuale è minore di quella sociale. Se io dico «Farò leggere a tutti gli operai del mondo il Leopardi!» è più bello, è in sé più cristiano. Vi parlo da sacerdote perché oltretutto io sono più prete di voi. Io sono prete, se ve lo dico io, si può dire.
Direttore didattico: Cioè elevare il sapere dal livello individuale a un piano più universale?


Milani: Le assicuro che non sono molto amabile. Questa è una conferenza e si fa presto a essere amabili, ma io le farei vedere sopportarmi dodici ore al giorno.
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